467 giorni per un giro del mondo via terra

 

Eddy Cattaneo e’ un “ragazzo” di 40 anni originario di Bergamo (ma genovese d’adozione) il quale un bel giorno decide di partire per un giro del mondo (come e’ successo anche a me del resto) con l’idea di completarlo senza salire su nessun aereo.

“Non è stata la mia prima esperienza” racconta Eddy Cattaneo, protagonista di questa avventura: “dopo il diploma ho fatto un tour dell’Italia in sacco a pelo e finita l’università ho viaggiato per l’Europa dormendo nella mia auto”. A 40 anni una nuova esperienza: lascia il lavoro, la casa sul mare e parte per un giro del mondo che durera’ 467 giorni.

Quella che segue e’ un’intervista rilasciate per gli amici di non solo turisti.it:

Mi chiamo Eddy Cattaneo, ho 42 anni, sono nato a Ciserano, provincia di Bergamo e dopo la laurea in Ingegneria Ambientale mi sono trasferito in riviera ligure, a Recco, provincia di Genova.

L’idea che di avevo prima della partenza era un giro del mondo fatto senza prendere aerei, tutto via terra, e quindi l’inizio e la fine coincidono, da Ciserano a Ciserano. Ho percorso 108000 km in 467 giorni senza nessun motivo razionale, solo il desiderio di un bambino che voleva vedere ogni foto dell’atlante.

Come e’ partita l’idea di fare un giro del mondo via terra, ovvero senza prendere mai un aereo?

E’ una febbre, non un’idea razionale, una malattia che non guarisce e, ciclicamente ritorna. Per farla passare devo andare, partire, lasciare tutto e andare. Questo e’ il mio terzo grande viaggio, dopo l’Italia in sacco a pelo vent’anni fa e dieci anni fa l’Europa girata per quasi un anno in macchina, dormendo e mangiando in una vecchia Golf, senza mai rimanere una notte in ostello ma solo ospitato qua e la’ da amici.

Una febbre che e’ tornata nel 2008, per il mondo stavolta. Avevo un lavoro che mi piaceva, a tempo indeterminato, una casa vicino al mare e una compagna. Ma dovevo partire, un chiodo fisso che non mi lasciava vedere oltre questo viaggio intorno al mondo. Ho chiesto l’aspettativa, negata, e quindi mi sono licenziato. Visto che lasciavo tutto, mi sono preso in cambio tutta la strada possibile. Non avevo limiti di spazio ne’ di tempo e ho deciso di fare il giro del mondo senza prendere aerei, per calpestarlo tutto, senza saltare dei pezzi o barare, tra virgolette, volando.

Il blog nasce pochi giorni prima di partire, come modo semplice per far sapere ai miei, ogni qualche giorno, che ero vivo e continuavo ad esser vivo e ogni tanto mettere in rete qualche immagine. Poi la voce di questo progetto si e’ sparsa e quando sono tornato a casa si e’ trasformata in libro grazie ad alcune persone di Feltrinelli che seguivano il blog

Prima di partire avevi gia’ fissato una data di rientro in Italia?

Assolutamente no, nessun limite di tempo

Ti eri preparato un itinerario dettagliato prima della partenza oppure decidevi di volta in volta?

Nessun itinerario dettagliato, quando ho deciso di fare il viaggio senza volare ho solo controllato che fosse possibile. Attraversare frontiere ti costringe a conoscere quali paesi sono in guerra tra loro, le difficoltà diplomatiche, etc. Una volta che ho visto che almeno un percorso era possibile, sono partito, decidendo in maniera molto fluida il tragitto, lasciandomi trasportare da eventi e consigli.

Hai avuto momenti in cui hai pensato: ma cosa ci faccio qui? e momenti in cui hai pensato di tornare a casa?

No, mai.

Come e’ stata presa la tua decisione di partire dai tuoi amici / parenti?

Dagli amici benissimo, anzi, sono stato spronato. Dai genitori malissimo, non ci potevano credere che di nuovo stavo per ripartire senza sapere quando sarei tornato.

Quale e’ stato il momento più bello di tutto il viaggio?  e il più brutto?

Per il piu’ bello e’ davvero impossibile rispondere…sono tanti…alcuni giorni in bici nel deserto di Atacama in Cile, un’alba circondato da una corona di vette himalayane in Nepal, l’arrivo, dopo 3 giorni navigando sul Niger, la mattina presto a Timbuktu con il canto del muezzin….

Il piu’ brutto quando ho deciso di tornare. Sul primo bus verso Ciserano, preso da Timbuktu in direzione Bamako, ho subito l’unico incidente di tutto il mio giro, ci siamo capovolti nel mezzo del Sahel e qualcuno e’ stato gravemente ferito. Io ho sbattuto la testa contro il finestrino, il finestrino contro la terra e mi sono ritrovato sepolto da una quarantina di persone, impregnato di gasolio. Per 450 giorni non mi era mai capitato un incidente e proprio quando decido di tornare a casa mi ritrovo in pericolo di vita. Ho pensato che forse era meglio rimanere a viaggiare.

