Arrivare a Québec City significa chiedersi dove si è attraversato il confine senza accorgersene.
Dopo un viaggio di circa nove ore in autobus con cambio a Montréal di prima mattina, la capitale dell’omonima Provincia canadese sembra contemporaneamente vicina e lontanissima da Toronto. Non dimentichiamo che sui muri si possono ancora leggere slogan inneggianti a Québec Libre, la cui indipendenza dal Canada è stata però scongiurata dal fallimento dei referendum del 1980 e del 1995.
La sensazione di essere catapultati in una cittadina francese non è data solo dalla lingua, ma dall’aspetto stesso della città. Abituati alla fisionomia tipicamente nordamericana di Toronto, ci stupiamo di camminare su stretti marciapiedi in stradine acciottolate, con le insegne dei negozi che ricordano quelle in legno dei borghi europei.
Québec si sviluppa in verticale, su una collina che risaliamo a piedi attraversando un’antica postazione militare con gli immancabili cannoni, salendo sulle mura della Citadelle e avvistando l’edificio che ospita il Parlamento della Provincia.
Camminiamo sotto il sole nella piana di Abraham, dove si svolse la battaglia del 1759 fra inglesi e francesi, proseguendo poi con una passeggiata lungo il San Lorenzo. Il lungofiume è percorribile su un’ampia passerella in legno, che sale a formare la Terrasse Dufferin, via pedonale con bella vista sull’acqua, su cui si affaccia una delle attrattive più famose della città, l’hotel Chateau Frontenac.
L’albergo fu costruito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo con la volontà di imitare lo stile architettonico dei castelli scozzesi e francesi, ed è oggi uno dei più esclusivi del Canada. Entriamo nel cortile interno e ci intrufoliamo indisturbati a dare un’occhiata alla lussuosa lobby: i valletti in livrea all’ingresso sono abituati ai turisti curiosi.
Per pranzo decidiamo di concederci una poutine, sostanziosa pietanza tipica canadese che viene in aiuto di studenti e viaggiatori squattrinati ma bisognosi di calorie: spesse patatine fritte coperte da gravy (sugo di carne) e bocconcini di formaggio.
Dopo il pranzo ci dirigiamo di nuovo alla Terrasse Dufferin, dove prendiamo la funicolare che in un paio di minuti porta alla parte bassa della città. Qui di nuovo ci troviamo a passeggiare in strette vie acciottolate popolate da turisti e autoctoni impegnati nello shopping, chi nelle boutique di abbigliamento e design, chi negli immancabili negozietti di souvenir, dove spopolano feticci di orgoglio québecois: uno degli articoli più popolari è proprio una t-shirt che riprende il celeberrimo slogan newyorkese trasformandolo in J’♥ Québec.
Dopo aver percorso Rue du Petit Champlain, apparentemente la più stretta via del Nord America, ci dirigiamo in Place Royale, di nuovo una tipica cartolina in stile europeo.
Ci sarebbe ancora altro da vedere, ma purtroppo la nostra escursione mordi-e-fuggi ci lascia solo il tempo di infilarci in una panetteria per procurarci la cena: voltiamo le spalle al centro storico e torniamo alla Gare du Palais, con una baguette sotto il braccio e il francese nelle orecchie.
Dal profondo Nord Italia, diretta chissà dove. Viaggio, scrivo, parlo. Ma leggo e ascolto anche, e amo studiare le lingue perché mi irrita non capire le persone. Viaggiare mi piace così tanto che da sei mesi ho una valigia come comodino.