Sedersi a tavola e sentirsi bene. Meravigliarsi davanti ad ogni piatto per la sua composizione, il sapore e l’abbinamento di forme e colori. Benvenuti in Costa Brava, dove regina è la Cuina de l’Empordanet, un collettivo gastronomico che riunisce chef fantasiosi, capaci di creare piatti di terra e mare con intelligenza, gusto e amore per il territorio.
Con l’entusiasmo di chi si appresta a scoprire una terra attraverso i sapori, parto per Girona inconsapevole del fatto che questo manderà all’aria la mia bilancia, con buona pace di tutti.
D’altronde era impossibile pesare quanto alla partenza, visto che in quattro giorni ho provato oltre quaranta piatti e bevuto circa ventisette vini, come la Collezione di bianco di Peralada, Boca Grossa rosso e Cava brut Rosè di Llopart, abbinati stupendamente a piatti insoliti e sperimentali. Ogni pietanza è servita con grazia, in piatti di ceramica, secondo una tradizione gastronomica in cui pescatori e contadini si misero d’accordo, sposando i sapori di terra e di mare. Ecco la forza di Girona: una cucina di cui protagonisti sono pesci e molluschi, ma anche un entroterra che offre varietà di frutta e verdura, oltre a carni bianche e rosse di prima qualità. Oggi tradizione e creatività hanno trasformato Girona e l’Empordà in un punto di riferimento gastronomico di primaria importanza, e luogo per assaggiare salse tipiche quali la “picada” (trito) e il soffritto.
Lascio le valigie all’Hotel Costa Brava, con camere che guardano dritte sul mare, e mi soffermo ad ammirare l’orizzonte. Noto che il mare, quando si arriccia in onde, ha delle trasparenze così pure da ricordare i vetri di bottiglia. Un blu così particolare, quello delle acque della Costa Brava, da essersi pure meritato un pantone su misura: il Costa Brava Blu, voluto dall’Ica (International Color Autority).
Ancora convinta di mantenere il mio peso forma – beata illusione – mi siedo alla tavola di Els Tinars, a Llagostera, il primo ristorante di questo spettacolare tour gastronomico. Un’occhiata veloce al menù basta per capire perché lo chef Marc Gascons ha preso la stella Michelin, facendo di tradizione e innovazione il suo baluardo. In ordine, leggo: tartare di tonno rosso, zenzero, cereali, pomodori arrostiti, soia e wasabi; gamberi di Palamós (specialità di questa terra) alla brace, sugo delle teste, mandorle e cipolline tenere; cannelloni fini con molta pasta, parmigiano, funghi di primavera e tartufo estivo; pesce del giorno, a seconda del mercato; bue della Galizia alla brace di carbonella, nidi di patate croccanti, formaggio Idiazabal e funghi di primavera; ananas, menta, yogurt e limone; ed infine la cioccolata 2016, pralinata, con fava tonka, vaniglia e caffè. Il tutto accompagnato, naturalmente, da ottimi vini marchiati D.O.Empordà. Sette, per l’esattezza. Cosa fai, ti tiri indietro? Figuriamoci!
E tutto è così buono che ti viene da assaggiare con calma, lasciando lavorare le papille gustative e respirando a fondo prima di deglutire. La stessa sensazione di bontà intatta, lo stesso desiderio di gustare tutto fino in fondo, con calma e in silenzio, mi cattura durante la visita al caseificio Recuits de Jafre, gestito da un giovane e brillante Pauet: circondato da decine di capre, il ragazzo elabora artigianalmente latticini con latte di capra di Jafre, e latte proveniente dal proprio allevamento. In linea con le nuove tendenze, Pauet Làcticos alleva gli animali con grande rispetto, senza utilizzare antibiotici, pesticidi o erbicidi. Il risultato? Una ricotta – il “recuit” appunto -morbida, leggera e… sana!
Se inizialmente stupisce l’amore che ogni persona del tour mette nelle parole dedicate ai prodotti della propria terra, pian piano si capisce che questa passione è invece un mood, uno stile, un credere in ciò che si ha e che si fa. Vale per Pauet, ma anche per Vicenç Fajardo, lo chef del ristorante La Plaça, a Madremanya. Il suo locale è a dir poco suggestivo, da togliere il fiato. Tra spessi muri di pietra grigia e bassi soffitti a botte, vengono serviti piatti caratterizzati da una mentalità aperta e sperimentale. La scelta dello chef è quella del prodotto di prossimità, che si avvale quindi dei produttori della zona, accompagnata da un’ampia selezione di vini.
