Quanti di noi dopo aver letto i libri di Terzani o aver visto il film “Into the Wild” hanno pensato: “Adesso mollo tutto e me ne vado”? Claudio Pelizzeni lo ha pensato e poi lo ha fatto. Si è licenziato e ha venduto l’auto per un viaggio intorno al mondo di 1000 giorni, toccando tutti e cinque i continenti.
Si è imposto un’unica regola: non prendere aerei. Inoltre lui aveva di fronte un ostacolo in più: il diabete. Dopo aver parlato con lui mi sono fatta l’idea che la sua malattia sia stata una leva in più, un motivo da aggiungere alla già lunga lista per dimostrare che volere è potere, in tutte le situazioni, anche quelle in cui sembra di partire con parecchio svantaggio. Ecco cosa mi ha raccontato Claudio da Katmandù nel suo cinquantesimo giorno di viaggio.
Claudio, vado a dritta al punto: qual è l’obiettivo dei tuoi 1000 giorni intorno al mondo?
Parto con il dire che i 1000 giorni sono stati strumentali nel senso che sono facilmente comunicabili e poi, diciamolo, sono anche un po’ poetici. La verità è che è nata in me questa voglia di fare il giro dei cinque continenti e più o meno ho stimato che ci volessero due anni e mezzo. La voglia di partire, ad un certo punto della mia vita, è diventata necessità, un fuoco dentro che non potevo più ignorare. Sentivo che solo uno stacco totale, il riappropriarmi della mia vita e della mia libertà potevano essere la soluzione. Proprio per questo sto prendendo questo giro del mondo in modo molto serio, come una grande opportunità, e sempre per lo stesso motivo mi impegno a fondo per raccontarlo nel migliore dei modi sul mio blog. Ho scelto il video come mezzo preferenziale perché lo trovo particolarmente adatto a trasferire in modo più coinvolgente e diretto ciò che sto vivendo a coloro che mi seguono. Dietro ogni video ci sono ore di lavoro di montaggio ma, a giudicare dalla risposta che ho raccolto fino ad ora, sembra che il mio sforzo venga apprezzato.
C’è un viaggio che hai fatto in passato che ti ha ispirato particolarmente o che ti ha fatto innamorare dei viaggi?
Si, appena laureato sono partito per andare in Australia e ci sono stato per dieci mesi. Sono partito con due valigie da 25 chili che, dopo un mese, sono finite in un deposito bagagli per essere sostituite da uno zaino da dodici. L’Australia mi ha stravolto la vita, è nato tutto lì ed è anche per questo che in questo mio giro ci tornerò, sento di doverlo a questo paese che mi ha regalato così tanto.
Hai poi fatto altri viaggi?
Appena avevo la disponibilità di tempo e di soldi partivo. Sono stato nel Sud-Est asiatico, nel Centro America e in Africa. Considera anche che io ho un’altra leva che mi spinge a viaggiare: la passione per la subacquea, sport che sembrerebbe non collimare con la mia malattia. Invece, con l’aiuto di mio fratello che è istruttore di subacquea, sono riuscito a prendere il brevetto, dimostrando che anche questo per un diabetico è possibile, basta avere la testa sulle spalle.
A decisione presa avrai dovuto anche comunicarla alla tua famiglia e, suppongo, nel tuo caso, anche ai medici che ti seguono. Hanno appoggiato tutti la tua decisione?
Fermo restando che non mi avrebbe fermato nemmeno il mio medico, proprio l’incontro con lui è stato uno dei momenti più belli di preparazione al viaggio. Non solo non ha ostacolato la mia decisione ma, essendo lui un sostenitore del paziente come primo medico di sé stesso, ha appoggiato in pieno la mia decisione dandomi massima disponibilità a seguirmi durante questo mio viaggio. Proprio per questo siamo in costante contatto. Per quanto riguarda i miei, beh, forse un po’ se lo aspettavano perché la prima frase che mio padre ha detto è stata “è la cosa più folle che ti abbia mai sentito dire, ma paradossalmente la più sensata”. I miei genitori mi conoscono e sanno che non ero più felice, per cui mi sono stati e mi sono tutt’ora di grande appoggio.
Parliamo di budget: sappiamo tutti che non si viaggia gratis e rimanere tre anni in giro per il mondo ha sicuramente un costo. Come ti sei organizzato tu sotto questo punto di vista?
La mia sfida è quella di compiere i 1000 giorni con 15.000 euro. Investirò tutta la mia liquidazione più la rendita della vendita dell’auto e, a dirla tutta, a 15.000 ancora non ci arrivo. Conto in Sud America di riuscire a fare qualche lavoretto. 15.000 euro è un budget impegnativo perché significa spendere non più di 15 euro al giorno. Fino ad ora non mi è stato possibile avendo attraversato paesi cari come Est Europa e Russia. In Cina invece sono riuscito a sforare di poco. Qui in Nepal riuscirò a risparmiare parecchio: la mia guest house, la più bella che io abbia avuto sino ad ora, costa 2,50 euro a notte.
