“La foresta ti ha” è un titolo che fa pensare. Questa insolita struttura grammaticale, così poco melodiosa, così stridente, così volutamente ruvida e dissonante, è un sussurro a cui non si può reagire con indifferenze. Se poi è il caso che si abbia il libro di Luis Devin tra le mani, le prime righe cominciano subito a dare concretezza a quest’oscura premessa.
Ti stringe a sé, ti protegge. Ti striscia sui piedi e ti vola addosso, ti graffia. Ti nuota intorno quando entri nell’acqua. Ovunque tu sia, senti la sua voce. Il suo odore. Il suo respiro. Anche a volerlo non puoi nasconderti, perché i suoi occhi sono dappertutto. E un po’ alla volta ti trasforma. Ti inghiotte e comincia ad assorbirti, ti digerisce.
É la foresta. Una presenza avvolgente in cui Luis si è sprofondato per anni nel corso delle sue ricerche antropologiche in Africa centrale. Come altri prima di lui, in fondo. Ma Luis Devin è riuscito a distinguersi da molti suoi colleghi per alcuni tratti professionali molto peculiari. Intanto, oltre che antropologo, è diplomato in Composizione, Musica Corale e Direzione di Coro, e infatti dopo la laurea ha conseguito un dottorato di ricerca in etnomusicologia. Non so bene questo come lo ponga nelle gerarchie del settore, ma in un luogo dove la tua lingua è una cacofonia incomprensibile ai più e la foresta opera un concerto continuo a cui la lontananza dalle tecnologie moderne ti consegna irrimediabilmente, conoscere il linguaggio universale della musica mi pare una risorsa straordinaria, se non per comunicare con l’esterno, almeno per incorniciare la propria esperienza in un quadro sensoriale estremamente completo e sofisticato.
Inoltre Luis è recentemente entrato a far parte della comunità baka. Un risultato non da poco, dal momento che si è sottoposto a un rituale antichissimo e gelosamente custodito in gran segreto, a cui nessun occidentale viene mai ammesso e raramente altri popoli africani vi assistono. Si è sottoposto al rituale di iniziazione che segna l’ingresso alla vita adulta dopo un lungo periodo di convivenza con questo popolo appartenente alla famiglia dei pigmei. Cacciatori e raccoglitori, abitanti della foresta pluviale del Camerun, del Gabon e del Congo, i pigmei baka sono il popolo della foresta, un’entità estremamente tangibile con cui vivono in simbiosi.
Ogni animale cacciato, pesce pescato o frutto raccolto è come un’offerta. Un sacrificio che la foresta fa di se stessa, un dono di cui devi essere grato.
Ma per quanto generosa, la foresta impone la sua legge anche agli uomini e alle donne che se ne nutrono. La prima lezione che i baka hanno trasmesso al giovane antropologo italiano è che tutto è destinato a ritornare ad essa, tutti sono parte di un grande organismo che al suo interno si rinnova e offre nuova linfa alle creature più giovani.
Un albero che cade dalla parte sbagliata, un leopardo affamato, una malattia, un piccolo mamba verde tra le foglie della tua capanna. E tutto ricomincia da capo. Alla fine restituisci sempre quello che hai preso. Sei riciclato come tutte le cose.
Il racconto che l’autore offre della sua esperienza va ben aldilà del pur ricco resoconto scientifico. É l’intima storia di un rapporto di amicizia con un popolo straordinario, l’onesta descrizione delle difficoltà nei rapporti personali, delle sfide al limite delle proprie capacità fisiche e psicologiche. È la storia autobiografica di un alieno che sbarca in un pianeta estraneo, e con pazienza, determinazione e sensibilità si fa accettare dai suoi abitanti. E non ne tradisce la fiducia nemmeno quando ritorna alla sua civiltà per descriverne gli usi e le tradizioni.
Ogni passaggio presentato in “La foresta ti ha” è stato approvato dai suoi amici baka. Ogni suono, immagine e situazione descritti rispettano la fiducia che gli è stata concessa. Ci sarebbe molto altro da dire e da vedere, ma ciò che Luis ha lasciato nella foresta, appartiene solamente alla foresta.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.