Dal mare si nota subito una schiera di alti grattacieli lucenti, ma non è quella la vera città. La città vera e propria è tutto ciò che vi sta attorno, le strade costellate da buche, i marciapiedi rotti, le case ingiallite o addirittura mancanti di alcuni muri esterni, come un cantiere mai concluso in cui nel frattempo ha nidificato una famiglia di uccelli migratori. E poi lo sferragliare sgangherato dei vecchi autobus che chissà come fanno ad andare avanti in quell’incessante saltellare sulle buche, prendere ogni curva come se fosse il giro finale del gran premio e inerpicarsi senza timore sulle salite crudeli che circondano la città.
Maceiò non è una visione di assoluta bellezza. Anzi. È una di quelle città dal passato rurale che il tempo e un improvviso sviluppo hanno portato sulla strada dell’urbanizzazione sfrenata, fatta di colate di cemento e palazzi imponenti. Prima c’era solo un piccolo insediamento sorto intorno alle coltivazioni di canna da zucchero, case sparse, qualche strada. Poi il porto, il commercio e le prime industrie ne hanno fatto una città nel 1815, esattamente 200 anni fa. Città che poi è divenuta la capitale dell’Alagoas, uno degli stati più piccoli dello sterminato Brasile. Quello con le spiagge più belle, dicono gli alagoani. Infine è arrivato il turismo – prevalentemente nazionale – con i ristoranti, i negozi, il benessere travasato con poco equilibrio su pochi e sempre precluso ai molti.
Però c’è la spiaggia, ampia e morbida, su cui si è allineata una schiera infinita di piccoli chioschi, bar, ristoranti. Si mangia tanto pesce – soprattutto fritto – tanta carne – soprattutto bruciacchiata – e tanta frutta. E ci sono loro, i maceioensi. Gentili, sorridenti, sempre disponibili a offrire un’informazione utile, mai insistenti nel vendere o proporre. Il tipico carattere solare e allegro dei nordestini brasiliani.
Le spiagge cittadine circondano il reticolo urbano su due lati. A sud la Pajuçara abbraccia il mare con una curva sinuosa. A gennaio e febbraio la sabbia è ricoperta di ombrelloni, ma solo di domenica la confusione è tale da scoraggiare gli animi più pacati. Gli altri giorni un posto per un tavolino e due sedie si trova sempre, oppure lo trovano i solerti ragazzi che si occupano del servizio: birra, bibite, latte di cocco, spuntini, pesce fresco… basta chiedere, se gli manca qualcosa se lo procureranno in un altro bar e per poi servirlo ai propri clienti. Basta attendere. Qualche volta parecchio.
Ogni tanto però bisogna uscire dal reticolo di pietra e cemento per respirare un po’ d’aria, infilarsi sui temibili autobus e lasciarsi portare verso spiagge lontane dal traffico e dalla confusione. Barra Nova è a circa 16 chilometri verso sud, lungo la costa. Qui i corsi d’acqua sfuggiti al lago Mandau hanno creato una piccola laguna che però le maree dell’oceano hanno salificato. Si raggiunge il piccolo villaggio sulla costa interna con circa venti minuti di autobus e ci si lascia portare dall’altra parte dai pescatori. Sul banco sabbioso che separa la laguna dall’Atlantico sono sorti un paio di semplici ristorantini. Non c’è elettricità né acqua corrente, perché la laguna è area protetta, ci vengono a deporre le uova anche le tartarughe. Sarebbe perfetto, se non fosse che in alta stagione qualche turista un po’ troppo entusiasta si sogna di arrivare fin qui con il suo yacht preso a noleggio, devastando la quiete naturale con musica ad alto volume e schiamazzi. Meglio arrivare al mattino presto, prima che questo genere di fauna locale si manifesti.
Con un po’ più di tempo e di pazienza si raggiunge invece la foce del fiume San Francesco (Foz do Rio Sao Francisco). Sempre verso sud, circa due ore in macchina per arrivare fino al villaggio di Piaçabuçu. Qui si prosegue nuovamente in barca lungo il fiume, in uno scenario intriso di lussureggiante vegetazione tropicale che si protrae per circa mezz’ora. Giunti alla foce si staglia incontrastata una spiaggia di sabbia finissima. Anche qui non manca il servizio di ristorazione, sempre gestito con strumenti umilissimi. Sarebbe un vero paradiso – e sicuramente nei giorni migliori lo è – ma proprio quando si comincia a sincronizzare il proprio battito cardiaco con il rumore delle onde eccolo che arriva, sempre lui: il mammifero con lo yacht. Questa volta ad aiutarlo nell’opera di devastazione della quiete naturale ha portato anche i cugini con il quad e il fuoristrada, che invitano anche gli ignari turisti a ridurre l’habitat delle tartarughe marine ad una poltiglia di sabbia pressata.
Ad una distanza intermedia tra queste due località si colloca anche una delle spiagge più famose e celebrate dell’Alagoas: la Spiaggia del Gunga (Praia do Gunga), a circa 40 chilometri da Maceiò. Qui l’autobus si ferma alla strada principale, me per raggiungere la spiaggia occorre attraversare a piedi – o con i taxi che applicano tariffe che neanche a Beverly Hills – un tratto di foresta e giungere così su una baia assolutamente incantevole, incorniciata dalle palme e lambita da acque cristalline. Inutile dire che anche qui il bipede a cui piacciono le barche grosse grosse che fanno brum brum è arrivato a metterci il suo zampino. Ritiro incantevole e incontaminato durante il resto dell’anno, a gennaio e febbraio Praia do Gunga diventa un festival della tamarraggine, con moto d’acqua, canotti trainati da motoscafi, velivoli di dubbia sicurezza che planano e decollano come fossero a Ciampino, con esalazioni di gas di scarico come al motoraduno degli Amici della Lambretta.
A emergere in questa dura sfida tra meraviglie paesaggistiche e frastuoni meccanici c’è per fortuna Guaxuma, dieci chilometri a nord di Maceiò. Qui i piccoli bar sulla spiaggia non raccolgono mai più di poche decine di visitatori e le acque non sono infestate di chiassosi veicoli festanti. La spiaggia ampia e lunga è un morbido tessuto su cui si incrociano le onde del mare cristallino, e tra le palme le amache si offrono ai pigri turisti sazi di pesce fresco che decidono di concedersi una pausa prima di tornare in città.
Il Brasile, terra dolce e meravigliosa, offre sempre un contrasto di emozioni e stati d’animo, e senza dubbio un po’ di musica o il motore di qualche allegro turista – per la verità sempre molto gentili e affabili nonostante la loro irruente presenza – non sono certo i problemi di cui più occorre parlare. Ma è sempre bene ricordare – in Brasile come in Italia e nel resto del mondo – che l’ambiente non è un tema per filosofi, ma un bene essenziale di cui tutti dobbiamo prenderci cura.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.