Quando leggo il menù però, mi blocco già alla prima riga: sardine marinate spolverate con sabbia di olive e peperonata “escalivada”. No, penso. Le sardine no. E’ una vita che litigo con mio padre perché hanno un sapore che non mi piace, mentre per lui sono solo capricci. Ma mi dico che sono in viaggio, e che quello è un prodotto della terra che mi ospita. Rifiutarlo, significherebbe rifiutare il parte la natura stessa della Catalunya. E allora, prima punzecchio le code con la forchetta prendendo tempo, infine le mangio. E scopro un nuovo sapore, lontano anni luce da quello immagazzinato nella mia memoria di bambina. Perché a differenza delle sardine provate in altre occasioni, queste sono delicatissime ed hanno un sapore che si sposa perfettamente con i peperoni. Non hanno un gusto forte, né arrogante, ma gentile e accomodante. E per me sono una vera scoperta! Lo prendo come un regalo di questo magnifico viaggio, perché mi ha permesso di abbattere una barriera sul piano del gusto.
La serata prosegue con carciofi saltati con calamari, nasello con zabaione di yuzu, agnello con carote all’arancia e yogurt con cardamomo, recuit fatto in casa con crema di tè nero, ciliegia dalla Cina e fragole, ed infine un’arnia di cioccolato e nocciole, fava tonka, crema al caffè e gelato di Baileys. Ora, ditemi come uno può non amare questa terra così superba, pur alzandosi da tavola alle diciassette per risedersi alle ventuno. I vini proposti sono tre: Ca’n EStruc Blanc, Ca’n EStruc negre, entrambi DO Catalunya, e un Bertha Lounge Brut (DO Cava). A questo punto, riassumerei l’intera serata con un #delirio.
Eppure il bello deve ancora venire. Perché di questo chef, a stupirti non è solo la parte gastronomica quanto la sua umanità. Perché scesa la notte – mentre parla l’orologio segna le 23.40 – Vicenç Fajardo racconta di una persona, un agricoltore, così etico da rinunciare alla venduta del suo prodotto se l’annata non è stata buona. Il nome di quest’uomo straordinario è Albert Grassot, titolare dell’azienda Arros L’estany de Pals e produce riso.
Riso integrale, bahia, nembo, bomba e carnaroli, per dire alcune varietà. Un prodotto che ha un’anima e nasce dall’amore di un essere umano per il suo territorio. Coltiva le risaie di Pals, ed è un uomo così sperimentale da aver importato anche una specialità di riso giapponese, l’Akita Komachi che, come la maggior parte delle cose giapponesi, va preparato con tutti i sacri crismi. D’altronde anche i macchinari di Albert vengono dalla terra del Sol Levante e trattano il chicco di riso in modo diverso dal solito. Un esempio? L’azienda Arros L’estany de Pals ha una macchina che separa i chicchi delicatamente, poiché simula una mano!
E’ parlando con queste persone che capisci che qui non si scherza e la qualità è decisamente di casa. Ne ho avuto un’ulteriore riprova sedendomi al tavolo del Ristorante Mas De Torrent, situato nel cuore dell’Empordà in un’ambientazione che rievoca la nostra Toscana. Mentre una luna rosa colorava il cielo all’imbrunire, sotto la direzione dello chef Fina Puigdevall ho gustato piatti a dir poco sublimi. Tra gli altri, la crosta di acciughe di L’Escala e riso di Pals, con alghe alla romana e brodo marittimo con spaghetti di riso; una royale di mandorla cruda (evocazione del mandorlo in fiore); e per raccontare il territorio, una recuit di Fonteta gelato.
Non è mancata la tipica salsa suquet di pesce di scoglio, e formaggi catalani “in fette sottili al punto giusto”. La scelta filosofica è chiara: prodotti a KmZero per offrire una cucina di “paesaggio”, secondo la stagionalità. Come “L’oli del mar”, che nasce dalle olive del paesaggio del Baix Ebre, un capolavoro dalle note delicate, custodito in una bottiglia bianca e vincitore del primo premio al “Prodexpo 2016” di Mosca.
Tu lo assaggi e ci ritrovi il mare. Quel mare cristallino, dai colori saturi e profondi, che possono essere contemplati durante il cammino di ronda che da Calella de Palafrugell porta a Llafranc. È qui che scopri che “Costa Brava” significa “Costa selvaggia” secondo il vocabolario catalano. Un paesaggio di pini marittimi e rocce che scendono a picco, mentre il sole illumina i passi dei passanti. I colori di questo paesaggio sono così pieni, così carichi di vita, che ti pare di essere caduto in qualche quadro, o in una poesia che racconta di pace e serenità. Lungo la costa sbocciano case bianche e ville antiche, che rievocano lo stile delle Indie Americane. Non a caso, i catalani che viaggiavano fino a Cuba e dintorni per affari erano chiamati gli “Indiani” e qui portarono un po’ di quello stile d’Oltreoceano.
