L’atmosfera è quella rilassata, sognante e gradevole che si respirava spesso fino a una ventina di anni fa, quando queste cose e queste situazioni facevano decisamente tendenza, e le emozioni che tutti allora associavamo ai paesi del Sud del mondo erano quelle dell’artigianato e delle manifatture pregiate, dei sorrisi, del benessere nella lentezza, della medicina naturale antica.
Poi venne il terrore nelle nostre metropoli, l’importazione dei conflitti locali, gli esodi, il sangue, la fame, le carrette del mare, l’intolleranza nostra e la loro, lo sfruttamento, la manipolazione, l’ansia, la paura. Insomma la triste cronaca di oggi, che le belle vibrazioni da negozio o mercatino di arte etnica ormai non le scovate quasi più da nessuna parte.
E allora forse è principalmente per questo, che gira il Festival dell’Oriente: per venire incontro al desiderio di noi nostalgici di tornare ad immergerci in quel mondo sereno… se volete un po’ falso, certo, se volete un po’ consumistico, eccome no, se volete un po’ di maniera, e chi lo nega, d’altronde lo è sempre stato, ma… che bello poterlo incontrare di nuovo di tanto in tanto a casa propria, e magari portarsene via un pezzettino, ma sì, ma che male c’è?
Io il Festival anche quest’anno l’ho visto a Napoli, per me era la seconda volta (ma gira, eh, lo trovate facilmente pure altrove) e in tutta sincerità anche quest’anno mi è piaciuto.
La sezione giapponese era semplicemente strepitosa, strapiena com’era di meravigliosi bonsai ed enigmatiche armature da samurai; l’esercito di terracotta del Celeste Impero di Xi’an sembrava essersi dato appuntamento tutto lì; bei mobili per fortuna ancora se ne vedono, sempre magnifici quelli rajasthani e punjabi, e le memorabilia tibetane erano particolarmente ricche, tanto che ho finalmente acquistato la bella e giusta thanka che in quindici anni di attività, vendendone tante una dietro l’altra, avevo sempre trascurato di tenere da parte per me (ops… avevo dimenticato di dirvi che, tempo fa, sono stato a lungo anch’io uno degli addetti ai lavori di quel mondo!).
E naturalmente anche quest’anno c’erano Bollywood e la bhangra dance, che fa tanto allegria e guai a chi me la tocca. Bhangra dance, belly dance, sufi dance, fusion dance, non potevano mica mancare. Lezione di bhangra, addirittura.
La cucina, dite? No, stavolta ho passato, ho preferito una pizza al ristorante sul marciapiede di fronte, che poi se ci pensate bene proprio a Napoli è potentemente etnica pure quella. Perché ho passato, dite? Mah, forse perché sto diventando vecchio, o forse perché avevo già speso troppo in foulards e maglieria nepalese (ero con la mia signora, che quando ha visto il cotone di bamboo, novità assoluta, non ha saputo resistere. Ma potete rimediare voi per me: da mangiare ce n’è per tutte le lingue, per tutte le pance, per tutte le salse e per tutte le tasche.
Anche l’Holi c’era, e neppure quello ho rivisto, ma l’altra volta l’esperienza fu carinissima: replicarla identicamente per me non avrebbe avuto molto senso, però a voi la consiglio davvero… poi ditemi se non avevo ragione, eh!
Vabbè, vi lascio con qualche foto perché tanto sono sicuro che sapete già bene di cosa parlo, e che al Festival dell’Oriente un giro ce lo farete anche voi, se non altro come pausa relax tra un viaggio e l’altro… vero?
La redazione di NST ama definirmi un “viaggiatore d’altri tempi”, e non si può dire che abbia tutti i torti: a cinquant’anni suonati, ho fatto in tempo a vedere un bel po’ di mondo com’era, appena prima che si trasformasse in quello di oggi. Questo mio prezioso bagaglio di viaggi “vintage” mi ha aiutato a costruirmi una personale filosofia di viaggio con la quale mi ostino ad interpretare i cambiamenti che sperimento in giro per il pianeta.