Nella regione del Sud-Est in Kazakistan si possono trovare siti naturalistici unici per le loro caratteristiche geologiche; dai paesaggi brulli e aridi delle steppe si passa a profonde gole scavate in Canyon di pietra arenaria e vulcanica, da formazioni rocciose alquanto bizzarre a dune di sabbia o splendidi laghi alpini sulle alte catene montuose del Tian Shan.
Partendo da Almaty, si può organizzare un viaggio che passa attraverso il Parco nazionale di Altyn Emel, prosegunedo per Charyn Canyon, fino ai cristallini Laghi di Kaindy e Kolsay. I tour organizzati locali offrono la possibilità di visitare questi luoghi, ma solo una alla volta e in genere per un giorno. Questa variante è molto stressante e non offre abbastanza tempo per godere il luogo appieno. Io suggerisco di munirsi di un 4×4 dotato di GPS e tentare l’avventura.
Mi sono recata alla prima tappa del viaggio proprio con un auto a noleggio partendo da Almaty, in compagnia di amici di varie nazionalità. Per visitare il Parco nazionale di Altyn Emel (“Colline dorate”) è necessario arrivare al villaggio di Basshi (5 ore di macchina), dove le guardie nazionali forniscono assistenza e dove si paga il biglietto d’ingresso all’area protetta, circa 7 euro a persona. Le indicazioni stradali sono d’aiuto fino al Lago di Kapchagay (una pozza piatta di acqua inquinata dove non suggerisco di restare); poi si è in mano o a Dio o al GPS!
Il villaggio di Basshi si trova a circa 260 km a Nord-Est di Almaty; offre negozi, ristoranti e piccole pensioni dove poter passare la notte. I rangers del parco mostrano qui le rotte visitabili dei 4595 kmq del parco, per la maggior parte esclusi ai turisti in quanto popolati dalla fauna locale (lupi, orsi, volpi, linci, cervi, lontre …) Uscire dalle rotte significa poter incontrare facilmente animali non proprio simpatici; come serpenti, scorpioni, zecche… Comunque presenti anche nei punti accessibili!
A circa mezz’ora di auto dal villaggio si arriva su strada sterrata alle Singing Dunes, una gigantesca duna compatta lunga tre chilometri, preservatasi nonostante i forti venti in mezzo alla brulla steppa. Proprio il vento, che smuove l’uno sull’altro i i microscopici granelli di sabbia, provocherebbe dei sibili da cui proviene il nome di Singing dunes, le dune suonanti. È possibile scalare i 120 metri di altezza della duna principale, cosa che richiede abbastanza fiato; ma la fatica è premiata dalla bellezza del panorama circostante e dal brivido di rotolare in giù come birilli impazziti.
Sulla rotta sono conservati anche tre monoliti alti circa un metro e mezzo, un’area probabilmente utilizzata per antichi riti sacri. Poco distante dal sito, si trova una zona campeggio in cui è possiile pernottare. Niente paura: cani e cavalli sono gli unici animali presenti!
Sempre dal villaggio di Basshi, parte un altro sentiero sterrato e praticabile solo con un 4×4 che porta alla lunare formazione rocciosa di Katutau e ai meravigliosi rilievi candidi di Aktau. Visto che siamo senza una jeep, il ranger kazako ci propone di noleggiare il loro vecchio “furgone” sovietico con tanto di guida inclusa e noi accettiamo di buon grado l’offerta.
La strada è davvero piena di buche e dislivelli; prendiamo una tregua dai sussulti a Kosbastau, dove alcuni ranger vivono e si riposano all’ombra di un contorto ed enorme salice Iva, vecchio di 700 anni.
La strada si snoda su terreni ricoperti da bassi e radi arbusti, sedimenti grigiastri e marroni; finché si ferma in fondo a una vallata, dove troviamo una bizzarra formazione rocciosa, Katutau, alta circa due metri e lunga una settantina. Le pareti rossastre sono un ammasso di rocce giganti concave, che formano uno strano e complesso gioco di pieni e vuoti; come un’opera esposta in una galleria d’arte contemporanea. Ci divertiamo a scalarla e a stenderci nelle piccole cave in pose improbabili, mentre alcune lepri selvatiche scappano disturbate dalle nostre infantili risate.
Ci rimettiamo in marcia per un’altra decina di chilometri, fino a una barriera di colline striate trasversalmente tra l’ocra e l’amaranto. Dietro ad esse scorgiamo candidi rilievi tondeggianti di un bianco opaco, simili alle nostre Alpi Apuane. Non è marmo, ma altre sedimentazioni che provengono da millenni passati, quando questo territorio era sommerso dall’acqua marina. Questa area è un paradiso per i geologi; sono infatti state ritrovate ossa di dinosauro, resti di coccodrilli, rinoceronti giganti e tartarughe risalenti all’era del Miocene, oltre che a vari resti fossili di piante.
La bellezza dei colori della terra, la sorpresa delle forme dolci e placide, il silenzio surreale ci rapiscono donandoci momenti di serenità; mentre passeggiamo lungo il letto secco di un fiume. Vorremmo poter pernottare qui, ma la presenza numerosa di zecche (me ne ritrovo una sul collo presa, per fortuna, in tempo) ci fa cambiare idea.
Sulla via di ritorno troviamo una yurta, la tenda usata come abitazione dai nomadi, e chiediamo ai vicini proprietari se possiamo dormirci dentro. La signora kazaka ci dice che ora è usata come ristorante, ma dentro è vuota. Ci concordiamo sul prezzo e sistemiamo i nostri sacchi a pelo sulle spoglie assi di legno. Stare in questa yurta mi fa sentire più al rapiro, sarà anche perché i cani gradiscono particolarmente la nostra compagnia dopo averli sfamati?
Altyn Emel è un luogo magico; non solo per la varietà dei paesaggi, per la presenza di fauna locale facilmente visibile, come gazzelle e asini selvatici; ma anche per la profonda quiete e l’antichità della terra che qui si respira.
Nata sotto stelle zingare, non riesco a stare ferma in un luogo troppo a lungo. Essere insegnante di Interpretazione e Lingua italiana mi aiuta a girare il mondo soddisfando la mia necessità di conoscere a fondo “l’altro”. La mia sensibilità di poeta ( Cicatrici del Vento, Il Filo, 2008) e artista trova ispirazione in orizzonti mai visti e negli sfuggenti sguardi di stranieri.