7 mila miglia intorno al mondo #33: attraverso lo Zambia

7MML coinvolge professionisti dell’immagine e della comunicazione in un viaggio ispirato dal cuore e guidato dal desiderio di conoscere altre realtà, finalizzato all’aiuto umanitario, alla valorizzazione etica ed estetica del viaggiare consapevole, alla sensibilizzazione ecologica nei confronti dell’ambiente.

Le tappe precedenti:

Ora la nuova squadra di avventurieri ha preso in carico i veicoli e le attrezzature ed è pronta per la traversata dal Sudamerica fino in Kenya. Le offerte raccolte da questa tappa verranno destinate all’organizzazione non governativa di cooperazione internazionale CESVI, che tra una grande varietà di progetti in Africa punta anche ad accrescere la disponibilità del cibo e l’accesso ad alimenti nutrizionalmente adeguati e a migliorare la conservazione dei viveri. CESVI lotta da anni contro la fame nel mondo attraverso progetti di sviluppo nel Sud e campagne di sensibilizzazione e educazione nel Nord del mondo. Partendo dalle sue competenze in tema di sicurezza alimentare, lancia la nuova campagna Food Right Now per educare e sensibilizzare la cittadinanza sul tema della lotta alla fame e sulla promozione del diritto al cibo per tutti.

Dal diario di Paolo Brovelli

In Zambia c’eravamo lasciati, e in Zambia ci ritroviamo, eccoci qui. Prendiamo il nostro visto, passiamo il confine e cominciamo a macinar chilometri… non prima d’aver preso una bella multa per eccesso di velocità. Lo Zambia è per noi una terra di passaggio, una specie di terra di mezzo, verso la meta finale, con il tempo che ci alita sul collo. Sette mila miglia sono tante, fatte d’un fiato! Le auto vanno bene, e dal finestrino ci riempiamo dell’Africa tropicale vera, come da copione. Verde-verde, azzurro-azzurro, marroni vari e quel rossiccio della terra che spesso affiora dall’asfalto rotto, e che speriamo che non piova, con gli squarci dalle fauci aperte che aspettano solo di diventare laghi… Dopo le cascate e Livingstone, sonnacchiosa ma piacevole cittadina di confine, puntiamo sulla capitale, Lusaka, per un colpo d’occhio sui mercati urbani e sulla prima nostra vera città d’Africa tropicale. Il caldo s’è fatto umido, e lungo la strada verso il Malawi, una delle due o tre asfaltate (non tanto bene, s’è capito) di questo gioiello lussureggiante e sconosciuto, si susseguono villaggi di capanne, tetti di paglia, palizzate e animali, biciclette cariche di merci e di conducenti grondanti come mottarelli sotto il sole, che ti si appiccica addosso come una ventosa bollente. Foresta e villaggi, coltivi e villaggi, pascoli e villaggi, villaggi, villaggi… Una terra di villaggi selvatici, pieni di polvere e odor di secco e latte cagliato, pieni di impronte di capre e di vacche, di fumi di legna e carbone, e di gente che guarda, seduta, la sua Africa. Poca gente, in verità, in questo posto incastonato nel cuore del continente, a mille chilometri da ogni mare. Solo tredici milioni di zambiani per una superficie più di due volte l’Italia.

Le cittadine son rare, di polvere rossa anche loro, d’edifici di fango intonacati di colori un tempo brillanti, ora smunti dal caldo e dai vapori terrosi. Qualcuno ci saluta, più spesso ci ignorano, con la coda dell’occhio, tanto per vedere chi sono questi ennesimi bianchi di passaggio. La sanno lunga. Sono secoli che i bianchi passano e spiano dai fuoristrada. Prima con i fucili da caccia grossa in braccio. Ora con gli zoom al collo. Come noi.

Il 12 marzo, in Zambia è dì di festa. Lo scopriamo per via, entrando a Chongwe, cittadina presso il parco nazionale del Lower Zambesi. È la festa della gioventù, una festa importante, fondamentale, in un paese in cui quasi il 50 per cento non supera i 15 anni. Ci sono tutte le scuole della città, bimbi e ragazzi con l’uniforme, piccole majorette dallo sguardo timido, c’è l’esercito, i corpi speciali, che sudano sotto i berretti, in fila per quattro, e i caporali e i sergenti che si pavoneggiano ai danni della soldataglia. C’è la banda, persino, e gli stendardi, e i falchetti politicanti non perdon l’occasione per piazzar le loro facce al vento. Eccoli lì, coi loro sorrisoni. Si stringono mani, si scambian sorrisi, si ossequiano preti, anzi pastori, perché da queste parti se son cristiani sono più che altro protestanti, sotto chiese diverse: Testimoni di Geova, Pentecostali, Avventisti del settimo giorno… Sfilano tutti, cantando e suonando, una processione colorata, scomposta ma marziale. Cantan la gioventù. Ma quale futuro per lei, in questo posto impestato dall’AIDS, dove chi nasce può sperar di vivere meno di cinquant’anni?

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