Tra i paesi che hai attraversato quale ti ha colpito di più e perché? 

A me piace tutto, ogni posto ha lasciato in me emozioni diverse per varie ragioni. Per i paesaggi la Patagonia, l’Amazzonia, le montagne del Karakorum in Pakistan o l’Annapurna in Nepal, le Ande boliviane, i deserti del Rajasthan, l’Atacama cileno e del Sahara mauritano. Per l’architettura le madrasse e i minareti da mille e una notte sulla via della seta in Uzbekistan, i templi indu’ o le moschee di fango in Mali e Burkina Faso. Citta’ come Rio de Janeiro in Brasile, Cartagena in Colombia o Varanasi in India non possono non affascinare per la gente e gli incontri. E poi la cucina, quella Thai, quella peruviana, uzbeka…tutto !!!

Hai mai pensato di fermarti a tempo indeterminato in una nazione?

No mai, fin dall’inizio mi era molto chiaro che sarebbe stato un giro, con il punto iniziale che doveva coincidere con quello finale.

Questo viaggio e’ stato quasi interamente in solitaria: ti e’ mancato un compagno di viaggio o una persona con cui condividere momenti/esperienze?

In realta’ ho viaggiato molte volte in compagnia di altre persone, amici, amiche, compagnie di ragazzi e a volte con ragazze con le quali e’ nato un rapporto intimo stretto. Adoro viaggiare con qualcuno, condividere la strada e’ come amplificare le sensazioni, vederle specchiate nell’altra persona che cammina con te. Viaggiare da solo non mi pesa affatto, anzi a volte e’ proprio una necessita’, guardarsi dentro e cercare di vedersi da fuori, le reazioni nelle circostanze piu’ insolite.

Ti e’ mancato qualcosa dell’Italia durante questi mesi passati in viaggio? 

No, niente, tanto sapevo che al ritorno tutto sarebbe stato li’, come prima.

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Ciudad Perdida, Colombia: raggiunta la citta’

 

Mettiamola in questo modo: la notte appena trascorsa e’ stata quella in cui ho dormito meno dall’inizio di questa avventura nella giungla. Purtroppo eravamo in troppi sotto lo stesso tetto: tra chi russava e chi parlava nel sonno, senza contare altri rumori strani, c’e’ ben poco da riposare… Se ci si mette poi anche un animale non ben identificato che nel bel mezzo della notte rovista tra i rifiuti, abbiamo completato l’opera.

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Nemmeno la colazione riesce a “rimediare” alla brutta nottata appena trascorsa: uova sode con pane raffermo, marmellata e caffè’. Se non fossimo stati abituati bene nelle prime due mattine, non ci sarebbe stato nulla di male e sarebbe stata considerata un buona colazione.

La partenza avviene alle 8 in punto: sarà una giornata pesante, lunga e faticosa. Speriamo il tempo tenga, che non piova nel bel mezzo del cammino e che non ci sia nemmeno troppa umidita’ a rendere l’ascesa piu’ faticosa del dovuto. E’ chiedere troppo?

La nostra guida Gabriel, in pochi secondi spiega il tragitto di oggi: 6 ore di cammino, 8 fiumi senza ponti da attraversare con l’acqua che arriverà fino all’altezza della vita, umidità e caldo elevati, con salita finale alla città perduta costituita da 1200 scalini. Forse sarebbe stato meglio non ricevere questo tipo di informazioni!

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Appena intrapreso il sentiero siamo accompagnati subito da un cagnolino marrone, con il quale avevamo giocato la sera precedente al campo: ci accompagnerà per tutta la giornata, rischiando in un paio di occasioni addirittura di venire travolto dalla corrente del fiume.

La giornata e’ calda ma non troppo, nemmeno l’umidità sembra dare fstidio: col passare delle ore non ci affatichiamo come avevamo temuto, ma bensì apprezziamo il cammino e il paesaggio circostante. La vegetazione e’ così verde da sembrare finta.

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I fiumi da attraversare non presentano grosse difficoltà, a parte un paio in cui effettivamente l’acqua e’ alta e la corrente abbastanza forte; passiamo tutti senza problemi, togliendoci le scarpe e camminando a piedi nudi, cercando di mantenere l’equilibrio e non calpestare sassi appuntiti o taglienti. Test passato con successo: nessuno si fa male per fortuna. Sicuramente ci si rinfresca.

Ci fermiamo per il pranzo sulle rive dell’ultimo dei fiumi da attraversare: come sempre i panini imbottiti con pomodoro e formaggio, vengono preparati dalla nostra guida e dal nostro portatore. Come sempre non manca mai l’ananas come frutta. E’ il pasto prima dell’ultima salita alla ciudad perdida, con i suoi 1200 scalini di roccia e terra.

