Arrivo a Ollague, in Cile, classico posto di frontiera, e ho subito la netta sensazione che c’è qualcosa che non va. Domando subito della benzina. Al contrario delle informazioni ricevute a Calama, non c’è stazione di servizio, anzi qui è sempre stato un problema. Municipalidad nada, carabineros del cile nada, anzi alla terza visita cilena, trovo il primo militare arrogante, borioso ed anche piuttosto maleducato, che senza mezzi termini mi dice che il problema è mio, solo mio e che a lui di fatto, non gliene frega un cazzo. Sono allibito e, la cosa non sarebbe tanto grave se non mi sentissi anche fottuto a 208 chilometri da Uyuni e 185 da Calama con non più di 80-90 chilometri di autonomia. Traffico fino a quel momento zero, nada.
Comincio a chiedere per strada ed alla fine mi indirizzano alla stazione del ferrocarril, dove trovo Federico, tuttofare ferroviario di Olliague, destinato per 2 anni in questo sperduto angolo del Cile. Gli spiego la situazione, riflette un attimo poi ci dirigiamo verso uno sgabuzzino, dove appare un miracoloso, fantastico, opportuno bidone rosso con la scritta: SUPER 97 oct.
C’è da travasarla! Bottiglia, tubo, ed al primo tentativo, Federico s’ingurgita un buon mezzo bicchiere di buona, stagionata gasolina. Scarico la bottiglia nel serbatoio, riapriamo il tubo e….niente, il flusso si è interrotto. Bisogna aspirare ancora. Mi guarda come per dire ora tocca a te. Per solidarietà anche il sottoscritto si spara una buona dose di combustibile.
“Tomo de todo pero la cerveza esta meyior!” gli dico. Scoppiamo a ridere e continuiamo per una decina di litri. Chiedo di offrire un traco, ma è in servizio (ben un treno al giorno) e di alcolici non se ne parla. Bottiglione da 2 litri di coca cola, nel vano tentativo di cancellare i pestiferi effluvi che mi accompagneranno nei prossimi giorni, provocando il più mero sconforto nei miei interlocutori. “Quanto ti devo?” “Nada, que te vaya bien el viaye, y suerte”.
Al confine boliviano il simpatico doganiere m’informa che un bus è partito da appena mezz’ora, e che raggiungendolo ho buone possibilità di arrivare ad Uyuni. Non capisco, ma dopo qualche chulometro, tutto è incredibilmente chiaro. La strada, che dovrebbe essere una statale, si eclissa, scomparendo. Una traccia, o meglio più tracce, senza nessun riferimento, segnale o indicazione. Niente. Solo qualche jeep a cui chiedere informazioni ed il solito pullman che raggiungo ma che perdo sistematicamente fermandomi a scattare foto, tanto da ritrovarmelo dietro dopo un paio d’ore.
Speranza, speranza di non perdersi, per poi arrivare, dopo 200 chilometri, ai bordi del salares e rimanere a bocca aperta. Il mio rapporto con il Salar di Uyuni, era iniziato qualche anno fa con uno shock visivo, protrattosi poi per giorni, avvenuto su una rivista fotografica. Mi ricordo che era stato amore a prima vista “un giorno ci andrò, forse in moto”, rendendomi benissimo conto delle difficoltà. Logico che nel momento in cui vi arrivo, la mia reazione è quella di un bambino al quale hanno fatto un regalo insperato ma desiderato per lungo tempo. Percorro qualche chilometro su di un terrapieno e poi la strada scende nella piana, il pomeriggio sta spingendo il sole verso l’orizzonte.
Luci, incredibili. La vista spazia nel niente infinito: il bianco del sale, l’azzurro del cielo e l’ombra della moto. Mi sento un uomo, solo, fortunato e stupidamente felice. Mi trovo a quasi 3700 metri d’altitudine, nella distesa piatta più estesa del mondo con i suoi 12.106 chilometri quadrati. Secondo le recenti teorie geologiche, questa parte dell’altipiano era un tempo completamente sommerso dall’acqua. Trascorrerò tre giorni in quello che considero uno dei posti realmente più incredibili, spettacolari, suggestivi, fantastici che mai mi sia capitato di visitare. Lo spettacolo in qualunque periodo dell’anno si giunga è incredibilmente suggestivo: quando la superficie si asciuga, le saline trasformano il paesaggio in una bianca distesa accecante dalle dimensioni infinite; quando si ricoprono d’acqua – qui può anche piovere… e tanto – si formano degli specchi che riflettono alla perfezione le nuvole ed il cielo blu dell’altipiano, facendo scomparire l’orizzonte.
Da giovanissimo ero attratto dai viaggi in moto, ma la pallacanestro – giocavo in serie B – mi ha trattenuto per una ventina d’anni. La svolta arriva nel 1997 con un viaggio in Cile con zaino e sacco a pelo. L’anno dopo sono in Islanda in moto. Nel 2000, dopo la prima esperienza in Sud America, 2 mesi e mezzo con 19.000 chilometri percorsi tra Argentina e Cile fino in Terra del Fuoco.
Complimenti per il post e per le foto. E’ uno dei luoghi che più al mondo desidero visitare!