Questa settimana, nell’angolo destinato ad interviste a viaggiatori ed avventurieri, presentiamo Gabriele, un ragazzo che ha deciso di intraprendere un viaggio inconsueto: dall’Italia all’Islanda in bicicletta, attraversando l’Europa per 1700km.
Ma lasciamo spazio alla presentazione curata proprio dal protagonista:
Ciao ragazzi, grazie mille per l’invito!
Tutto è iniziato nel 1990, quando sono nato, nella bassa Italia. Lì ho trascorso la mia infanzia e la mia felice gioventù fino a quando, per studiare, tre anni fa, mi sono trasferito a Torino.
Ho studiato per due anni ingegneria energetica e nucleare ma quest’anno ho deciso di cambiare per fare qualcosa che fa più al caso mio: comunicazione interculturale.
Giacché la mia più grande passione è viaggiare, cerco di occuparmi anche di fotografia e video, sia per avere personalmente ricordi validi per gli anni a venire, sia per trasmettere anche alle altre persone, in piccole dosi, le emozioni che provo in viaggio.
La mia ultima avventura, mi ha portato da Torino all’Islanda in bicicletta, attraverso l’Europa e per 1700 Km circa. Vi chiederete perché… In primo luogo per viaggiare in un modo diverso dal solito, poi perché l’esperienza del viaggio in bicicletta è una cosa unica nella vita, necessariamente da provare e un modo di viaggiare che davvero ti fa sentire libero, rispettando anche la natura, perché per la meta che ho scelto, il rispetto era essenziale.
Da dove e’ partita l’idea di un viaggio in bici dall’Italia all’Islanda?
L’idea di questo viaggio si è evoluta un po’ col tempo. Si arriva a un certo punto che alcuni tipi di viaggio, per quanto interessanti possano essere, ti portano a voler essere isolati dal resto del mondo e dalla civiltà. L’idea era quindi di partire in sella a una bici, unico compromesso tra silenzio, attività fisica e avventura.
Ho deciso quindi di partire per una meta che offriva ampi spazi di solitudine ma anche buone possibilità di incappare in situazioni avventurose. La scelta, dopo qualche indecisione, è caduta sull’Islanda, e una volta iniziata a conoscere quella incredibile isola, la voglia di partire è stata sempre un crescendo.
Perché hai scelto proprio l’Islanda come meta finale del tuo viaggio?
Perché ancora non ho il passaporto; veramente… Non avendo il passaporto, e dovendo affrontare qualche spesa per la nuova attrezzatura e volendo rinnovare il corredo fotografico, da povero studente non avrei voluto aggiungere altri aggravi alla mia già compromessa salute finanziaria, tagliando le spese di visti, permessi e passaporti. Non avevo molta voglia di andare in commissariato a fare file, compilare moduli ecc ecc…
Al di là di questi piccoli miei pensieri, che ovviamente hanno influito molto poco sulla scelta della meta, ho scelto l’Islanda per concludere un capitolo della mia vita che riguarda l’Europa: l’unico paese geograficamente europeo che ancora non ho avuto il piacere di visitare. In ogni caso è difficile trovare un paese relativamente piccolo e che offre una tale quantità di spettacoli naturali, incontaminati e soprattutto veri, senza barriere di protezione, senza un eccessivo affollamento da turisti in bus organizzati.
L’Islanda è conosciuta per avere, climaticamente parlando, un carattere molto difficile e dei territori molto aspri: tutto ciò mi ha invogliato a sfidare un po’ quest’isola, alla ricerca di una natura che ancora non conoscevo.
Avevi già avuto esperienze di questo tipo oppure è stata la tua “prima volta”?
Nonostante abbia avuto la fortuna di viaggiare parecchio, Turin-Iceland è la prima occasione in cui mi sono trovato a dover affrontare in quasi totale autosufficienza lunghi periodi d’isolamento, dove trasportavo con me tutto il necessario per dormire e per cibarmi. Nonostante in Islanda ci siano zone lontane centinaia di chilometri da punti di rifornimento e la maggior parte del territorio sia praticamente isolato, si incontrano ogni tanto delle automobili sulla strada per cui il viaggio non è risultato al limite delle possibilità umane.
Da quanto tempo avevi in mente questo viaggio?
Come dicevo prima tutto è nato quasi per caso durante un viaggio precedente, ed è stato organizzato subito dopo. Penso però che inconsciamente, l’idea di un viaggio così è sempre stata dentro di me, così come credo che chiunque ami viaggiare abbia il desiderio di sfidare i propri limiti e partire per un’esperienza fantastica, visitando luoghi unici e vivendo esperienze lontanissime dalla vita di tutti i giorni.
