Lo zaino ben piantato sulle spalle, poche idee chiare, molti sogni. È così che prosegue il mio viaggio intorno al Mediterraneo, la mia ultima fuga dall’età adulta in cerca di una dimensione meno atrofizzante.
Mi sono da poco lasciato alle spalle le Cinque Terre e Genova per approdare al mio primo porto in terra straniera: Marsiglia. Era da molto tempo che desideravo visitare questa città di cui tanto si parla ma che in pochi realmente conoscono, però non mi si era mai presentata l’occasione. Il porto francese per eccellenza, famigerata terra di intrighi montecristiani scaturiti dal genio letterario di Dumas, Marsiglia ha fama di essere una città vitale e coinvolgente, intrigante e un po’ pericolosa.
Arrivato alla stazione di Saint Charles ne ho subito assaporato la grandiosità dalla scalinata che si protrae verso Port Vieux – elegante salottino per turisti e coppie innamorate – ma arrivato a un piano di esistenza più terreno ho dovuto ammettere che nel suo straordinario multiculturalismo qualcosa si è inceppato tra gli ingranaggi dell’integrazione sociale. Tra la variegata comunità africana che arricchisce con i suoi sapori ogni angolo della città non tutti hanno trovato la loro giusta collocazione, alcuni si aggirano come ombre tra i vicoli trascurati della vasta metropoli.
Devo anche aggiungere che durante la mia permanenza non ho mai avvertito alcun pericolo tangibile e che anzi i marsigliesi – quale che fosse la loro origine – si sono sempre rivelati molto cortesi e affabili quando elemosinavo indicazioni stradali dopo essermi perso, cosa che capitava con una frequenza di circa otto volte al giorno. Però comprendo che alcuni visitatori più inclini al melodramma potrebbero percepire con diffidenza alcune scene di vita urbana non molto serene, e il buon vecchio consiglio di non infilare il naso nei quartieri meno frequentati oltre una certa ora è anche qui perfettamente valido e condivisibile.
Più che una cartolina in cui forme e decori si sposano in armonie delicate, Marsiglia è un agglomerato urbano piuttosto grigio e spigoloso costellato di alcune notevoli meraviglie architettoniche. Poche aree sono veramente un rinfresco per gli occhi, piccoli quartieri in cui antico e moderno hanno trovato un felice equilibrio che ora viene offerto ai turisti in cerca del fascino romantico della Provenza.
Il già citato Vieux Port è l’area centrale della costa e ospita una serie di raffinati ristoranti di pesce. In uno di questi ho tentato inutilmente di assaporare la rinomata bouillabaisse, una particolare zuppa di pesce tipica di Marsiglia – ma guai a chiamarla zuppa in presenza di un francese! – però al prezzo di 63 euro a porzione la mia compagna di banchetto si è tirata indietro e non potendo ordinarla per meno di due persone mi sono dovuto accontentare della altrettanto popolari cozze con patatine fritte, che detto così sembrano gli avanzi recuperati all’incrocio con un fast food ma qui è un piatto servito con grande orgoglio.
Il quartiere Panier è un grazioso gomitolo dal fascino antico di vicoli e salite costeggiati da piccoli ristorantini e allegre brasserie, mentre la zona Pharo, contigua al Vieux Port, offre ammirevoli scorci sulla baia soprattutto al tramonto, oltre ad un’intima spiaggetta e una conca molto graziosa usata come molo dai pescatori.
Per godere di un’impareggiabile vista su tutta Marsiglia mi sono anche arrampicato su per interminabili salite fino alla Cattedrale di Notre Dame de la Gare, solo per scoprire che tale tempio della cristianità gotica chiude i cancelli alle sei di sera. La mia scarsa forma fisica non mi ha consentito di arrivare prima delle sette, perciò mi sono dovuto accontentare del leggermente meno appagante scenario offerto dai parcheggi sottostanti.
Lascio Marsiglia con due soli rimpianti: la bouillabaisse e l’inesorabile incalzare del tempo. Avevo infatti appena cominciato a capire in quali ristorantini infilarmi per non sentirmi un pezzente ogni volta che un cameriere mi rivolgeva uno sguardo sprezzante e dove farmi servire delle ottime baguette ripiene di gamberetti e insalata, in modo da sfuggire all’onnipresente assillo dei kebab, quand’ecco che era giá ora di ripartire.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.