Perché andare (e non andare) in Minnesota e in North Dakota

Quando arrivo all’aeroporto di Minneapolis sono frastornata: non ricordo quante ore prima sono partita, non so che giorno sia, e mi sono quasi dimenticata il motivo del viaggio. Ma per fortuna oltre il controllo passaporti vedo Alyssa. La abbraccio velocemente, all’americana, senza baci sulla guancia. Mi spiega che nemmeno il suo volo da New York, dove vive, è stato semplice: tra i ritardi e una connessione persa ci ha impiegato poco meno di me ad arrivare in questo angolo del Midwest.

Quando usciamo vengo colpita da una sferzata di aria gelida: siamo a marzo, ma la temperatura è quella di una giornata di gennaio. Alyssa si mette al volante della Pontiac a noleggio: guida per quattro ore, mentre io guardo scorrere dal finestrino i nomi di paesi che sembrano usciti da un film: Cold Spring, Little Falls, Long Prairie… Dalle parti di Deer Creek ci fermiamo per un caffè: siamo lungo la US10, e la casupola di legno sembra buttata lì per caso.

White Earth Reservation - Minnesota, USA

Entro un paio di ore dovremmo arrivare a destinazione, al White Earth, la riserva indiana dove passeremo la notte. Cerco di tenere a mente di non usare la parola “indiano”, ma il termine “nativo”, più corretto e con meno connotazioni razziali. Dopo altre 60 miglia arriviamo all’Ice Cracking Lodge: assomiglia a un campeggio, con la reception di legno e i piccoli bungalow sparsi nel bosco, in riva all’Ice Cracking Lake. La donna che ci accoglie ci spiega come arrivare alla nostra cabin e ci dice che siamo le uniche ospiti. Non stento a crederlo, dato che è un posto dimenticato da qualunque divinità. Le chiediamo dove sia possibile cenare e lei ci risponde con un gesto della mano, indicando la finestra: “Not far, drive south along the 35.”

White Earth Reservation - Minnesota, USA

“How far?” domando. “Coupla hours” dice, scrollando le spalle. Un paio di ore. Quattro, tra andare e tornare. La donna sparisce nel retro, e quando ritorna ci porge una pizza surgelata. Forse si è impietosita, o forse teme che potremmo uccidere un castoro a mani nude pur di mettere qualcosa sotto i denti. Quando più tardi crollo nel letto a castello non ho il tempo di rendermi conto che in altre circostanze il pensiero di passare la notte in un campeggio nel mezzo del nulla mi avrebbe impedito di chiudere occhio.

White Earth Reservation - Minnesota, USA

Il mattino dopo, alla luce del sole, tutto sembra diverso. Partiamo verso il quartier generale della White Earth Reservation, a un’ora d’auto. Veniamo accolte da Sarah, una ragazzona che ci offre due tazze gigantesche di caffè. Appena il tempo di riscaldarci e ci accompagna fuori, a vedere i laboratori dove le donne della riserva lavorano il manoomin, il riso selvatico. La raccolta è stata fatta mesi prima, a settembre: gli uomini della tribù Anishinaabeg partono in canoa per raccogliere i chicchi direttamente dai laghi.

White Earth Reservation - Minnesota, USA

Sarah ci presenta una vecchina dalla pelle di cuoio, intenta a dividere i chicchi buoni da quelli da scartare: la donna ci spiega che la parola manoomin significa “bacca buona”. Questo tipo di riso, infatti, permette ai nativi di ottenere un ottimo raccolto che non ha bisogno di essere né piantato né accudito. Si occupano anche della tostatura, fatta in contenitori di rame su fuoco a legna. Gli Anishinaabeg sperano di farsi conoscere al di fuori dei confini della riserva, e magari anche in Italia.

White Earth Reservation - Minnesota, USA

Passiamo la giornata parlando con i vari addetti alla preparazione del riso, e quasi non ci accorgiamo del freddo. Di sicuro non soffriamo la fame, dato che ogni persona che incontriamo ci invita nel suo bungalow e ci offre caffè bollente, pecan pie, o semplicemente del manoomin cotto a vapore.

Nel pomeriggio la nostra missione giunge al termine: non dobbiamo fare altro che rimetterci al volante. Chiedo ad Alyssa di rinfrescarmi la memoria sul posto in cui siamo dirette. “To Fargo. You know, like the movie?” Non rispondo, ma ricordo perfettamente: il nostro aereo per New Orleans partirà da Fargo il mattino successivo.

Quando superiamo il confine tra il Minnesota e il North Dakota è buio pesto e le strade sono deserte. È tardi e fa freddo, al punto che la neve ai lati dei marciapiedi sembra essere lì da tempo immemore. Non sarebbe male vedere qualcuno a cui chiedere indicazioni: guidiamo da mezz’ora alla ricerca dell’hotel tra la 5a Strada e la 2a Avenue. Non dovrebbe essere difficile orientarsi in una città in cui le vie in orizzontale si chiamano avenue e quelle in verticale street. Ma non avevamo prestato attenzione alla distinzione tra il north e il south della città, divisa in due dalla Main Avenue.

Fargo - North Dakota, USA

Il navigatore ci porta nella parte giusta della scacchiera facendoci passare lungo altre strade deserte, costellate di vetrine buie di lavanderie, macellerie, parrucchieri. Arriviamo al palazzone anonimo del Radisson, che svetta sopra le case di due o tre piani.

A questo punto la fame si fa sentire, ma né io né Alyssa abbiamo voglia di ordinare dal deprimente menù in camera. Chiediamo al receptionist, che ci indica un locale senza troppe pretese a un paio di isolati. Dopo pochi minuti raggiungiamo lo Smiling Moose Deli, che tutto sembra fuorché smiling. Ordiniamo la zuppa di pomodoro e un club sandwich, il tutto accompagnato da un bicchierone di acqua del rubinetto.

Sarà per via della stanchezza, ma il cibo è meglio del previsto. Mi ero immaginata un panino del genere Subway, ma il pane è fresco e il bacon croccante. Dopo aver mangiato in silenzio, forse contagiate dallo spirito del posto, torniamo in albergo, affrontando il freddo che sembra aver inghiottito gli abitanti della città. Quando arrivo in camera sono spossata: gli ultimi due giorni sono stati intensi, ma sono soddisfatta. Quando mai mi capiterà di passare un’altra sera a Fargo?

Informazioni pratiche

Ice Cracking Lodge – 30388 Cty Hwy 35, Ponsford, Minnesota

Radisson Hotel Fargo – 201 5th St N, Fargo, North Dakota

Smiling Moose Deli – 102 Broadway #104, Fargo, North Dakota

Foto di copertina: Randen Pederson

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