Viaggio in Irpinia tra monti, castelli, storia e sapori italiani

L’Italia è piccola eppure immensa, dentro le regioni ci sono i territori e dentro i territori i paesi. Ogni porzione di terra è capace di fermarti per raccontarti una storia o farti assaggiare un tipo particolare di formaggio e di vino che solo lì viene prodotto, è un libro che temo non si possa mai leggere fino in fondo.

L’ Irpinia è uno di questi capitoli, poco letto da molti, che si ricordano solo della storia più tragica. Il terremoto del 1980 ha fatto più scalpore della bellezza, che oggi vuole giustamente tornare a splendere.

In pochi giorni di viaggio ho dimenticato i fatti della storia recente, che hanno la mia età e mi sono accorto di quella più lunga che viene scossa dalle calamità naturali o sociali ma che continua a scorrere. L’ Irpinia allora si apre e si lascia sfogliare, apparendo come un libro più che un singolo capitolo, fatto di strati di storia che vanno dai Sanniti ai Romani, dai Longobardi ai Normanni, per arrivare agli Spagnoli.

E’ un testo che parla molte lingue, un miscuglio di popoli e visioni, a volte incerti a volte stabili, tutti comunque dominati dalla mediterraneità che permea anche questa terra di montagna, che è in fondo aperta verso tre mari, Adriatico, Tirreno e Ionico.

Crocevia tra le Puglie, Napoli e la Basilicata, l’Irpinia trattiene le sue particolarità senza confondersi con nessuna di queste. Colli e montagne sembrano racchiuderla e forse proteggerla, anche se la storia stessa ci dice che qui gli invasori sono stati tanti e continuano ad esserci. Le storie che ho incontrato, però, raccontano di chi sogna altro per la propria terra e di chi vive questo sogno fabbricandolo con le mani, per creare formaggi, olio d’oliva e vini, percorsi di sapori e di saperi che possono attirare i viaggiatori stanchi delle costiere o delle pastiere trite e ritrite.

La nostra vita qui è un sogno, e tale vogliamo rimanga. Vogliamo continuare a essere parte noi stessi delle leggende in cui ogni giorno ci piace calarci.

Lo afferma un irpino, forse con la testardaggine tipica delle popolazioni di montagna, abituate ai rigori del clima e l’asperità dei terreni, in cui si può anche scivolare o franare ma dove poi ci rialza. Non cercare allora in questa terra di Sud, il clima tiepido della costa e nemmeno la sinuosità effimera delle cose che vanno e vengono veloci portate dal mare, sposta lo sguardo dagli stereotipi, allungalo.

Il vento freddo di dicembre mi ha obbligato a vestirmi pesante ma ha pulito questo orizzonte, facendomi intravedere un mare di colline dove spuntavano piccoli borghi simili ad isole, spesso con in cima un’umile rocca o un più orgoglioso castello, come quello di Ariano Irpino o di Zungoli. Sono pietre che possono annoiare ma in compagnia della giusta guida diventano lezioni di storia, geografia e anche psicologia.

Qui a governare, oltre ai Normanni e gli Aragonesi, c’è sempre stata infatti una cultura che per me, vicino come sono al mondo tedesco, è qualcosa d’altro. A volte tortuosa, a volte immobile, è una dimensione lenta ed accogliente, capace di sfamare il desiderio di diversità proprio del viaggio e quello di abbondanza, di chi vede nel cibo quelle storie e geografie che si incarnano.

L’Irpinia è i resti di un anfiteatro romano, di un’abbazia medievale, è musica e castelli ma, soprattutto, i sapori che crescono rigogliosi nel più piccolo borgo o dietro l’ennesima curva. Il caciocavallo podolico, il pecorino Carmasciano, l’olio extra vergine Ravece, le castagne del prete, aromi forti da accompagnare con un bicchiere di Aglianico invecchiato, il Taurasi. Sono tutti nomi che possono non dire nulla ma assaggiati raccontano molto, soprattutto per bocca dei loro produttori che non si arrendono e fanno innovazione, quella vera, di chi si sporca le mani e poi timidamente ne parla.

Il freddo spazza le nuvole e i pregiudizi, lascia una terra ondulata e saporita, lascia la voglia di ritornare in Irpinia, quando le colline che scivolano alle mie spalle, mentre vado verso Napoli, saranno verdi e calde di quel Mediterraneo che si inerpica dietro la costa, parlando una lingua comune, saracena, normanna e spagnola, lingua senza parole, da ascoltare in un viaggio lento.

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