Si può prenotare dall’Italia un’auto a San Sebastian de la Gomera e arrivare senza la patente? Ve lo garantisco io, si può.
E non c’è verso di averla un’auto a nolo, anche se poi presenti un facsimile a colori inviato via mail e plastificato in un gentilissimo negozietto dei dintorni. Però ci indicano l’autobus per Playa de Santiago e l’autista, una signora di mezza età, è così gentile da fermarsi nel punto più vicino al nostro appartamento e spiegarci la strada per arrivarci.
Dove andiamo senza macchina? – sulla strada ad aspettare l’autobus – mi guarda perplessa, è dai tempi della scuola che mia moglie non prende più l’autobus ma l’autista di questa mattina è gentile come la sua collega di ieri, mezz’ora di salita su per i tornanti della montagna, poi – per l’Alto de Garajonay dovete seguire quel sentiero, più avanti ci sono le indicazioni – e per il ritorno? Non facciamo in tempo a chiederlo, è già ripartito.
Le Canarie sono le isole dell’eterna primavera ma una primavera così non ce l’aspettavamo proprio. Siamo a fine aprile ed è tutta una tavolozza di colori, il sentiero è invaso da fiori gialli e viola, sotto i cespugli grigi dell’erica pulvini luminosi di artemisia bianca, tronchi anneriti dal fuoco su una stuoia di erbe rossastre – quanto manca? – poco – bugiardo – poi dalla cima la visione di tutta l’isola, non a caso si chiama Alto de Garajonay: versante sud brullo e senza alberi, macchie scure di incendi recenti e fioriture primaverili, versante nord verde e boscoso, interrotto dai cucuzzoli de Los Roques, in fondo, sopra le nuvole, la cima del Pico del Teide di Tenerife ancora bianca di neve.
Gli incendi appunto, ma avete idea di quanti fiori sbocciano dopo un incendio? I tronchi neri risaltano di più su un tappeto di felci verdi o su un prato di silene bianche e papaveri rosa? Oppure preferite le margheritone e i cespugli gialli di non so che cosa? Quale che sia la scelta lo spettacolo è assicurato.
Pomeriggio, strada asfaltata, si cammina sotto un cielo blu solcato da cirri bianchi, il sole scalda – ma di qui passerà prima o poi un autobus? – almeno passasse una macchina. Tre macchine in tutto, due passaggi in autostop, una coppia di vecchietti del posto fino a un punto imprecisato e una coppia di inglesi proprio fino a casa, le figlie non ci crederanno mai.
Il tunnel del tempo esiste ed è al Km 10 della GM-1 da San Sebastian de la Gomera verso Agulo: lo imboccate inseguiti dalla luce del sole e uscite increduli nella nebbia fitta – è sempre così – ci conferma l’autista – è per questo che lo chiamano il tunnel del tempo – colpa degli alisei che spingono da nord l’umidità dell’oceano che si condensa risalendo la montagna – adesso capisco la barriera di nuvole che si vedeva dal porto – dico io – adesso capisci perché era meglio stare al sud – risponde lei.
A Las Poyatas, dove abbiamo il nostro alloggio, pioviggina – dove vuoi andare con questo tempo? – faccio un giro tra i bananeti – ma non resisto e mi perdo dentro un bosco fino alla base di una sottile cascata che cade altissima dal bordo di una falesia, domani andiamo lassù, nel Parco Nazionale Garajonay, patrimonio dell’UNESCO. In taxi – chiarisce mia moglie.
Il tassista ci lascia all’imbocco della Ruta 9, ci verrà a riprendere nel pomeriggio a El Cedro – è tutto in discesa – e chi si fida più di te. Il sentiero si fa strada a fatica tra piante dal tronco sottile e contorto, erica arborea e faya dice il depliant del parco – guarda quante barbe di licheni, sono piene – sosta a un mirador aperto nel folto del bosco, tra i rami si vede in lontananza l’onnipresente Teide.
Finora nessun altro sul sentiero ma alla chiesetta di Lourdes pausa panino con una dozzina di persone che arrivano da un parcheggio lì di fianco e un fringuello senza paura e senza vergogna, viene quasi a mangiare dalla mano. Guarda siamo finalmente nella famosa laurisilva, la foresta che un tempo copriva buona parte dell’Europa, insomma la foresta tutelata dall’UNESCO – e tutta sta strada per vedere alberi pieni di muschio? I tronchi si elevano alti controluce contornati da un alone verde, il muschio li ricopre come ricopre gli alberi caduti, le ceppaie corrose e i rami marcescenti, il terreno è nascosto dalle felci del sottobosco, siamo nella foresta degli elfi. Al Cedro per ora nessun taxi, c’è tempo per un tè e per vedere la cascata che precipita nella valle.
Sicuro di voler tornare a piedi? – cosa saran mai dieci chilometri in discesa – e saluto moglie e tassista. Il cartello del Mirador de Bailadero spiega come si è formato il dicco vulcanico del Roque de Ojila, dovrebbe essere lì di fronte, nella nebbia che improvvisamente è salita. Adesso non è più così piacevole camminare da soli, felci giganti sul sentiero, rami caduti che intralciano il passo, tronchi neri nella nebbia, più che il bosco degli elfi è la selva oscura, non sento ululati ma meno male che il sentiero ritrova la strada asfaltata.
Ho cambiato idea, al primo che passa faccio autostop. E’ gentile e sorridente mentre mi fa segno di sedermi al suo fianco ed è così che arrivo alla nostra pensione in Ape Piaggio.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.