Terminata la ronda, il punto di ritrovo è il Ristorante Terramar, che ha grandi finestre vanitose ed una cucina davvero ottima. Situato ai piedi della spiaggia di Llafranc e guidato dallo chef Miguel Garcia, il locale punta su piatti tradizionali e di prossimità, ma con un tocco di modernità. Se amate frutta e verdura non potete perdervi la zuppa fredda di cocomero e fragole, né l’insalata tropicale con tempura di pistacchi. Per i golosi invece consiglio il Dolce sogno Terrassa Terramar e il dessert Terrassa Terramar. Un trionfo di sapori indimenticabili.
Ma la vera perla di questo viaggio, al di là dei gusti, dei profumi e dei sapori è il borgo medievale di Pals, nel quale mi ritrovo in un pomeriggio di giugno. Pietre antiche e storie secolari, il borgo si erge su una piccola montagna, e custodisce in sé le storie ed i misteri della vita medioevale. Camminando per le sue vie accompagnati da una guida locale, potrete scoprire le decorazioni di angeli e rami d’ulivo alle finestre, e le storie di schiavitù a cui erano destinati coloro che a Pals nascevano con i capelli chiari e gli occhi azzurri. Il punto culminante è il belvedere del Pedrò, da cui possono essere osservate le isole Medes, il Montgrì, il Canigò e L’Albera.
Come una bambina osservo l’affascinante “Torre delle Ore” e lascio che il mio sguardo vaghi nel mare alla ricerca del “rinoceronte”: massi che spuntano dalle acque e che, in effetti, ricordano la forma dell’animale immerso per metà nel Mar Mediterraneo. Dal Medioevo si fa un salto ai giorni nostri visitando la cantina Finca Bell-lloc a Palamós, un vero capolavoro di architettura contemporanea. La sola cantina varrebbe un viaggio in Costa Brava, per la bellezza smisurata e la sua grande originalità, giocata con lastre di ferro acidato che, inserite in profondità nel terreno, creano un gioco di luci e di ombre nelle cantine sotterranee. Il progetto architettonico, dello studio RCR, genera stupore ad ogni passo perché, inizialmente invisibile, mostra tutta la sua bellezza geometrica una volta addentratisi nelle viscere di questa preziosa cantina.
I vini e gli spumanti di Brugarol, sotto la direzione dell’enologo Josep Trallero, hanno vinto numerosi premi, per la qualità unita alla lavorazione artigianale e alla mancanza di additivi. Nella cantina, proprio per la sua struttura che gioca con luci e geometrie, si realizzano degustazioni di vini, ma anche attività connesse con l’arte, il paesaggio e l’integrazione sociale. Ottimi vini sono anche quelli prodotti e imbottigliati dalle Cantine Clos d’Agon (DO Empordà) ed i vini degustati al ristorante Aradi, a Platja d’Aro.
Ma l’esperienza che porterò nel cuore, con i ricordi di questo strepitoso viaggio gastronomico che tanto mi ha permesso di penetrare la terra di Girona, è la preparazione dei piatti presso l’Aula Gastronòmica dell’Empordà. Perché lì, seguita da uno chef, ho cucinato la peperonata “escalivada” e per un istante mi sono sentita un po’ catalana. La parte più divertente? Quando ho bruciato lo zucchero della crema catalana con un ferro rotondo dotato di un lungo manico. Ci credereste? E’ uscita perfetta! Una crosticina degna di uno chef stellato. Si vede che al termine di questo viaggio il sangue dei miei avi iberici è uscito, prepotente. Anche se, secondo Guia Rossi, compagna di viaggio di questo spettacolare tour gastronomico, è stato solo un “colpo di fortuna”!
Il viaggio, la scoperta, l’incontro. I nuovi territori, il mare color del vetro, il cielo che cambia d’abito in ogni angolo della terra. Viaggiare è per me come respirare, come rinascere, come dare linfa alle mie radici e nuove piume alle mie ali. Sono giornalista e scrittrice e forse il mio nome così singolare è stata la chiave per aprirmi e scoprire nuovi mondi, nel quale tuffarmi a braccia aperte.