Ripensandoci poi, questo viaggio è stato per me un traguardo personale molto importante, ma non per i chilometri percorsi o per le difficoltà in generale, ma proprio perché non mi sono molto curato di questi aspetti… spiego meglio: avendo viaggiato in bicicletta, diversamente da molti che lo fanno, non ho compilato statistiche altimetriche, rapporti di potenza, frequenza, intensità o altre cose strane come fosse una gara o un evento sportivo, se devo essere ancora più sincero non ho neanche spesso contato i chilometri percorsi al giorno e non mi sono curato molto delle distanze, quello che mi ha portato avanti è stata solo la voglia di viaggiare in libertà; se avessi voluto lasciare la bici in un fossato, sarei stato più che libero di farlo.
La gioia più grande è stata sapere che, tra tutti i chilometri percorsi, nemmeno uno è stato sofferto perché a muovermi era solo la voglia di scoprire la meta successiva, del resto sono un viaggiatore, non un ciclista…
Hai mai avuto dubbi / ripensamenti nei mesi precedenti la partenza? Se si quali e come li hai superati?
Durante i preparativi non ho mai pensato al viaggio sotto l’aspetto dei pericoli o di possibili inconvenienti; ovviamente cercavo di capire e informarmi il più possibile sul luogo in cui mi sarei trovato per attrezzarmi al meglio, però non mi sono mai fermato a riflettere su quello che in realtà poteva capitarmi, e se lo facevo, risolvevo semplicemente con un “Boh, poi si vedrà…”.
Si potrebbe pensare che sia un ragionamento da ragazzino arrogante e troppo sicuro di sé che non sa quali rischi si potrebbero correre, ma in realtà, se mi fossi fermato a cercare di risolvere uno per uno tutti i possibili problemi che avrei incontrato lungo la strada, o ancora non sarei partito, o lo avrei fatto dentro una bolla di gomma.
I rischi ci potrebbero essere, ma non sono tanto diversi da quelli che corriamo ogni giorno nelle città, e poi, se dovessimo aver paura di sfidare noi stessi o l’ambiente che ci sta intorno, quale sarebbe il divertimento della vita? E’ arrivato il momento di una perla di saggezza, posso dire anche la mia no? Eccola: si potrebbe paragonare la vita a una bella candela, si può accenderla per farla brillare o si può lasciarla spenta per sempre, a noi la scelta.
Come hanno preso amici e parenti questa tua decisione di partire in bici per l’Islanda?
Al posto mio alcuni direbbero “i miei parenti e i miei amici mi hanno definito pazzo” e così via, i miei partenti e i miei amici non hanno detto niente. Nessuno ha espresso nemmeno un parere, e sono due le cose: o Gabriele ha degli amici e dei parenti un po’ del cacchio, oppure sono fiduciosi e credono in lui senza esprimere alcun parere in anticipo, convinti che l’impresa sarebbe stata portata a termine con successo…
Di questo non ne so molto, ma per quanto mi riguarda, tra le poche persone che si sono preoccupate e che sicuramente hanno creduto in me, ci sono e miei genitori, e mia mamma, che mi diceva sempre “Ah, queste idee bislacche, pensa a studiare, e perché non vieni con noi in camper??” ma anche lei in fondo, voleva facessi una cosa così, perché sa quanto ami viaggiare…
Quanti chilometri percorrevi di media al giorno?
Da Torino a Copenaghen, nei giorni in cui pedalavo la media è stata di circa 100, poi, in Islanda, visto le condizioni delle strade, spesso sterrate, i venti e la pioggia, la media non saliva al di sopra dei 50Km. Lì inoltre preferivo prendermela con calma a esplorare per bene i posti e magari fermarmi per qualche giorno ad ammirare i paesaggi piuttosto che stare a pedalare, nessuno mi correva dietro.
Come eri organizzato per vitto e alloggio?
Tutte le notti del viaggio, circa 43, le ho passate in tenda, con temperature molto varie: dai 30 gradi in Italia, ai -5 in Islanda, tra il ghiaccio, la brina mattutina, i venti sferzanti e spesso pioggia incessante. Spesso la notte non riuscivo a dormire per il freddo, e quando lo facevo, intorno alle 5 di mattina ero già sveglio poiché il corpo, non essendo più in una fase di sonno profondo, si accorgeva del freddo…
Per quanto riguarda l’alimentazione, inizialmente ho portato con me un bellissimo fornellino a gas col quale cucinavo velocemente un sacco di gustose pietanze, liofilizzate ovviamente; tuttavia l’unica comodità decente che mi ero concesso per il viaggio, ha deciso di smettere di funzionare, per cui ho dovuto provvedere alla costruzione di un piccolo fornellino ad alcool con delle lattine, che mi ha tenuto compagnia per tutto il viaggio e ha funzionato perfettamente.
Hai mai avuto grossi problemi “tecnici” e fisici?
Problemi tecnici fortunatamente no, non ho nemmeno mai forato; l’attrezzatura invece, per quanto amatoriale, non ha mai dato alcun tipo di problema. L’unico inconveniente del viaggio è stato un problema al motore: il mio ginocchio. I primi giorni di viaggio, quando ancora ero in Italia, m’è venuta una brutta infiammazione e sono stato costretto a tornare indietro e star fermo per circa un mese.
