Un caldo sole di inizio autunno riempie gli occhi di questa mattina con la sua luce biancastra che rigenera anche le mie ossa.
Sono solo alla quinta tappa (leggi le tappe precedenti qui) di questo lungo percorso che ne comprende 27, e già mi rendo conto di quanto sia importante godere di ogni attimo del giorno. Tra poco arriverà l’inverno e dovrò rimandare i prossimi itinerari a stagioni più accoglienti, tuttavia ogni momento accadutomi sin qui, sento che ha avuto una sorprendente interazione su ciò che di chimico avviene all’interno del mio corpo.
A volte l’essere umano si è dimenticato di questa interconnessione e non è un caso che mi sia deciso a guardare l’Appenino percorrendolo ogni volta che ne ho l’occasione. Qui, molto più spesso di quanto avrei potuto immaginare, questa connessione è ancora viva e forse potrebbe essere da esempio per tutte quelle città che ho attraversato in pianura per giungere fino a qui. Un esempio per capire quale direzione prendere per un futuro vivibile sulla terra, per garantire alle prossime generazioni la permanenza su un pianeta ancora ospitale. Ancora non so se alla fine di questa tappa troverò una conferma a questo mio pensiero, ma sono già in sella per sperimentarlo.
Monte Sillano
Oggi sarà un’altra tappa d’altura. Comincio a pedalare riprendendo il cammino lungo la strada forestale che tocca il Passo della Comunella e poi poggio le due ruote sul versante toscano fino alle falde del Monte Sillano.
Il verde scuro che comincia a mischiarsi con il giallo ed il rosso, da un inconfondibile senso di sazietà agli occhi e mi chiedo chissà quali altri vivaci colori potrà avere nelle altre stagioni. L’aria non è pesante come a valle e il freddo tipico della stagione autunnale è più palpabile. A tutto beneficio per la salute dei miei polmoni e dell’ossigenazione del sangue necessaria per poter affrontare questo percorso. Mentre penso a quanto la nostra salute sia legata al clima di questo pianeta, mi meraviglio di quanti, invece, finiscono per avere ruoli importanti in questa società umana, senza dare priorità a ciò che sostiene i loro piedi.
Monte di Soraggio
Nonostante abbia deciso di fare del mio tempo quassù un qualcosa di più lento per poter aver molte occasioni di riflessione, non posso soffermarmi troppo sui miei pensieri o rischio di diventare come quel saggio di un’antica storia cinese che diventò saccente a furia di essere tutta teoria anziché pratica. E’ per questo che devo tornare al “fare” della vita e smettere di immaginare. Riprendo quindi nuovamente la via che mi porta nella placidità di un viottolo nel bosco. Incontro finalmente alcune persone e prontamente pratichiamo quella regola non scritta ma che è il segno di quella virtù che abbiamo chiamato gentilezza reciproca. Un gesto della mano come saluto è da sempre l’autentico lasciapassare per il cuore dell’altro e, mentre penso che dovrebbe essere sempre la prima cosa da fare in qualsiasi contesto, il mio destriero ferrato mi porta dentro a uno stretto sentiero per farmi sbucare in cima al Monte di Soraggio. Qui la vegetazione è più rada e i colori assumono tonalità meno sgargianti. Sono quasi a 1900 metri ed è normale che le rocce comincino ad essere l’elemento predominante.
La temperatura è scesa ancora un po’ rispetto alla partenza ma la mia pelle non sente ancora eccessivamente il freddo, forse distratta da ciò che scorgono gli occhi. Sono infatti in una ottima posizione per abbracciare con lo sguardo la boscosa Val d’Ozola e il selvaggio ventaglio di fossi franosi alla testata valliva del Serchio di Soraggio, con le pareti calcaree della Ripa che paiono sbarrare il corso del torrente. Una impronta di terra primordiale che non dovremmo mai dimenticare per capire da dove veniamo e come, quanto di ciò che costruiamo, non debba mai prescindere da queste origini.
Passo di Romecchio
Dopo le rocce sfasciate delle Porraie, la chiesetta di San Bartolomeo annuncia il Passo di Romecchio, ancora uomini e donne mi vengono incontro. A piedi o in bicicletta come me. Ancora una volta il salutarsi fa di questi incontri quel momento di approccio conviviale che forse potrebbe stare alla base di ogni rapporto. Penso a quanto meno si litigherebbe se si cominciasse sempre a guardarsi con rispetto. Ma l’essere umano è fatto di mille sfaccettature e non riesco a a capacitarmi di come possa cambiare il suo atteggiamento una volta immerso in situazioni più stressanti come quelle, ad esempio, alle quali è costretto in città.
Mi fermo per riprendere fiato e lasciarmi incantare ancora una volta dal paesaggio e, nuovamente, gesti rapidi e amichevoli mi avvicinano alla gente che incontro. E’ evidente che i salutarsi non è solo un attimo di gentilezza reciproca, ma un modo di percepirsi su questo pianeta. Perso in convenevoli, uno degli incontri che faccio durante questa pausa, mi confida che dedica un personale saluto non solo alle persone, ma anche alla terra. Come gesto di riconoscenza per quel che offre. Poco distante da dove mi trovo c’è un rifugio, luogo sicuramente adatto per raccogliere condivisioni su questo argomento, ma non ho il tempo, purtroppo, per fargli visita. Mi aspetta la salita più dura, quella che mi porterà a quasi 2000 metri. Il punto dove mi sono fermato sembra essere una zona di passaggio per molte persone e mi rincresce di doverlo lasciare, ma altre scoperte mi attendono.
