Marcial lavorava a Plaza Santo Domingo, Città del Messico, da dieci anni. Era un “escribiente”, uno scrivano, si piazzava sotto i portici ogni giorno con la sua macchina da scrivere elettrica, accanto a circa altri trenta escribientes. Quello era il loro luogo dagli anni venti e tutti coloro che volevano farsi scrivere una lettera a macchina lo sapevano. Mi venne in mente la scena iniziale del film “Central do Brasil”.
Marcial mi raccontò che il loro lavoro consisteva principalmente nella compilazione di moduli già pronti, inviti, lettere burocratiche, richieste di borse di studio, denunce, appoggi economici per madri sole, annunci di case in vendita…
I suoi clienti erano anche cantanti, scrittori che arrivavano con manoscritti da copiare, persone che non sapevano leggere e scrivere e avevano bisogno di un aiuto.
Aveva avuto come clienti anche sedicenti maghi che descrivevano nelle lettere metodi per fare stregonerie di vendetta verso qualcuno. Poi testamenti, lamentele, lettere con minacce anonime o offese volgari che si era rifiutato di scrivere. Non parlava di etica professionale ma del fatto che certe cose non gli piaceva farle.
Il tipico cliente assiduo sembrava essere una persona anziana, in situazione di vulnerabilità, emarginata o non accudita, che veniva a Plaza Santo Domingo per scrivere una lettera da mandare alle autorità. Alcuni non avevano una buona relazione con il figlio, o erano angosciati dal fatto di essere circondati di persone che volevano soltanto la loro eredità, e al più presto.
Sembrava che arrivassero da loro donne con una situazione di violenza familiare alle spalle, anziani abbandonati, persone tristi, sfruttate, abusate, marginalizzate. Pareva che queste persone si abbandonassero al pianto.
Marcial li lasciava fare, aspettava che riprendessero il discorso, trasformava imprecazioni e confuse lamentele in un racconto coerente, dava a queste persone dei consigli, li aiutava a “passare attraverso una liberazione, una catarsi”.
Marcial era cosciente insomma del fatto che alcune persone andassero da lui per sfogarsi, per trovare qualcuno che li ascoltasse e che, mettendo nero su bianco, li appoggiasse.
Mentre Marcial lavorava, notai che alcuni ragazzi avvicinavano i passanti per portarli dallo scrivano a cui erano affiliati.
Così pochi clienti e così tanta offerta. Molti scrivani stavano aspettando davanti alla macchina da scrivere a braccia conserte, eppure una signora stava facendo la fila per uno scrivano occupato. Questo mi incuriosii e così chiesi a Marcial come gestissero pacificamente tanta competizione. “Cerchiamo di rispettarci, ed ognuno cerca di mantenere la sua clientela. Quello che abbassa la competizione tra di noi è il cliente di fiducia, che ritorna sempre”.
Mi fu chiaro a quel punto, nonostante l’umiltà di Marcial, che se parlavamo di fedeltà, questa non si basava certo su una particolare abilità ortografica, bensì sul fatto che ogni cliente avesse il suo scrivano “di fiducia”, a cui raccontava la propria vita e di cui ascoltava i suggerimenti, un po’ come se fosse l’orecchio della strada.
Ho viaggiato e lavorato in Messico, Colombia, Brasile, Argentina, Perù, Bolivia, Ghana, Rwanda e Angola per un totale di circa diciotto mesi. Mi sono laureata con una tesi di ricerca sul Rwanda in “Giornalismo, editoria e comunicazione multimediale” e precedentemente mi ero laureata in “Teorie e pratiche dell’antropologia”.
Attualmente consulente in comunicazione, sono stata anche consulente presso la FAO, con l’incarico di produrre e diffondere contenuti. Sono stata addetto stampa, fotoreporter e giornalista free-lance.