E’ questo il motivo per cui ho affrontato il viaggio a settembre invece che ad agosto. Per il resto il viaggio s’è rivelato semplice sotto questo punto di vista, nessun inconveniente particolare, e questo conferma la mia tesi: non pensare troppo ai problemi e alle possibili conseguenze tanto, o ci saranno comunque un mare di rogne e dovrai risolvertele da solo o non ci sarà nessun problema per cui, preoccuparsi fin dall’inizio non ha senso.
Qual e’ stata l’emozione più grossa che hai provato, il momento più bello di tutto il viaggio? E quello più brutto?
Un giorno ho incontrato un gruppo di ragazzi che si occupavano di rafting, e, insieme a loro abbiamo disceso le acquee gelide del Jokulsa Austari, un fiume artico; visto che indossavamo una sorta di muta, abbiamo avuto la possibilità, dove la corrente era meno forte, di tuffarci nel fiume e farci trasportare per qualche centinaio di metri dalla corrente, tra un cielo limpidissimo in quel giorno, i canyon e l’acqua scrosciante. La sensazione di libertà provata in quei frangenti era unica e indescrivibile: galleggiare lo sentivo come sinonimo di libertà.
Devo dire che sensazioni molto spiacevoli non ne ho provate, al massimo una serie di piccoli inconvenienti rovinavano parte delle mie giornate, ma i momenti in cui rimpiangevo casa sono stati veramente pochi; nei momenti in cui ero depresso, mi bastava concentrarmi sul paesaggio intorno a me e tutto passava.
Il tratto più difficile dell’intero percorso qual è stato? e perchè?
La parte più difficile del percorso senza dubbio è stata la F35, la pista interna che taglia per l’interno dell’isola, circondata dal Langjokull e dallo Hofsjokull, due enormi ghiacciai secolari.
La pista è lunga più di 200 Km e i punti di rifornimento si trovano solo a metà strada. Non è stata quella di certo la prima in cui mi trovavo a centinaia di chilometri lontano da tutto, ma le condizioni della strada erano veramente pietose: era impossibile trovare riparo dal vento incessante e a causa di questo, non mi spostavo più velocemente di 7Km/h e i sassi, le buche e il vento disturbavano moltissimo l’andatura.
Inoltre, il paesaggio identico chilometro per chilometro, quella distesa infinita di pietre e sabbia vulcanica erano mentalmente molto difficili da accettare e spesso lo stress dello sforzo fisico, unito a quello mentale di un paesaggio impervio e arido come quello hanno reso quella la parte di viaggio più dura.
Che consigli daresti a tutti coloro che sognano un’avventura come la tua ma non trovano il coraggio di partire?
L’unico consiglio che posso dare è quello di continuare a impegnarsi affinchè i propri sogni possano essere realizzati e soprattutto muoversi da soli: inutile aspettare che ci sia qualcuno che un giorno ci chiami e ci dica di unirsi a lui per un viaggio così; se non si mette in piedi un progetto per conto proprio ma si aspetta l’occasione della vita per un grande viaggio, non lo si farà mai. Partite, soli e senza pensare molto, se vorrete qualcuno con voi, sicuramente lungo la strada lo incontrerete.
Ci racconti qualcosa del tuo prossimo progetto di viaggio?
Molti dicono che andrò in Vietnam in motorino, è vero; la mia intenzione è quella di arrivare li in qualche modo, si pensava ad attraversare l’Europa in autostop fino a Mosca per poi prendere un treno, la tratta transmongolica, fino a Pechino, per circa 9000 Km e 7 fusi orari.
Da lì vorrei continuare fino al nord del Vietnam, da dove incomincia il vero viaggio: dopo aver acquistato un minsk 125, un vecchio motorino russo che sicuramente darà una valanga di problemi, percorrere qualche migliaio di chilometri a zonzo nel paese alla scoperta della vivacissima cultura del posto, cercando di entrare nella vita delle persone, dormendo e mangiando insieme a loro.
Riding Asia 2012 sarà probabilmente il nome del prossimo viaggio, ancora è presto per dare notizie certe, ma in linea generale, è questo quello che ho in mente; l’ultimo viaggio natura e isolamento, il prossimo cultura e sovraffollamento…
Potete seguire le avventure di Gabriele attraverso il sito internet gabrielesaluci.com
Fondatore e autore di NonSoloTuristi.it e ThinkingNomads.com.
110 nazioni visitate in 5 continenti. Negli ultimi 6 anni in viaggio per il mondo con mia moglie Felicity e le nostre due bambine. Instagram @viaggiatori
Ciao, bella intervista, questa si che deve essere stata una super avventura! Sai, anche io ho uno spirito avventuriero e in ognuno dei miei viaggi cerco sempre di unire un po’ di avventura, a volte a discapito della mia ragazza Marta che mi segue ovunque..
Che spettacolo di avventura…