Alcuni edifici hanno una storia che attraversa i secoli e la loro struttura li rende così duttili da venir destinati a usi diversi. È il caso del grande complesso monastico di Fontevraud, immerso nella bucolica natura della Valle della Loira, tra fiumi balneabili, piste ciclabili e una lugubre centrale nucleare. Edificato nel XII secolo, nel monastero vennero accolti sia la nobiltà francese che i membri della famiglia reale destinati alla vita religiosa. Un caso davvero unico: monaci e suore vi convissero – separati in casa – fino alla Rivoluzione del 1789, amministrati dal polso di energiche badesse.
Appena varcate le mura perimetrali si accede a un grande spazio verde che accoglie l’intero complesso snodato tra orti, giardini e sentieri di ghiaia. La tranquillità di un’esistenza ritirata si respira ancora nella breve passeggiata verso il Pantheon dove, tra lapidi di marmo, sono poste le tombe di Enrico II d’Inghilterra, della moglie Eleonora d’Aquitania e del figlio Riccardo Cuor di Leone. I colori sbiaditi sulle statue che ne riproducono le sembianze paiono un alito immortale di vita che ancora vibra grazie ai libri di storia.
Ampie volte e luce diretta illuminano le pareti bianche della chiesa romanica, le cui colonne imponenti incutono il timore riverenziale verso il Cielo; nella sala capitolare, i portali e gli affreschi riportano nel timoroso medioevo; il chiostro è abbellito da un ponte sospeso che si snoda come un serpente e vi conferisce una nuova armonia; e poi le celle, il refettorio e la cucina, posizionata a parte con quegli undici comignoli a farla sembrare una costruzione di sabbia.
È solo sul finire della visita che spicca il secondo e penultimo utilizzo di questo edificio: diverse scritte sulle pareti, tracciate con mine spuntate imbevute di rassegnazione, sono i resti del passaggio di centinaia di detenuti. A partire dal 1804 Fontevraud divenne infatti un carcere e i suoi ambienti furono riadattati. Com’è raccontato nel romanzo autobiografico di Jean Genet – “Il miracolo della rosa” – questo luogo fu una delle prigioni più dure di Francia fino al 1963, anno della sua chiusura. Una piccola esposizione raccoglie oggetti d’uso comune durante la carcerazione: carte da gioco, occhiali, libri che sembrano uscire dalle foto appese alle pareti, in cui viene esplicato con precisione il concetto di rieducazione attraverso il lavoro manuale.
L’Abbaye è un luogo con tante storie da raccontare e che continua ad accoglierne generosamente di nuove. Quasi fosse una staffetta, la fatica fisica è stata oggi sostituita da quella più lieve dell’intelletto ed è diventata un centro polifunzionale destinato all’arte. Spoglio di ogni orpello, ospita nei suoi grandi spazi eventi di cinema, musica e teatro senza perdere la forza architettonica mentre un calendario ricco di incontri lo rende un posto vivo e finalmente vitale.
Dove si trova Fontevraud?
Per smentire la reputazione di “bôgia nen” dei piemontesi, viaggio da quando ho memoria e appena posso parto alla scoperta del mondo con la macchina fotografica, un quaderno per gli appunti e la curiosità verso tutto ciò che incontro e mi circonda.