L’interesse suscitato dal mio primo articolo sulla Siria mi ha incoraggiata a ripercorrere l’itinerario del nostro viaggio avvenuto nel 2008. È importante mantenere i riflettori accesi su questo paese e tenere viva la speranza in un futuro di pace e prosperità.
La prima tappa fu Damasco, la capitale. Caratteristica città araba dove più che altrove è evidente la sovrapposizione di epoche e culture diverse. Mark Twain diceva a proposito di Damasco: “Vai indietro nel passato e Damasco c’è sempre stata. Essa non misura il tempo con i giorni, i mesi, gli anni, ma con gli imperi che ha visto nascere, prosperare e andare in rovina.”
Molti studiosi individuano in Damasco la più antica città fra quelle abitate in maniera continuativa. Certo è che è sempre riuscita a rinascere dalle macerie, nonostante gli incendi, i saccheggi, le distruzioni, i terremoti le alluvioni che nel corso dei secoli l’hanno colpita.
Damasco vanta 200 minareti che la sera si illuminano offrendo dalla sommità dell’altura dello Jebel Quassioum una veduta straordinaria della città sfavillante di luci. Il panorama permette non solo di cogliere l’estensione della città col suo reticolo di costruzioni le une addossate alle altre ma anche di rendersi conto della grandiosità della Moschea degli Omayyadi, simbolo della capitale.
Da questa altura si dice che Maometto contemplò la città e ne rimase così incantato da descriverla come un paradiso in terra.
Entrare nel suq di Damasco equivale a entrare in un universo di oggetti, volti, voci, storie. Il frastuono della folla stordisce quanto i colori sgargianti dei tessuti. Si scoprono tante contraddizioni, qui la maggior parte delle donne porta il velo che le copre da capo a piedi, però ci sono botteghe che vendono biancheria intima tutt’altro che casta, stoffe piene di paillettes, boa di piume di struzzo, abiti da sera coloratissimi dalle profonde scollature. Risulta difficile per noi occidentali capire queste incongruenze.
Nel meandro delle botteghe del vivacissimo suq traboccante di mercanzie di ogni genere, gli uomini passano il tempo giocando a mankale, una sorta di puzzle ambientato nel mondo arabo. La città vecchia è simile a un labirinto, un dedalo di strade che raccontano mille storie, dove passato e presente si fondono e si sovrappongono.
Passeggiando nel centro di Damasco si scoprono molte case apparentemente modeste all’esterno che non lasciano presagire nulla della loro magnificenza. Appena entrati però si resta ammaliati alla vista dei tesori che contengono. Vasti cortili con fontane, adornati con alberi di bergamotto e gelsomini, stanze con le pareti rivestite di marmi, affreschi, stucchi, decorazioni in legno intarsiato e madreperla. Tappeti persiani sparsi ovunque. Perfetta armonia di forme colori luci e ombre.
Proprio accanto al suq si trova la Moschea degli Omayyadi, eretta nel 664 quando Damasco divenne capitale di un vasto impero, sulle rovine di una delle più importanti basiliche bizantine dedicata a San Giovanni Battista, che a sua volta era stata costruita sui resti di un tempio pagano eretto dai Romani. I lavori durarono dieci anni e il risultato fu la grande moschea di Damasco, il centro della vita religiosa, il luogo dove i cittadini si radunano per assolvere al primo dovere dei credenti: pregare.
La facciata della moschea è ricoperta di mosaici che furono realizzati da artigiani bizantini, per questo sono figurativi e non geometrici come si usa nell’arte islamica. La grande moschea è imponente, silenziosa e solenne. Il vasto cortile con doppie arcate decorate con magnifici mosaici è incantevole, e al suo centro sorge la cupola dell’abluzione per i rituali che precedono la preghiera.
Entrando nell’immensa sala di preghiera divisa in tre lunghe navate si resta colpiti dalle dimensioni, dal silenzio e dal senso di pace. Enormi tappeti ricoprono il pavimento e attutiscono i rumori. Alle pareti, intarsi in legno con disegni squisitamente geometrici e splendidi mosaici. La pietra lavorata con mille cesellature si è trasformata in un merletto prezioso su cui si riflette qualche raggio di sole che diffonde una luce quasi irreale.
Per la visita alla moschea tutti, uomini e donne devono depositare le scarpe e le donne devono indossare un saio grigio e coprirsi i capelli.
Piacentina di nascita, triestina d’adozione, convivono in me vari interessi e passioni. Amo viaggiare, esplorare e scoprire ciò che è culturalmente diverso e realizzo video reportage di viaggio. Ho recentemente pubblicato l’ebook dal titolo “Il sapore della sfida: viaggio dentro l’America”, resoconto di un’esperienza di sei mesi negli Stati Uniti.