I deserti mi affascinano. Mi piace il fatto che siano quanto di più selvaggio esista al mondo. Mi fanno sentire una goccia nell’enorme oceano dell’universo e mi mettono costantemente alla prova. Non mi stanco mai di ammirare le dune di sabbia, le formazioni rocciose, i paesaggi aridi sotto il cielo limpido. E dopo una passeggiata sulle dune, rido all’idea di dovermi fare mille e una doccia per liberarmi della sabbia tra i capelli.
Ecco, se si mettono insieme il mio essere affascinata dai deserti, la mia ossessione per i vulcani e il mio amore sviscerale per gli animali, è facile immaginare come fossi entusiasta all’idea di attraversare il deserto di sabbia del Monte Bromo, una delle attrazioni turistiche più famose dell’Indonesia, per poi arrivare a cavallo sino al cratere del vulcano. Si prospettava un’esperienza da sogno.
Dato che sono un’inguaribile ottimista, cerco di non far troppo caso alla moltitudine di macchine e moto che, oltre a quella su cui io siedo insieme a pochi altri turisti, attraversa il deserto a tutta velocità, in gara contro non si sa bene chi e per cosa. Non sarà una cavalcata solitaria nel deserto. Ma ormai non importa. Ho capito che in uno stato popoloso come l’Indonesia è difficile riuscire a trovarsi da soli. E poi tutto sommato non sono mai stata particolarmente infastidita dalla presenza massiccia di turisti, che raramente mi distraggono dalla bellezza di un posto. Non mi hanno dato fastidio nemmeno nell’affollatissima Bali, non mi daranno fastidio nemmeno qui, mi dico.
In attesa della mia cavalcata, inizio a fare domande agli organizzatori circa lo stato in cui sono tenuti i cavalli che ci aspettano. Le risposte che ricevo sono vaghe. Mi chiedo se si tratti di un problema di comunicazione, di una barriera linguistica, o se i campanelli di allarme dovrebbero iniziare a suonare. Decido di optare nuovamente per l’essere ottimista.
Ma non appena vedo i cavalli che ci aspettano, mi rendo conto che stanno morendo di fame. Le costole sbucano prepotentemente dalla cassa toracica. Mostrano evidenti segni di stress, continuano a puntare gli zoccoli, hanno la schiuma alla bocca, masticano le briglie. Mi sembrano troppo magri per trasportare una persona, e men che meno un turista occidentale decisamente sovrappeso, come molti di quelli che vedo in giro.
In meno di un secondo decido che per nessun motivo al mondo io salirò su uno di quei cavalli. E così mi ritrovo a discutere con gli organizzatori, per spiegargli le mie motivazioni. Sono infastiditi dalla mia reazione, immagino che non si siano mai trovati a confrontarsi con qualcuno che si interessa del benessere degli animali. Alla fine opto per arrivare a piedi sino al cratere. È una cosa totalmente fattibile e non faticosa, tanto che mi chiedo come mai si sia pensato di portare i cavalli sul posto. Capisco che, in condizioni ideali, l’idea di cavalcare nel deserto e fino al cratere di un vulcano possa attrarre molti turisti.
Non mi lascio intimorire dal sole, non mi lascio infastidire dalla polvere che continuo a respirare nonostante la mascherina che indosso. L’unica cosa che proprio mi infastidisce durante la mia scalata – condita da colpi di tosse – è la grande folla di gente che mostra un totale disinteresse per i cavalli e che ha un’unica missione: scattarsi un selfie sul cratere.
Non è esattamente la mia idea di cavalcata nel deserto.
Il benessere degli animali non è un problema in Indonesia, nel senso che la gran parte degli indonesiani non se ne interessa. Potrei cercare di spiegare la cosa con parole come povertà, ignoranza e anche differenze culturali. Ma a me gli animali piacciono, e mentirei se dicessi che quello che ho visto sul Bromo mi ha lasciata indifferente. E poi non mi è mai piaciuto usare la cultura come alibi per la crudeltà, sia nei confronti delle persone che degli animali.
Ma se c’è una cosa che di certo non posso accettare è che, nonostante abituati a standard diversi, la maggior parte dei turisti occidentali sono montati su quei cavalli. Avrebbero fatto la stessa cosa nei loro paesi d’origine? Ne dubito. Probabilmente si sarebbero infuriati per le condizioni in cui gli animali erano tenuti. Avrebbero protestato. E questo è esattamente il momento in cui ogni relativismo culturale diventa totalmente inutile, perché il voler difendere e spiegare cose che sono semplicemente inaccettabili non fa bene a nessuno, e di certo non migliora le condizioni di vita di una nazione o dei suoi cittadini.
Il turismo può creare ponti di comunicazione e io sono convinta che abbia la capacità di migliorare la vita delle persone. Ecco perché sono convinta che come viaggiatori abbiamo il dovere di prenderci la responsabilità delle nostre azioni. Inizieremo a vedere il cambiamento solo quando inizieremo a cambiare il modo in cui ci comportiamo. Se vogliamo parlare di turismo etico e responsabile, dobbiamo prima di tutto diventare dei turisti responsabili.
Questo è quello che ho capito tra le lacrime di rabbia e frustrazione che scivolavano sul mio viso in quella terribile domenica sul Monte Bromo, in Indonesia.
Foto di copertina: dany13
Sono una blogger cagliaritana. In una vita precedente ha lavorato come ricercatrice nel campo del diritto internazionale dei diritti umani, poi sono partita per un viaggio per tutta l’America Latina, e da allora non mi sono ancora fermata.
Spero che la mia storia serva a far aprire gli occhi a tanti!