Attraverso il Rajastan – viaggio in India

Per la prima volta esco dai confini europei nelle vacanze di Natale. E lo faccio con un viaggio che mi attendeva da molto. Infatti ho deciso che è arrivato il momento giusto per visitare un paese che a tratti mi affascina e a tratti mi spaventa: l’India.

Alle 21.25, puntuale, decolla il nostro volo della Jet Airways da Milano Malpensa diretto a Delhi. Volo ottimo perché economico (580€ prenotato a ottobre) e senza scali intermedi. Il mio compagno d’avventura per questo viaggio è Gabriele, anche lui, come me, euforico e teso allo stesso tempo.

Dal momento che, per questo viaggio, ho meno giorni a disposizione rispetto al solito, ho deciso di organizzare alcuni aspetti già dall’Italia, così da non perdere giorni preziosi per contrattempi che invece possono accadere nei viaggi in totale fai da te. Ci siamo quindi rivolti ad un’agenzia locale, Ancient India, per avere un driver che ci accompagnerà per i nostri 15 giorni attraverso la regione del Rajastan.

Alle 10 ora locale atterriamo a Delhi. L’India risulta un mondo a sé già dal fuso orario che è avanti di 4 ore… e mezza! Appena recuperati gli zaini usciamo e troviamo l’incaricato dell’agenzia ad aspettarci. Ma non sarà lui il nostro autista poiché, dopo averci accompagnato in un altro settore dell’aeroporto, ci affida ad un suo collega. Io inizio a scrutarlo per cercare di cogliere le prime impressioni sul “terzo uomo” del nostro viaggio ma scopro presto che lui è solo l’incaricato ad accompagnarci dal nostro driver di cui facciamo finalmente la conoscenza. Anil, questo è il suo nome, ci accoglie con due ghirlande di fiori e, con un inglese a noi quasi incomprensibile, ci invita a salire sull’auto perché ci aspetta il primo lungo viaggio in direzione Mandawa.

Appena fuori dall’aeroporto ci immergiamo nel traffico e nel caos indiano che tante persone avevano provato a descrivermi ma che, fino a quando non lo si vive di persona, non lo si può comprendere fino in fondo. Sulle strade vige la legge della prepotenza: procede solo il più ardito e chi suona più frequentemente il clacson. Siamo immersi in un inferno di auto, moto, biciclette, tuc tuc, camion che, senza nessun criterio apparente, si muovono tra le corsie.

La prima domanda che pongo ad Anil è perché facciano questo utilizzo smodato del clacson e lui mi risponde: “For an indian driver the three most important things are: the horn (il clacson), the brakes (i freni) and the good luck!”. Sento di non aver bisogno di nessuna altra delucidazione!

Dopo alcune ore di auto ci fermiamo in un punto dove Anil ci spiega di dover pagare un tassa d’entrata in Rajastan. Peccato che l’ufficio competente sia rimasto senza moduli per le ricevute per cui rimaniamo bloccati più di mezz’ora.

Arriviamo a Mandawa dove circa 8 ore. Purtroppo piove e anche la temperatura è piuttosto bassa. Per il pernottamento abbiamo scelto il Caste Mandawa, un hotel situato all’interno del castello della città. La camera è enorme e molto pulita. Per la cena decidiamo di avventurarci fuori dall’hotel ma purtroppo veniamo sorpresi da un fortissimo scroscio di pioggia che ci costringe al riparo sotto una tettoia. Le vie sono deserte e di un ristorante neanche l’ombra. Ad un certo punto vediamo avvicinarsi lentamente a noi un uomo con un ombrello. Ci chiede dove siamo diretti e ci offre un passaggio sotto al suo ombrello per riaccompagnarci all’hotel. Quello che mi colpisce di quest’uomo è il suo meraviglioso sorriso. Lo ringraziamo molto per il gentile gesto e rientriamo in hotel optando forzatamente per una cena nel ristorante interno che però, comparata con gli altri pasti che faremo, risulterà molto cara.

Alle 9 del mattino dopo abbiamo appuntamento con Anil il quale ci propone una guida, sua amica, per la visita degli haveli della città. Noi accettiamo di buon grado anche perché le nostre guide non sono molto dettagliate su questo posto. Con nostra grande sorpresa chi ci troviamo davanti? L’uomo con il sorriso più bello del mondo che ci ha soccorsi la sera precedente. Shankrà, questo è il suo nome, si dimostra un’ottima guida e un profondo conoscitore di tutti gli haveli di Mandawa. Questi palazzi non saranno i più belli che vedremo nel nostro viaggio ma, a mio parere, meritano comunque una visita. La cosa che mi sorprende è che molti di questi haveli sono attualmente abitati ma nessuno sembra scocciato dalla nostra intrusione.

Il nostro giro dura circa due ore, alla fine del quale saliamo nuovamente sulla nostra auto e ci rimettiamo sulla strada in direzione Bikaner. Iniziamo a capire che i viaggi in auto in questo stato riservano sempre delle sorprese. La prima che riguarda questo tragitto, che durerà circa 3 ore e mezza, è l’incontro con un uomo totalmente nudo che cammina sul ciglio della strada. Anil ci dice che si tratta di un jainista ma la sua spiegazione non ci sembra molto convincente. La seconda sorpresa è l’attraversamento di un paese le cui strade sono totalmente allagate. Anche in questo caso è Anil a darci la spiegazione. Nonostante infatti non abbia piovuto così tanto da giustificare un tale allagamento per le strade, la plastica e i rifiuti in genere che vengono gettati nei tombini, ne causano la totale ostruzione ed impediscono quindi il deflusso dell’acqua.

Alle 14.30 arriviamo a Bikaner e ci sistemiamo nell’hotel Heritage Resort, molto pulito anche se troppo internazionale per i nostri gusti.

Tempo di posare gli zaini in stanza e siamo già di nuovo in cammino per la visita del tempio Karni Mata, più noto come tempio dei topi. Io ho letto molto su questo luogo ma Gabri arriva molto più impreparato di me. Nonostante questo affronta lo shock iniziale con molta scioltezza. Il punto è infatti che questo tempio è la casa di migliaia di topi che corrono e si arrampicano ovunque. Purtroppo la nostra speranza di incontrare il topo bianco, ovvero il topo portafortuna, risulta vana. Inutile risulta persino l’intervento di un gentilissimo indiano che ci accompagna esattamente nel punto in cui lui lo ha avvistato pochi minuti prima. La fortuna non bacia chiunque e non accetta suggerimenti!

Sulla strada del ritorno ci fermiamo anche a visitare il “Centro Nazionale per lo studio sui cammelli” nel quale abbiamo la possibilità di vedere cuccioli nati da pochi giorni e tantissime razze di cammelli delle quali ignoravamo l’esistenza. Tornati in hotel decidiamo di cenare lì poiché la struttura è fuori dal centro abitato di Bikaner.

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