Hai deciso di fare questo giro del mondo senza aerei. Paura o filosofia di viaggio?
Non si tratta assolutamente di paura, anzi, amo prendere gli aerei. Il punto è che mi sono accorto che l’aereo di catapulta da un posto ad un altro e inevitabilmente questo comporta perdersi qualcosa. Avendo tutto questo tempo a disposizione ho optato per un approccio lento e per il sudarmi ogni posto in cui arrivo.
50 giorni di viaggio: mi fai un rendiconto intermedio?
Per ora è andato tutto benissimo, lo dico in assoluta sincerità. Il problema più grande è stato a Mosca farmi capire per acquistare il biglietto per la Transiberiana. Non ho nemmeno trovato pesanti le 77 ore di treno della transiberiana! La Mongolia mi è piaciuta molto e la Cina ad ora è stata forse la sorpresa più grande perché ho trovato una popolazione eccezionale, cibo ottimo e trasporti organizzati alla perfezione. Certo, una volta arrivato in Tibet è inevitabile un po’ di disinnamoramento per questa nazione perché solo una volta lì mi sono reso conto di quello che sono stati in grado di fare. In Tibet la popolazione è palesemente diversa da quella cinese, il loro buddismo è diverso da quello cinese, eppure la polizia piazzata ad ogni angolo di strada è proprio lì a ricordare che si sta calpestando suolo cinese. Quello che è avvenuto e che sta avvenendo tutt’ora è vero genocidio culturale.
Prossima tappa del tuo viaggio?
Si tratta di una tappa che mi sta particolarmente a cuore ed è una di quelle opportunità che, come dicevo prima, può nascere viaggiando: tra pochi giorni mi sposterò in un orfanotrofio a pochi chilometri da Kathmandu per fare volontariato. La onlus con la quale sono riuscito ad organizzare questa mia esperienza è italiana e si chiama Human Traction. Ci starò due mesi che credo mi saranno molto utili e che mi arricchiranno, come uomo oggi e, chi lo sa, magari come padre un domani.
Per quanto riguarda il diabete, come ti sei organizzato fino ad ora e come prevedi di organizzarti in futuro?
Vorrei fare chiarezza su un punto fondamentale: una confezione di insulina può essere tenuta a temperatura ambiente fino a 28 giorni, motivo per il quale non è rigorosamente necessario viaggiare con un frigorifero a disposizione. Detto questo è ovvio che sarebbe meglio evitare gli sbalzi di temperatura. Proprio per questo, forte della mia esperienza di anni di campeggio, ho organizzato la mia scorta di un anno togliendola dalle scatole e avvolgendola nella carta di giornale che aiuta molto a mantenere la temperatura. Dopo di che l’ho inserita in borse termoprotettive nelle quali ho anche inserito mattonelle di ghiaccio che faccio ricongelare ogni volta che mi è possibile farlo. Finita la scorta di un anno conto di riuscire a farmela spedire dall’Italia attraverso l’aiuto di questo medico che mi sta seguendo. L’unico inconveniente che ho avuto è stata la rottura del dispositivo per il monitoraggio continuo della glicemia. Per fortuna ho contattato una ragazza che arriva dall’Italia e che verrà nel centro di volontariato dove andrò io nei prossimi giorni, la quale mi porterà un nuovo dispositivo. Nel frattempo mi sono arrangiato con il classico glucometro. Nel mio blog è possibile trovare la sezione “About Diabetes” nella quale inserirò di volta in volta anche i miei valori glicemici così che tutti ne possano prendere visione.
Claudio, un’ultima domanda: hai chiamato il tuo blog Trip Therapy perché pensi che il viaggio sia la terapia per il tuo male o per tutti i mali?
Io sono fermamente convinto che sia la cura per tutti i mali che ci affliggono che, nella maggior parte dei casi, sono di natura psicologica. Che poi non necessariamente deve essere il viaggio la terapia giusta per tutti. Ciascuno deve inseguire le proprie propensioni e i propri desideri. Nel mio caso coincidevano con il viaggio, da qui il nome del blog.
Vivo a Torino, città che amo profondamente, ma nonostante questo mio amore, spesso, sento l’esigenza di scappare lontano da lei per scoprire altri nuovi splendidi luoghi. Credo profondamente che anche viaggiare sia una forma d’arte e che più il viaggiatore sviluppa curiosità, fantasia e originalità, più saprà creare itinerari di viaggio meravigliosi.
Tanto di cappello a lui e gran bella intervista
Massimo rispetto per una persona che il coraggio non solo lo possiede ma lo condivide con il mondo. Lamentarsi MAI, AGIRE! – Complimenti a Claudio per quello che sta facendo, ad Elena per avermelo fatto scoprire. – Matteo