Spesso sono le immagini viste in internet, sui blog o sui social a ispirare i miei viaggi: un’immagine fa nascere in me molte emozioni e così è stato anche per il Ladakh, divisione dello stato federato di Jammu e Kashmir dell’India settentrionale.
Dopo aver ottenuto il visto d’ingresso indiano sono partita per Delhi. Inizialmente non era mia intenzione fermarmi in città, ma dopo aver appurato che non sarei arrivata in tempo per prendere la coincidenza per Leh, punto di accesso del Ladakh, ho scelto di prenotato un albergo non lontano dall’aeroporto, rivelatosi al mio arrivo uno squallido albergo.
Appena uscita dall’aeroporto l’India mi ha subito accolta con la sua prepotenza, è un paese che ho visitato più volte da nord a sud, ci sono sempre tornata perchè trasmette molto, più di quello che toglie però l’impatto iniziale rimane sempre forte. La mattina successiva mi sono recata in aeroporto molto presto. In India, superati i controlli di polizia, senza un biglietto aereo non si può neppure entrare nell’area check in. Ho varcato la porta d’ingresso e ho subito realizzato che da lì a poche ore mi sarei trovata al cospetto dell’Himalaya, solo il pensiero mi rendeva entusiasta.
Salita in aereo ho preso posto vicino al finestrino, quando abbiamo iniziato a sorvolare le vette il paesaggio preannunciava qualcosa di grande, un posto magico, non vedevo l’Himalaya da tre anni, dal mio viaggio in Nepal. Mentre ero al ritiro bagagli nella piccola aerostazione di Leh, un annuncio pre-registrato continuava a ripetere di non fare sforzi almeno per un giorno a causa dell’altitudine.
Io e una ragazza israeliana abbiamo diviso il taxi fino alla guest house Palace View. L’avevo trovata sulla guida ed è stata un’ottima scelta, il personale è molto disponibile e sono ancora in contatto con loro, inoltre è una delle poche strutture aperta anche nei rigidi mesi invernali ed è attrezzata con riscaldamento. Mentre percorrevamo la strada, i miei occhi curiosi scrutavano fuori dal finestrino e ho visto molti anziani in abiti tipici, lunghe tuniche nere o marroni con una cinta in vita che ruotavano in senso orario la ruota della preghiera, al suo interno vi è un mantra che si disperde simbolicamente nell’aria, un’immagine che merita molte foto, un gesto così tradizionale, armonioso e per noi occidentali insolito. Per raggiungere il centro si passa sotto un’imponente porta di accesso e si costeggia il mercato cittadino, luogo di approvvigionamento di pesanti coperte per superare le gelide notti invernali, e una ruota della preghiera di grandi dimensioni.
Dopo qualche ora dal mio arrivo sono uscita per visitare la città, malgrado i passi fossero molto lenti, la stanchezza si è fatta presto sentire, a differenza del Perù e della Bolivia ho accusato un leggero mal di montagna, mi ha aiutato molto bere tè allo zenzero.
Leh ha una via principale, Fort Road, piena di negozi di pregiati souvenir, scialli del Kashmir, monili in ottone, tessuti dipinti Thangkha e molto altro. Secondo me è un acquisto parecchio significativo la maglietta con il logo Free Tibet, un inno alla libertà che si deve indossare con fierezza. Nel periodo invernale molti esercizi chiudono e i proprietari si trasferiscono a fare affari a Goa. In zona si trova anche una moschea e il mercato dei rifugiati tibetani con un vasto assortimento di campane tibetane, statuette religiose, gioielli di turchese, oggetti provenienti da Tibet e Nepal.
La zona di Changspa è la parte più turistica di Leh, vi è la maggiore concentrazione di guest house, alberghi, locali e ristoranti che offrono anche pizza, cucina israeliana e tibetana (si possono gustare i buonissimi ravioli ripieni momo), alcuni con terrazza panoramica. Viuzze strette e secondarie corrono parallele a ingegnosi canali d’acqua: sono scorciatoie che collegano velocemente vari punti della città. La parte vecchia, con le abitazioni in mattoni crudi e gli stupa segnati dal tempo, ha un fascino decadente e sono rimasta colpita dall’elevato numero di cani randagi, secondo molti abitanti sono aggressivi, in realtà io mi sono fatta un’idea diversa.
A dominare la città sulla collina ci sono il palazzo reale in stile tibetano, disabitato e la famiglia reale è oramai deposta e lo Tsemo Fort. Da lassù la vista abbraccia Leh, le montagne, la pagoda della pace e i monasteri circostanti.
A Leh ci sono numerosi operatori locali che propongono varie escursioni e attività all’aperto: rafting, bicicletta, alpinismo e circuiti di più giorni in jeep o moto in zone di grande interesse culturale e paesaggistico. Le stesse forniscono anche i permessi necessari per visitare alcune aree, ma è bene prelevare contanti prima di partire per destinazioni lontane.
Un’escursione di due giorni porta alla Nubra Valley passando per il passo carrozzabile più alto al mondo 5600 metri, il Khardun La, così vicino alle vette innevate per poi scendere fino a Hunder circondata da dune, dove si possono vedere i cammelli battriani discendenti di quelli utilizzati in passato dalle carovane che raggiungevano la Cina.