Monte Castellino
Continuo quindi l’Alta Via degli Appennini reggiani, risalendo pietraie e distese di mirtilli, verso i quali non posso che affondare le mani per riempirmi la bocca del loro esplosivo sapore, fino a raggiungere il pianoro che si trova in cima al Monte Castellino, il punto più alto dell’intero percorso.
Ci sono altri escursionisti a due ruote in questo punto ed è sorprendente vedere come sembrino abituati a questi percorsi. Mentre io procedo lento, pervaso dalla stanchezza, loro incalzano sicuri i loro piedi sui pedali e mi distanziano di molto. Quando arrivo anch’io sulla vetta, la vista abbraccia un orizzonte vastissimo. Il miscuglio di colori che intravedo diventa una immenso quadro a 360 gradi. Davanti a me si impongono il profilo dentato delle Alpi Apuane e la vicina gigantesca mole del Monte Cusna. Sono troppo stanco per assaporare il tutto seduto sulla sella e mi sdraio a terra con il viso rivolto verso il vuoto che sta oltre le montagne.
Venti minuti di assoluto rilassamento fisico e mentale rimettono un po’ in sesto questo mio corpo poco avvezzo al genere di traversata e mi preparo a ripartire. Ma sento che non è solo il corpo ad essersi rigenerato. La natura che mi circonda in ogni dove, ha davvero qualcosa da dare al nostro organismo. Qualcosa che mi rende più di buon umore. E’ davvero bello sapere che l’essere umano ha deciso di preservare l’habitat di queste colline. Un atto d’amore che mi rende orgoglioso di appartenere a questa specie.
Monte Prado
Proseguendo fra i massi della dorsale quasi pianeggiante, arrivo alla sella di Monte Prado. Sono quasi all’arrivo di questa tappa e il mio fiato è ancora messo a dura prova. Non mi sono servite iscrizioni a palestre o dure lezioni di una qualsiasi disciplina. La vita e questo percorso sono già una fonte di ispirazione per i miei muscoli. Per ora mi sento appagato dalla scelta che ho fatto, ma so di non essere pronto per tutto l’Appennino. La natura è una madre che insegna anche i propri limiti e di questo, ogni essere umano, dovrebbe esserne consapevole. Il clima pare stia cambiando proprio anche a causa di quei limiti che non abbiamo capito di avere e questo autunno dalle temperature ancora troppo alte, ne è un esempio.
Lago Bargetana
Mentre penso a come saranno questi luoghi fra venti anni, lascio il crinale per discendere rapidamente fino al Lago Bargetana, ai piedi dell’omonima conca glaciale. Ciò che l’insieme dei colori del lago e dei crinali che lo circondano, lasciano in fondo alle mie viscere una sensazione piacevole. Come una carezza data in un momento di sconforto. La tutela di panorami assolutamente rigeneranti per qualsiasi tipo stress, dovrebbero essere sempre una priorità per il genere umano.
Mi sorprendo di questo mio pensiero arrivato all’improvviso e, imboccando la comoda strada forestale che risale la Val d’Ozola, mi rendo conto che forse, culturalmente, in questo paese facciamo ancora troppo poco per il rispetto dell’ambiente. Purtroppo il mio sguardo si ferma su alcuni mozziconi di sigarette calpesti dalle mie ruote. Mi fermo, preso da un moto di vergogna, li raccolgo, mi accerto che siano spenti e cerco un fazzoletto fra le cose che tengo nel marsupio della bicicletta. Unico vero amico salvavita di queste escursioni in quota. Metto tutto dentro di esso e mi disinfetto le mani. C’è ancora un virus che circola indisturbato su questo pianeta e credo proprio che il rispetto dell’ambiente sia collegato anche a ciò che esso ci forza a fare. Il rispetto per gli altri per cercare di farlo circolare il meno possibile. Se davvero cominceremo a rispettare il prossimo, oltre che a diminuire le possibilità di contagiarlo, sicuramente prenderemo coscienza di cosa voglia dire rispettare il pianeta. Imparare il piccolo per fare il grande. Questo è il proverbio cinese che mi viene in mente mentre riparto per giungere alla fine di questa tappa.
Rifugio Battisti
La facilità di questi sentieri, creati apposta da chi se ne intende più di me di come si esiste grazie a questi luoghi, in breve mi porta all’ampia sella di Lama Lite. Il rifugio Battisti si trova a poca distanza dal valico, nascosto da una collinetta che ne impedisce la vista. Lo raggiungo in poche pedalate e mi preparo a fare dell’arte della cucina il momento più magico di tutta la traversata. Chissà quanti altri esseri umani avranno visto le meraviglie delle quali mi sono riempito io oggi e che aspetteranno qualcuno che si unisca ai loro racconti e alle loro impressioni.
E’ alla fine di questa giornata che trovo le risposte alle elucubrazioni con le quali sono partito e che mi hanno accompagnato durante tutta la traversata. La sostenibilità ambientale delle persone che si trovano su questa vetta, sembra il primo principio al quale ispirarsi. Il rispetto della natura comincia già dai proprietari del rifugio che traggono energia dal sole e non da fonti fossili che emettono CO2 in atmosfera. E’ discutendo con loro proprio sul valore del nostro ruolo in questa vita, che una sola parola mi sovviene come risultato. Custodia.
Comincio a viaggiare sin da giovane per capire le relazioni fra i luoghi visitati e le persone che li abitano. Dai piccoli pensieri scaturiti durante questi percorsi e lasciati su pezzi di carta, nasce la voglia di scrivere articoli più complessi e mi specializzo in storytelling di viaggio diventando membro della Scuola Italiana di Viaggio.