Il rito comincia verso le cinque del pomeriggio. Le prime fedeli si raccolgono sulle panche della Chiesa di Santa Maria Assunta, il principale edificio religioso di Civita, e cominciano a intonare le preghiere rivolte ala Vergine. La sala inizialmente vuota riecheggia man mano con i passi dei devoti che raggiungono il Crocifisso per baciare i piedi del corpo martoriato e sofferente del Salvatore e la statua della Madonna. Poi comincia la messa, svolta secondo il rito bizantino che la comunità locale – arbëreshë, cioè italo-albanese – ha ottenuto il permesso di praticare nonostante l’obbedienza cattolica. Infine, come ogni anno nel giorno del Venerdì Santo, la folla si porta disciplinatamente all’esterno, per seguire in processione il Crocifisso, la Madonna e l’icona del Santo Sepolcro.
Sono i riti pasquali dell’Arberia, un mondo sommerso tra gli aspri pendii dell’Italia meridionale che ancora conserva costumi e tradizioni tramandati nei secoli sin dal XV secolo. Un mondo in cui si parla l’antico idioma dei profughi che dall’Albania sfuggirono alla dominazione ottomana e si insediarono nei territori concessi loro da Ferdinando d’Aragona, premio ottenuto da Giorgio Castriota – detto Skanderbeg, “Re Alessandro”, per il vigore che dimostrava sul campo di battaglia – per il sostegno offerto contro gli invasori musulmani.
Per giungere fin qui, sulle cime del Parco Nazionale del Pollino, abbiamo attraversato le valli ormai quasi desertiche scavate dagli antichi corsi d’acqua. Quella del Sarmento, che incide la Basilicata fin quasi sul confine con la Calabria. E quella del Raganello, che dalla statale ionica ci riconduce sui pendii del Pollino fino alle magnifiche gole su cui si affaccia la nostra meta, Civita.
Dopo la processione che ha varcato le strade del paese venerdì, dal quartiere Magazzeno affacciato sulla valle che giunge fino al mare, fino ai vicoli stretti e contorti di Sant’Antonio, sull’altra estremità del borgo, sabato si è tenuta la Divina Liturgia con il “preannuncio della Resurrezione”. Oggi, finalmente, cupi annunci di morte e rinascita si dissipano per lasciare il posto alla vera festa, alla gioia condivisa a tavola con il tradizionale agnello su cui si incrociano entusiasmi pii e altri squisitamente laici. Le energie serviranno domani, quando per trascorrere Pasquetta all’aria aperta quegli stessi pendii che abbiamo ammirato dalla macchina verranno percorsi dai coraggiosi gruppi di escursionisti. Martedì, il gran finale, non un appuntamento religioso ma una celebrazione festosa che tradizionalmente viene legata a questo periodo: le Vallje, un incontro di balli e canti arbëreshë in onore della vittoria di Skanderbeg sul potente esercito ottomano.
Tutti i contenuti di “Arberia in scena” sono disponibili nell’archivio virtuale #Pashket2015.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.