La penisola di Snaefellssness, a nord di Reykjavik, è dominata dal profilo del vulcano Snaefells e del suo ghiacciaio. È proprio qui, dal cratere di questo vulcano, che Jules Verne fece iniziare la sua avventura del “Viaggio al Centro della Terra”.
Nel cratere Yökull dello Snæffels che l’ombra dello Scartaris tocca alle calende di luglio, scendi, coraggioso viaggiatore, e raggiungerai il centro della terra.
Le calende di luglio sono passate da un po’, ma se davvero fossimo stati alla ricerca del cratere giusto per ripetere l’epopea del professore Otto Lidenbrock e di suo nipote, non ci sarebbe stata alcuna ombra a guidarci, dal momento che per tutta la giornata il vulcano è rimasto nascosto dietro una coltre di nubi e di nebbia. Insomma, lo abbiamo visto meglio dalla lontana Reykjavik, stagliarsi contro un cielo azzurro e privo di nuvole: guardando verso nord-ovest il vulcano era lì, con il suo ghiacciaio, tutto bianco ed azzurrino, perfettamente visibile nonostante i centoventi chilometri di distanza.
Si dice infatti che lo Snaefells sia uno dei punti della terra dove si concentra maggiormente l’energia cosmica in grado di ricaricare le batterie di qualsiasi animo stressato dal lavoro e dalla routine quotidiana. Vengono in tanti qui – preferibilmente ricchi e famosi, notoriamente i più soggetti allo stress – solo allo scopo di rigenerarsi. Ed ogni anno si danno anche appuntamento per trascorrere una notte estiva sulla cima del monte, tutti insieme al gelo per “sentire” meglio l’ energia. Ma oggi forse le nuvole facevano da schermo a questa energia, perché non ne abbiamo minimamente beneficiato. Anzi, a fine giornata eravamo stanchi, diacci ed anche un po’ raffreddati. O forse questa “energia” è riservata ai ricchi ed ai famosi…
Proprio da qui prese il mare intorno all’anno 970 Erik il Rosso, un tipetto per niente tranquillo, un vichingo che si era trasferito dalla Norvegia perché era stato dichiarato fuorilegge in patria, e poi aveva subìto la stessa sorte anche in Islanda. Adesso aveva solo due possibilità: cercare di sopravvivere da solo negli inospitali e disabitati altipiani centrali, ben sapendo che chiunque avrebbe avuto il diritto di ucciderlo, oppure partire, cosa che egli fece. Ma non potendo andare ad est (era già stato bandito da là!), la sua rotta si diresse verso ovest. Il suo non era un gesto disperato né una follia. In Islanda tutti sapevano, da almeno mezzo secolo, che a ovest c’era terraferma. Un colono norvegese, tale Gunnbjörn, che i venti avevano spinto in quella direzione, aveva avvistato delle immense scogliere prima di riprendere la rotta per l’Islanda. Erik il Rosso raggiunse la Groenlandia e vi si stabilì, impartendogli finanche il nome che ancora porta. Ma la sua navigazione continuò, risalì la costa occidentale dell’ isola ed attraversò di nuovo il mare sconosciuto, fino a giungere ad un’altra terra: l’America.
Allora, la scoperta dell’America sarebbe partita proprio da queste scogliere? Si dice infatti – ma non si sa quanto sia storia e quanto sia leggenda – che in un vecchio porto che si chiama Ingjaldsholl avrebbe svernato nientedimeno che Cristoforo Colombo. Qui si narra che nell’estate del 1477 attraccò lungo la costa, proprio all’ estremità della penisola da dove un tempo partì Erik il Rosso, una nave sulla quale era imbarcato un gentiluomo. Costui sarebbe stato il navigatore genovese, in viaggio di esplorazione. La nave si trattenne ad Ingjaldsholl per quasi un anno, ed il gentiluomo interrogò tutti i marinai della zona per conoscere dettagli della navigazione verso ovest. Insomma, in un modo o nell’altro Snaefellsness ha a che fare con la scoperta dell’America.
Oggi a Ingjaldsholl non c’è più la nave di Colombo e non c’è più nemmeno il porto. Un tempo questa era una delle zone più pescose dell’Islanda, e numerose comunità vivevano di quanto riuscivano a prendere dal mare. Nel diciannovesimo secolo però le cose iniziarono a cambiare, le acque si fecero meno pescose, le nuove tecniche permisero di esplorare zone poste più al largo e più redditizie, e l’economia della penisola lentamente decadde, i villaggi si spopolarono, anche le fattorie vennero abbandonate. Oggi l’area vive soprattutto di agricoltura e di turismo.
Djupalon è una bella spiaggia di ciottoli neri con bizzarre formazioni di lava basaltica ai suoi estremi. Un sentiero scende dal bordo dell’altipiano verso la spiaggia, che si rivolge al mare aperto spesso burrascoso, ed è disseminata di resti di naufragi, in particolar modo di rottami arrugginiti e contorti dalla forza delle onde di una nave affondata qui nel 1948.
Stykkishólmur sorge lungo il litorale Nord della penisola ed è un villaggio di pescatori con un porto molto bello e protetto, chiuso all’imboccatura da un’imponente isola, Stykkið. Fu fondato nel 1550 come centro di scambi commerciali ed è uno dei pochi paesi piacevoli da vedere di questa terra che – a causa della ancestrale povertà (ormai superata) e dell’asprezza del clima – privilegia gli aspetti pratici a quelli estetici: un gruppo di case di legno raggruppate intorno al piccolo porto, ben tenute e ridipinte di recente, un accogliente bar ristorante; e oltre una collinetta ed un’orrenda chiesa moderna, una baia dove trovano riparo barche di pescatori, con ancora qualche vecchia abitazione che si affaccia sulla riva ed un minuscolo cimitero, con solo tre tombe.
Ho girato il mondo in largo e per un bel pezzo anche in lungo, e sono sempre ritornato con la voglia di raccontare e condividere le emozioni vissute. Per lungo tempo il mio strumento è stata la macchina fotografica: collaboro con alcune delle maggiori agenzie fotografiche e le mie foto sono state pubblicate su prestigiose riviste. Adesso ho deciso di aggiungere alle immagini le parole ed il risultato è questa mia collaborazione con NonSoloTuristi, oltre che il mio blog personale.