“Perché invece di andare sempre in giro per il mondo non vieni in Sardegna? Ci facciamo spaghetti e bottarga e un bicchiere di vermentino…” Al terzo invito del mio amico Francesco non ho potuto dire di no, e quale miglior occasione dei riti della Settimana Santa? Così, caricato moglie e valigie su un volo low cost, siamo atterrati a Cagliari il sabato che precede la Domenica delle Palme. Vedere tutte le manifestazioni che in ogni paese dell’isola si svolgono durante Sa Chida Santa è impossibile, bisogna per forza fare delle scelte e così abbiamo fatto.
Per seguire la processione delle palme, Sas Prammas, siamo andati a Desulo, un paese della Barbagia ai piedi del Gennargentu ancora innevato. Perché proprio a Desulo? Perché i costumi indossati in occasione delle feste sono tra i più elaborati e colorati della Sardegna. C’è un solo problema: non si trovano più le ricamatrici in grado di confezionare questi abiti e la bambina che piange disperata vedendo i suoi amici in testa al corteo ne è la prova… non sono riusciti a trovare un costume anche per lei.
La processione parte dalla Chiesa del Carmine per giungere alla Parrocchiale con in testa i bambini accompagnati da mamme eccitate e preoccupate, poi le donne, le prioresse della Madonna del Carmelo, con il rosario in una mano e una foglia di palma finemente intrecciata nell’altra, per ultimi gli uomini, anche loro in costume tradizionale, larghi pantaloni bianchi, gonnellino nero e giubba rossa e oro come il vestito delle donne. Se l’atmosfera religiosa non vi coinvolge più di tanto, lo faranno sicuramente i colori.
Assolutamente da non perdere Lu Lunissanti, il Lunedì Santo, a Castelsardo. Siamo arrivati domenica sera sul tardi, nemmeno il tempo di vedere il mare e già all’alba di lunedì eravamo nella Cappella di Santa Maria, stupiti e ammaliati da canti che sembrano provenire da un lontano passato. Gli apostuli della Confraternita dell’Oratorio della Santa Croce, tunica bianca e cappuccio calato sugli occhi, ricevono i simboli della Passione e iniziano la processione per le vie della cittadina. A loro si uniscono tre cori, ognuno composto da quattro cantori, che intonano a turno il Miserere, lo Stabat Mater e Jesu. Le parole non si capiscono, ma la musica è esotica e affascinante.
La processione è diretta – oggi in macchina, fino a vent’anni fa a piedi – alla rossa chiesa romanica di Santa Maria di Tergu, una decina di chilometri da Castelsardo, dove si presentano i simboli a Maria e si pranza sui prati o tra i chioschi di quella che si trasforma nella festa di primavera. Il clou della giornata è alla sera, quando si ripete il tragitto per i vicoli di Castelsardo, questa volta al buio. Gli apostuli procedono affiancati da bambini pure loro in tunica e cappuccio bianchi, l’unica luce è quella delle candele rette dai bambini, la voce dei cori emerge dal buio: che vogliate o no l’emozione vi prende.
Sapete chi sono i baballotis? Se andate a Iglesias scoprirete che sono gli adulti e i bambini vestiti di tunica e cappuccio bianchi che accompagnano le processioni della Settimana Santa. Gli adulti, al buio, sembrano un po’ gente del Ku Klux Klan, ma i bambini, nonostante i richiami al silenzio, si divertono un sacco: c’è chi si sfida a duello usando le croci a mò di spada e chi le usa per sparare col kalashnikov.
La processione del giovedì sera è quella di Sas Chircas, la rievocazione della ricerca del proprio figlio che si immagina fece Maria. La statua della Madonna viene portata dai baballotis in sette chiese accompagnata – e qui sta la sua particolarità – dal suono assordante delle matraccas (per i non isolani “raganelle” o “tric trac”) e non meravigliatevi se una corpulenta signora in abito bianco quando solleva il cappuccio si dimostra essere un uomo con tanto di barba e baffi, è stata una sorpresa anche per noi.
È a Cagliari però che abbiamo vissuto la cerimonia più coinvolgente. Sabato mattina, in Cattedrale, c’è il rito del S’Iscravamentu, la deposizione dalla croce. La statua di Cristo morto in croce viene portata da una cappella laterale al centro della navata dove viene schiodata e deposta in una lettiga a imitazione della tomba. È allora che sale dalla navata il coro possente dell’Arciconfraternita della Solitudine. Saranno le alte navate della cattedrale, saranno le donne che si affannano attorno alla tomba, ma il canto ti vibra dentro e inumidisce gli occhi.
Per non farci mancare nulla la Domenica di Pasqua siamo andati a Oliena, in una splendida posizione ai piedi del versante nord del Gennargentu. Sì, ci avevano avvertiti, ma arrivare in paese, non ancora in piazza, e sentire i colpi di fucile in continuazione fa un certo effetto. Sì, ci avevano detto che lì si festeggia S’Incontru –l’incontro della Madonna con suo figlio risorto – sparando, ma non che ci fosse una fucileria talmente assordante che un buontempone l’ha messa su Youtube come se si fosse a Kabul…
Dopo il rito è tutto un pavoneggiarsi di ragazze in costume, broccato nero, ricami coloratissimi e tanti gioielli – ventimila e più euro ogni vestito, ci ha detto una signora – di ragazzi anche loro in costume che non staccano loro gli occhi di dosso e di turisti che fotografano tutto e tutti.
A proposito, la cena con Francesco è stata ottima e il vermentino ben più di un bicchiere.
Foto di copertina: Alessandro Cani
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.