Al giorno d’oggi tutto sembra incentrato sulla sfida, sul cercare di superare i propri limiti, le proprie paure, ed ogni giorno nascono competizioni emozionanti ed eventi sempre più difficili, lunghi, quasi impossibili. Ma lo sport può significare anche altro: se si va oltre la competizione e si cerca qualcosa di più autentico, sincero, qualcosa che ci riconnetta con la nostra storia e alle nostre radici culturali, si possono trovare delle belle sorprese, eventi straordinari capaci di connetterci gli uni agli altri e di ricordarci da dove veniamo e quanta strada è stata fatta.
Pochi mesi fa sono venuto a conoscenza del Sentiero della Libertà (anche noto con il suo nome inglese, Freedom Trail), un percorso escursionistico di 60 chilometri che ripercorre la via di fuga utilizzata da migliaia di prigionieri della Seconda Guerra Mondiale attraverso il Parco Nazionale della Majella.
Negli anni Novanta il Liceo Scientifico Statale Fermi di Sulmona sviluppò una ricerca sui prigionieri di guerra in seguito al contributo di un ex prigioniero britannico, J. Keith Kilby, che in Inghilterra aveva fondato la Monte San Martino Trust in segno di riconoscenza verso gli italiani che lo aiutarono durante la guerra. Da allora il “Sentiero” ha vissuto una riscoperta sempre più appassionata e anno dopo anno sportivi, visitatori e personaggi illustri si sono cimentati sui passi di chi è stato testimone di grandi atrocità ma anche di toccanti gesti di solidarietà e altruismo.
Oggi il Sentiero della Libertà è anche il titolo di un evento che ogni anno raccoglie centinaia di partecipanti, una marcia attraverso la storia che ci ha visto protagonisti e attraverso le asprezze di un territorio, quello della Majella, bellissimo ed evocativo. Marcia a cui anch’io quest’anno ho avuto l’onore di partecipare.
L’evento di quest’anno è si è tenuto dal Primo Maggio al 3 maggio, tre giorni per tre tappe che hanno unito tre diverse località abruzzese unite dal ricordo dei sopravvissuti alle grandi battaglie della penisola. Già dal giorno prima della partenza si percepiva che questo non era un evento sportivo come gli altri, impostato solo sulla competizione e sulla forma fisica, ma che si tratta di un viaggio alla scoperta della nostra storia, della sofferenza e della speranza di chi ci ha preceduti, accompagnati da persone prima sconosciute che poi sono diventate amiche, compagne di viaggio e di avventura. Una comunità consapevole di partecipanti legati per sempre da questa esperienza indimenticabile.
A dare vita all’evento ha contribuito anche un marchio storico del settore outdoor, Dolomite. L’azienda, che da 120 anni con le sue calzature sostiene e condivide le esperienze di scalatori professionisti alla conquista delle vette più alte al mondo, non poteva non condividere gli ideali e le finalità di questa straordinaria avventura. A me sono state fornite le Dolomite Aria S GTX Surround, che mi hanno portato per 60 chilometri alleviando i miei sforzi e proteggendomi da dolori e contusioni.
Ecco com’è andata
Tre giorni, 60 chilometri nel Parco Nazione della Majella, in Abruzzo, circondati da paesaggi mozzafiato, natura incontaminata e sopratutto dal silenzio e dalla quiete che caratterizzano quest’area. Si parte da Sulmona, 300 persone tra studenti liceali, famiglie, bambini e qualche anziano: si attraversa la città in un clima di festa, chiacchierando, discutendo e approfondendo la storia di queste vallate ai tempi della guerra, una tragedia che pur così lontana dal vivere quotidiano continua ad essere sentita profondamente dalle persone che l’hanno vissuta in prima persona e dalle loro famiglie.
Si cammina per sei ore con una pausa pranzo al sacco nei boschi che si incontrano prima di arrivare a Campo di Giove, prima tappa di questa avventura: accoglienza con la fanfara degli Alpini e corteo. Si dorme nelle tende da 15-20 posti montate in un campeggio dagli uomini della Protezione Civile e dagli Alpini, con cena nella tenda-mensa preparata dagli Alpini: pasta, carne, dolce e frutta. Non manca nulla, siamo tutti galvanizzati da un’atmosfera di festa in cui ci sentiamo tutti uniti e solidali.
Secondo giorno, più impegnativo ma anche più appagante. Con la stessa energia e lo stesso spirito di festa. Si parte alle 9, dopo colazione. Superiamo un dislivello di 500 metri per salire sul valico che prende il nome di Guado di Coccia, dove è presente il ceppo che ricorda il sacrificio di Ettore De Corti, tenente, pilota udinese, studente di ingegneria. Intercettato, ferito e poi ucciso dai tedeschi, riuscì tuttavia a mettere in salvo il gruppo di fuggiaschi con il quale tentava di superare la linea del fronte. Si scende per 600 metri a Palena e successivamente a Taranta Peligna, dove ci fermiamo per la notte.
Ultimo giorno, in discesa: 16 chilometri di piacevole passeggiata verso Casoli, dove a concludere l’evento c’è la fanfara degli Alpini a commemorare con un minuto di silenzio gli eroi che hanno perso la vita per la patria.
Alla fine eravamo stanchi, qualcuno persino un po’ dolorante per la lunga traversata, ma anche felici, soddisfatti. Ci sentivamo ricchi dentro, ricchi di immagini regalateci dai paesaggi attraversati, ma anche ricchi nella nostra consapevolezza, nella nostra coscienza storica e nazionale. Perché il Sentiero della Libertà è un’esperienza profonda a cui non si può restare immuni, un viaggio ambivalente nella storia nel presente, nella bellezza e nel dolore. Un viaggio di crescita personale e collettiva. Un viaggio vero, come dovrebbe sempre essere.
Fondatore e autore di NonSoloTuristi.it e ThinkingNomads.com.
110 nazioni visitate in 5 continenti. Negli ultimi 6 anni in viaggio per il mondo con mia moglie Felicity e le nostre due bambine. Instagram @viaggiatori