Io mi sono recata al Pangong lake, un lago lungo 150 chilometri e in parte in territorio cinese, le sue sponde sono quasi completamente incontaminate, solo qualche villaggio con una manciata di case che offrono ospitalità ai viaggiatori, sistemazioni semplici, ma che offrono uno spaccato di vita quotidiana autentica, specialmente alla sera quando in una stanza comune seduti sui tappeti si consumano i pasti. Passeggiando lungo il lago si assapora la quiete e il blu dell’acqua risalta fra i colori della terra, un luogo solenne. Lungo la strada si incontrano fiumi, ruscelli da guadare, pascoli verdi, yak il libertà e strutture militari.
A causa delle piogge i miei programmi hanno subito delle modifiche e un giorno con Rakesh, ragazzo indiano che lavora alla guest house Palace View, abbiamo raggiunto qualche monastero in moto e ho potuto assistere alle danze cham eseguite dai monaci. Una litania suonata dal vivo e ripetitiva coordinava i movimenti lenti, le maschere giganti e colorate nascondevano il volto dei lama, uno spettacolo senza eguali e mai visto prima di allora. Sul ciglio della strada ci siamo fermati a comprare delle buonissime albicocche, vendute da splendide signore anziane in abiti tradizionali e agghindate con turchesi che ci hanno accolte con “jule“, la forma di saluto e ringraziamento tipica del Ladakh.
Alla fine il Ladakh si è rivelato ancora più stupefacente delle foto viste prima della partenza. Antichi gompa monasteri buddisti in bilico su speroni rocciosi punteggiano la valle del fiume Indo, bandiere della preghiera sventolano all’aria, il bianco degli stupa o chorten e dei mura mani (muri con scritti mantra) contrasta con l’azzurro del cielo, il verde dei campi di orzo, il marrone delle montagne, ovunque si porge lo sguardo è bellezza.
I monasteri sono centri energetici ineguagliabili, molti hanno i muri dipinti con tinte calde, un cortile di accesso, una maestosa sala della preghiera delimitata da colonne, capolavori lignei, statue di Buddha oltre a librerie con volumi storici molto preziosi.
Ogni mattina, a partire delle sei e per due ore, presso il monastero di Tiksey si può assistere alla preghiera di 40 monaci. Ho ingaggiato un’autista che ha applicato i prezzi da tariffario per raggiungerlo. Sono entrata senza scarpe in punta di piedi e come impone l’usanza mi sono diretta a sinistra, seduta a terra in fondo alla sala li ho ascoltati recitare i mantra con devozione e riverenza. Erano tutti adagiati su basse panche, nella stanza permeava un’aura di sacralità, il gong, il corno e i cembali scandivano i momenti, ho chiuso gli occhi e anche questa volta è affiorata la gratitudine di trovarmi in un luogo così speciale.
Durante il mio soggiorno ho anche scoperto che i miei giorni di permanenza coincidevano con la visita annuale di Sua Santità il Dalai Lama, che io avevo visto dal vivo l’ultima volta che è venuto al Forum di Assago anni prima. Con un pulmino collettivo ho raggiunto Choglamsar, il luogo dove ha tenuto il Suo discorso. Lungo il tragitto ho però dovuto difendermi da un ragazzo un po’ troppo insistente con le avances e soprattutto poco rispettoso visto che il pulmino era molto affollato e con le mani cercava di sfiorarmi le gambe. Per fortuna è sceso prima di me. Appena arrivata a destinazione solo a vedere il palco e l’enorme chiazza rossa delle tuniche dei tantissimi monaci presenti ho dimenticato tutto e mi sono seduta nell’area dedicata agli stranieri. Eravamo tantissimi, l’Himalaya ci osservava e le bandierine colorate svolazzavano sopra le nostre teste come in un giorno di festa. Il sole era cocente, ma l’emozione di incontrarlo in un luogo così carismatico mitigava ogni cosa.
Sulla strada che porta all’aeroporto si trova una clinica specializzata in medicina tibetana, con pochissimi euro si può richiedere un consulto medico e successivamente acquistare farmaci rigorosamente di origine naturale nel dispensario sempre al suo interno.
A Leh si trova il anche il Mahabodhi Center, punto di riferimento per chi pratica yoga e meditazione. Il centro organizza anche ritiri di più giorni e quotidianamente ci sono sedute di meditazione guidata, risorsa preziosa anche per chi si sta avvicinando alla pratica, viene richiesto un contributo libero.
Si può arrivare in Ladakh anche via terra, partendo da Delhi e passando per Manali. La strada è panoramica ma molto lunga impervia, basta uno scroscio d’acqua per causare frane e conseguentemente chiuderla anche per molti giorni. Il vantaggio sta nel potersi acclimatare lentamente. Questa opzione è possibile solamente durante la breve stagione estiva, in inverno l’unica via di accesso è l’aereo. Anche i voli aerei comunque a volte vengono cancellati per condizioni meteorologiche sfavorevoli ed è sempre una buona idea tenere un margine di giorni per la coincidenza con il volo intercontinentale. Inoltre internet funziona a singhiozzo e i blackout sono abbastanza comuni.
Il Ladakh con il suo paesaggio spesso aspro e spoglio trasmette pace e serenità, lascia spazio alle emozioni che piano piano emergono, si è così in alto e isolati dal mondo che ha inizio un viaggio introspettivo, un’esperienza indimenticabile che farà vibrare le corde dell’anima all’infinito.
Sono Anna, un’instancabile e insaziabile viaggiatrice convinta che la vita vada vissuta al 100 per cento. Paesi visitati fino adesso oltre 80, ma non ho ancora esaurito l’entusiasmo, l’energia e la curiosità di esplorarne altri, spesso in solitaria.