Dopo il lungo viaggio sul Nilo e la registrazione al Foreign Office, ero seriamente preoccupato per la mia situazione finanziaria. Mi trovavo a Khartoum, in Sudan, dove le mie carte bancarie avevano più o meno la stessa utilità di una buccia di banana, e il fondo di mille dollari che mi ero preparato in Uganda cominciava ad assottigliarsi sensibilmente.
La mia meta era Wadi Halfa, ultimo avamposto sudanese prima del regno dei faraoni, umile cittadina sprofondata nel Deserto di Nubia. Per arrivarci mi ci voleva un pullman che attraversasse le lande desertiche fino al lago Nasser, e per trovare il pullman dovevo necessariamente rivolgermi ai passanti per reperire informazioni utili. Ahimé.
La meravigliosa disposizione dei sudanesi nei confronti degli stranieri sembra non consentire loro di lasciare una domanda senza risposta, né di ammettere la propria ignoranza. Così ho lasciato che la loro fantasia si sfogasse con me e ho cominciato a rimbalzare da un angolo all’altro della città alla ricerca di un’agenzia di pullman a lunga percorrenza. Ho continuato la mia ricerca sotto il sole cocente fermando di tanto in tanto un passante con sempre la solita domanda: “Aina mahatta hafila fi Wadi Halfa?” – dov’è la stazione dei pullman per Wadi Halfa? Per arrivarci mi sono fatto aiutare da Abu, il direttore del Central Hotel, che ha istruito l’autista di un taxi a mio beneficio. Ben prima che io potessi aprire bocca aveva già fatto passare quattro agenzie e aveva trovato quella che effettivamente mi poteva servire allo scopo.
Alle quattro di mattina era ancora buio a Khartoum. Il pullman non era ancora pronto e mi sono seduto in mezzo agli altri viaggiatori e ho chiesto un tè all’anziana signora che mi stava seduta di fronte. Ho conosciuto subito Fazal, sulla settantina, un avvocato in pensione molto mite e gentile. “Wadi Halfa è la mia città, ti darò il benvenuto.” E ha cominciato subito offrendomi il tè.
Fazal ha passato la vita in Libia. “Ho vissuto a Tripoli per trentadue anni. Quello che è successo è una tragedia. Migliaia di morti… ma perché? Perché Berlusconi e l’ONU sono andati a fare la guerra? Non gli bastava il petrolio che veniva mandato in Europa?” Eravamo ancora nel pieno del conflitto libico, le notizie dei bombardamenti targati Nazioni Unite imperversavano sulle pagine dei giornali arabi e le mie opinioni al riguardo non erano abbastanza delineate da farmi sentire autorizzato a rispondergli. Fazal si era trasferito in Libia dopo che la sua famiglia a Wadi Halfa perse tutto a causa di un’inondazione. “Era una grande città, con scuole, ospedali, strade… ora stiamo ricostruendo tutto mattone su mattone, nessuno ci aiuta, neanche il governo.”
Alle cinque è arrivato il pullman e siamo partiti. Il mezzo più comodo e confortevole su cui avessi viaggiato in Africa fino a quel momento. Nelle dodici ore di viaggio abbiamo subito anche molti controlli da parte della polizia. In pochi minuti mi hanno fatto scendere dall’autobus due volte di seguito, si rivolgevano a me con cortesia e una volta appurata l’assenza di armi o droga nel mio bagaglio mi consentivano di proseguire senza perdere un minuto.
Intanto proseguiva il nostro viaggio nel deserto nubiano. La catena montuosa alla nostra destra sembrava un complesso di rocce e detriti. Dal nostro lato si estendeva il deserto roccioso, dall’altra parte del Nilo c’era la sabbia e le dune. All’orario prestabilito ci siamo fermati per la preghiera – ero nell’Africa islamica – e alle cinque del pomeriggio, dopo circa dodici ore, siamo arrivati a Wadi Halfa. Fazal ha insistito nel farmi da comitato di benvenuto e mi ha portato con il riksciò all’unico albergo della città. Quando l’ho visto addirittura tirare fuori il portafogli per pagare la mia camera per due notti ho sgranato gli occhi e mi sono affrettato a intromettermi nella transazione, ma non c’è stato nulla da fare. ‘Qui sei ospite’, ha sentenziato perentorio il mio benefattore.
Le casette in muratura sparse in mezzo alla sabbia, poco traffico, pochi rumori, la gente che ti saluta sorridendo per strada, la disponibilità degli abitanti a comunicare con te anche se non parli la loro lingua… Wadi Halfa era un’oasi nel cuore del deserto nubiano, e Fazal continuava a far valere l’accoglienza dei sudanesi condividendo con me storie di viaggio e l’ottimo fùl (un piatto a base di fagioli) spesso consumato a pranzo. La sera in piazza la gente si raccoglieva intorno ai venditori di succhi di frutta e guardava la televisione all’aperto.
Il mio mezzo per l’Egitto aveva questa volta le sembianze di un traghetto. Due volte alla settimana Wadi Halfa viene collegata con Asswan, in Egitto, attraverso il lago Nasser. Si sbrigano le pratiche burocratiche di uscita in paese e poi sull’imbarcazione viene fornito il visto per l’Egitto. Avendo un biglietto di seconda classe mi aspettava un’altra notte accovacciato sul pavimento, ma in confronto al viaggio sul Nilo da Juba mi sembrava di viaggiare nel lusso. Alle cinque, con il sole vicino al tramonto, ci siamo messi in movimento.
Dove si trova Wadi Halfa?
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Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.