I papaveri più rossi crescono in Tessaglia, Grecia. Sono di un profondo rosso scarlatto e riempiono i campi lungo la strada che dalle Meteore porta al monte Olimpo, la montagna degli dei.
Attraversiamo la terra di Achille, ricca di frutteti, prati verdi e campi di grano pronto per la mietitura, un paesaggio bucolico sarebbe proprio il caso di dire.
Superiamo un contadino che segue tranquillo il suo asinello poi incrociamo un gregge che occupa la sua corsia, davanti un ariete impettito col campanaccio al collo, in mezzo un pastore che naviga trasportato dalle pecore e in coda un cane arrabbiato con tutto il mondo che si avventa ringhiando sulla portiera lato moglie che da questo momento non ne vuole più sapere di scendere dalla macchina, bucolico o non bucolico.
Non scende nemmeno a vedere la tartaruga che sta cercando a suo rischio e pericolo di attraversare la strada – vuoi andare di là? Ecco fatto. Il traffico comunque è scarso e meno male perché non appena vedo un cartello – Byzantine Church, Dolichi 2 km – con un riflesso condizionato inchiodo e sterzo a sinistra a mio rischio e pericolo.
Dolichi
Dolichi conta oggi poco più di 500 abitanti ma ai tempi della Grecia antica e dei Romani era un importante nodo militare strategicamente situato alla sbocco di due passi che dalla Macedonia scendono in Tessaglia. Che la sua storia sia di una certa importanza lo testimonia anche la piccola chiesa bizantina posta nel bel mezzo della piazza del paese che nel frattempo abbiamo raggiunto.
La chiesa della Trasfigurazione di Cristo
La chiesa della Trasfigurazione di Cristo risale al 1212 d.C. ma già allora era stata costruita sui resti di un bagno romano ancora più antico, così cita un cartello scritto a mano all’interno, e aggiunge che è stata ristrutturata nel 1512 d.C e restaurata nel 2002. Ed è anche stata dichiarata Patrimonio Storico della Grecia, chi l’avrebbe mai detto.
La porta è aperta, ci fermiamo indecisi, l’interno come al solito è in penombra ma, come sempre succede nei paesini dove tu non vedi nessuno ma tutti vedono te, si materializza una gentile signora che ci accende le luci e ci invita a gesti a entrare.
Se l’esterno è solo un muro di pietra nuda, le pareti interne sono tutte coperte di affreschi. I colori sono piuttosto sbiaditi e le figure segnate e scrostate, per non parlare delle due porte ad arco aperte e di nuovo murate su un lato della piccola navata, ma quello che si vede giustifica l’importanza del luogo.
Sulle pareti dell’abside si allineano santi e vescovi che indossano ricchi paramenti o armature militari in linea con la vocazione del luogo, scene della vita di Cristo riempiono le pareti della navata, sul catino absidale troneggia una Madonna in cattedra e sulla volta della cupola il Cristo Pantocratore benedice con le tre dita della mano destra. C’è anche un foro che buca la sua aureola: è stato un soldato turco, dicono, che però ha sbagliato mira.
Greci, persiani, macedoni, romani, crociati, serbi, turchi e per ultimi i tedeschi si sono combattuti aspramente tra queste colline ma gli uomini che seduti sotto un platano chiacchierano tranquilli davanti a un bicchiere di ouzo non sembrano proprio ricordarsene.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.