Quando nel 1500 i portoghesi arrivarono in Brasile sulla rotta scoperta due anni prima da Vasco de Gama, l’enorme territorio che si presentava loro offriva ampie opportunità di esplorazione ma poche materie prime da esportare. Grazie al clima e alle acque interne tutto ciò che veniva seminato sembrava crescere bene, ma per sfruttare questa fertilità occorreva colonizzare e quindi impiantare una base economica che consentisse ai coloni di sopravvivere.
I primi mercati a far emergere il Brasile nei piani di sviluppo dell’impero portoghese furono quelli della canna da zucchero e degli schiavi. Questi ultimi erano le braccia dell’industria agricola e la loro tratta diede vita ad ampie possibilità di guadagno che portarono nel corso del XVII secolo a occupare quasi l’intera costa da Pernambuco a San Paolo. L’interno, invece, alimentava sogni di ricchezze con miraggi d’oro e d’argento.
Il ritrovamento di giacimenti alluvionali di oro diede inizio alla storia coloniale di Minas Gerais, stato interno del Brasile incorniciato da verdi pendii montuosi e costellato con incantevoli borghi in cui ancora si esprime perfettamente l’accurata architettura coloniale portoghese. Tra questi borghi spicca la cittadina di Ouro Preto: a due ore di autobus dalla capitale Belo Horizonte, 70.000 abitanti, un’importante università, diverse miniere aperte ai visitatori e un nugolo di chiese barocche dalle decorazioni in oro.
Quando alla fine del secolo i cercatori d’oro provenienti da San Paolo trovarono l’oro sull’Itacolomi, il monte che domina la cittadina, si scatenò un fiume in piena di migranti provenienti da San Paolo, dal Nord-Est e altri ancora appena sbarcati dal Portogallo. Nel 1711 i vari campi minerari furono riuniti sotto il nome di Vila Rica de Albuquerque, l’odierna Ouro Preto.
Continuarono ad arrivare anche nuovi schiavi. Il dramma delle loro esistenze spezzate e la sete di ricchezza dei minatori, trasfusi nella cornice tropicale di un Brasile in continua evoluzione su cui si abbattevano flussi migratori provenienti dall’Europa non poteva che esaltare le gesta di personaggi divenuti poi leggendari, la cui storia si tramanda ancora oggi. Storie come quella di Chico Rei.
Chico Rei era il capo del suo villaggio, ma dopo essere stato catturato divenne uno dei tanti schiavi giunti a Ouro Preto dall’Africa per essere impiegato nelle miniere d’oro. Durante il viaggio in nave aveva perso la moglie e tutti i figli tranne uno, ma invece di sprofondare nell’odio e nel rancore si distinse per la sua intelligenza e per il suo carattere conciliatore. In questo modo si conquistò amicizie importanti tra l’élite bianca che gli consentirono di ottenere la libertà.
Da cittadino libero Chico Rei sposò una donna bianca e acquistò la miniera in cui aveva lavorato da schiavo. Con l’oro della miniera acquistò la libertà di molti altri schiavi, contribuendo in maniera fondamentale alla cultura multietnica che contraddistingue Ouro Preto ancora oggi. La sua piccola miniera è una delle tante graziose attrazioni di Ouro Preto, questo piccolo gioiello coloniale in cui rilassarsi con lunghe passeggiate sui pendii o facendo il giro delle fatiscenti chiese che ancora resistono all’abbattersi dei secoli.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.