Viaggiare con quattro donne di tre generazioni diverse, dalla nonna alla nipotina, è ogni tanto stressante ma il più delle volte rilassante perché io guido e faccio foto, al resto ci pensano loro, e di foto su Fuerteventura se ne possono fare tante e belle.
Prima sera, cena in un ristorantino sul mare a Pozo Negro che, come si può intuire, si chiama così perché è imbucato in fondo a una strada su una spiaggia nera, la nipotina si diverte un sacco, noi tutti un po’ meno perché tira un vento freddo e fastidioso.
Betancuria, nascosta nel centro dell’isola, è quasi una visita d’obbligo ed effettivamente è molto carina ma io sono irresistibilmente attratto da un nome, Aguas verdes, e siccome guido io… Le distanze sono poche ma la segnaletica scarseggia e non è facile arrivarci, poi sulla spiaggia vento forte, nuvole basse e onde a volontà ma la scogliera è davvero interessante e fotogenica anche se bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi.
E’ presto, ci fermiamo al Mirador di Morro Velosa? – silenzio assenso della nipotina che dorme, grugnito che vuol dire no della moglie, sì convinto dalle altre due, la maggioranza vince e ne valeva la pena.
A nord sotto il temporale colline rosse scavate dall’acqua, a est una piana coltivata su cui le nuvole corrono come ombre scure e poi colline verdi di questo inizio di primavera, il cellulare di mia moglie rende meglio i colori rispetto alla mia reflex, non c’è più religione.
Oggi visita concordata e obbligata all’ Oasis Park che non è niente male, recinti spaziosi e ben tenuti, ci sono tutti gli animali che uno zoo che si rispetti deve avere e tanti dromedari giusto per ricordare che siamo a un centinaio di chilometri dal Marocco, le due cose più apprezzate dalla nipotina sono la lingua della giraffa che prende una carota dalle mani della mamma e lo scivolo del parco giochi. Molto bello, per gli amanti del genere, il giardino botanico del parco.
La maggioranza ha deciso per un giro al parco naturale di Corralejo, due opzioni, camminare sulle dune o riposarsi in riva al mare, scelta facile, io sulle dune loro in riva al mare – la sabbia della spiaggia è uguale a quella delle dune – dicono.
Il paesaggio è un po’ irreale, dalla cima di una duna bianca vista a 360 gradi: da un lato mare blu – dall’altro lontane colline nere – riflessi di automobili su una strada verso l’interno – mega albergo sulla spiaggia verso Corralejo – non ho l’ispirazione, foto svogliate. Sulla spiaggia si sono divertite un sacco.
Le strisce bianche e rosse del faro di El Cotillo risaltano nitide sopra i sassi scuri della scogliera, il cielo è azzurro e ancora più azzurre le calette a destra verso la punta dell’isola. Una buca scavata nella sabbia e riparata dal vento con un muretto circolare di pietre, ce ne sono a decine lungo la riva, diventa per la nipotina un rifugio dei pirati, più avanti trovo un tratto di scogliera fatto da colonne esagonali di basalto nero erose dal mare, un soggetto fotografico che meriterebbe più tempo ma Capitan Uncino ha finito gli assalti e si deve tornare.
Oggi giornata impegnativa verso la spiaggia di Cofete, in fondo all’isola, nel Parque Natural Jandìa. E’ ovvio che se c’è un mirador, c’è qualcosa da mirar, e se ci sono più di tre macchine ferme vuol dire che c’è molto da mirar e dal Mirador Degollada Agua Oveja il panorama è grande, si vede la spiaggia infinita di Cofete e poi si segue tutta la costa ovest dell’isola finchè la vista si perde nella foschia.
Quando andiamo al mare? – adesso – e giù per la strada non particolarmente agevole fino alle quattro case di Cofete, meno male che c’è anche un posto dove mangiare. Venti turisti in tutto, forse meno, e basta seguire la spiaggia per duecento metri e non c’è più nessuno, nemmeno il resto della famiglia che è rimasta con secchiello e paletta agli ordini della più piccola. Vento freddo, sole a tratti ma luce splendida e i riflessi dell’acqua sulla sabbia dorata sono spettacolari, questa sì che è una spiaggia.
Al ritorno tutte addormentate in macchina così nessuna si lamenta se mi fermo ogni tanto a scattare foto a una landa desolata ma con una sua bellezza selvaggia, il Malpais Grande.
Di nuovo a El Cotillo.
Nuvole nere, temporale in arrivo o il solito scherzo degli Alisei? Per sicurezza scendiamo lungo la costa, una falesia continua con pochi accessi al mare – qui ce n’è uno – ma per scendere bisogna superare qualche gradino caduto sperando che non cada tutta la scala di pietra ma la spiaggia dell’Escalera è unica e bella e poi c’è un solitario surfista che affascina tutte nipotina compresa.
Rocce nere, sabbia gialla, mare verde turchese, cosa volete di piu? Sulla via del ritorno un lampo di luce illumina la base della montagna di Tindaya, fermata brusca sul bordo della strada per scattare qualche foto, oggi ho l’ispirazione.
Avevo notato i colori passando in macchina i giorni scorsi, questa mattina sul presto, prima della partenza, giro solitario verso Triquivijate, e finalmente le trovo: basse colline velate di malva e tranquille distese di fiori gialli, sembra di camminare nella primavera.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.