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Ultimo attraversamento di fiume e inizia l’ascesa: siamo circondati dalla fitta giungla e gli scalini, oltre ad essere ovviamente sconnessi, sono anche scivolosi, a causa dell’umidità.

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Il primo vero e proprio contatto con la città l’abbiamo dopo circa mezz’ora di cammino dal fiume: si tratta di una terrazza su due livelli con diversi sentieri che conducono ad essa. Il tutto ovviamente circondato dalla fitta giungla, resa ancora più densa dal passare degli anni in cui e’ rimasta incolta.

La nostra guida spiega come questa sia la periferia della città, che come al giorno d’oggi, ospitava le persone meno abbienti: più ci si avvicina al centro e più aumenta il benessere e il potere degli abitanti.

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Dopo un’altra mezz’ora di scalini e terrazzamenti, raggiungiamo il cuore della città, meta finale del nostro viaggio e premio delle nostre fatiche: la piazza principale con vista mozzafiato sulle valli e colline circostanti. Non abbiamo avuto un panorama simile dall’inizio di questa avventura: ora, come per magia, la giungla si manifesta in tutta la sua bellezza e drammaticita’. Siamo quasi nel punto piu’ alto di questa vallata, postazione strategica, dalla quale si puo’ vedere tutto e tutti, ma non si puo’ essere visti.  Dopo giorni di cammino abbiamo finalmente coronato il nostro sogno: trovarsi nel centro della Ciudad Perdida con una vista a 360 gradi sulle vallate circostanti.

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Continuo a girarmi su me stesso, come in una sorta di estasi, cercando di fare entrare nel mia mente e nel mio cuore questa vastità e bellezza naturale che ci circonda. Adesso capisco perché i Tairona chiamavano questa città Teyuna – Madre Natura e il perché della loro scelta di stabilirsi in un posto simile, così lontano dal mare o da zone più accessibili.

Torno con i pedi per terra solo alla vista in lontananza di un folto gruppo di militari in sorveglianza alla zona: si trovano nella parte alta della ciudad, dalla quale possono controllare l’intera area. Ogni unita’, composta da una decina di soldati armati, tutti giovanissimi, passa dai 4 ai 6 mesi in questo posto senza fare ritorno a casa.

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L’ultimo campo si trova giusto dietro la postazione militare, spostato sulla sinistra rispetto alla piazza principale; e’ ancora più basilare del precedente, senza amache ma con materassi sparsi sul pavimento, vecchi come la ciudad stessa.

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Australia in camper: intervista ad una famiglia in viaggio

Intervista a Claudio e Myriam, due giornalisti che hanno ottenuto 6 mesi di aspettativa per realizzare il proprio sogno: attraversare l’Australia in camper con il figlio di 5 anni.

Introduzione 

Siamo Claudio Cuccurullo e Myriam Defilippi, entrambi giornalisti 45enni, l’uno partenopeo, l’altra eporediese. Last, but not least, nostro figlio Lieto, pavese di nascita e cosmopolita di spirito: adora e pratica il calcio che è lo sport più internazionale, è affascinato dalle lingue straniere (lo spagnolo in particolare),  vorrebbe boicottare i nostri viaggi perché – giustamente – ama stare a casa con il suo nintendo, gli altri giochi e gli amici. Poi, però, quando siamo in viaggio ci accompagna e ci sprona con il suo entusiasmo, le sue critiche, il suo desiderio di scoprire.

Quando avete deciso di “cambiare aria” e perché?

Viaggiare è sempre piaciuto a tutti e due fin da ragazzi, in compagnia ma anche da soli (in questo senso l’interrail è stato un ottimo viatico per le avventure future). Arrivati agli anta un desiderio, che prima forse si animava solo in qualche limbo emotivo, ha cominciato ad avere forma più definita e riconoscibile: dopo anni chiusi in redazione o comunque agganciati al solito tran tran, volevamo staccare. Per ritemprarci sia individualmente sia come famiglia.

Abbiamo avuto la fortuna di poter chiedere un periodo sabbatico di sei mesi. E’ un privilegio, lo riconosciamo, ma pochissimi dei nostri colleghi lo usano per un’esperienza di questo tipo. Soprattutto ha significato per entrambi non incamerare un euro per un semestre. Abbiamo dovuto mettere qualcosa da parte per fronteggiare la traversata dell’Australia, oltre che le spese che la casa pavese avrebbe continuato a presentarci nonostante fossimo dall’altra parte del mondo.

Perché avete scelto proprio l’Australia come meta per la vostra avventura?

Tre motivi: era stata la meta del nostro viaggio di nozze e ci aveva entusiasmati. A tutti piaceva (su altri Paesi non c’era una simile concordanza). Cercavamo un luogo che ci permettesse di vivere vere avventure senza farci abbandonare del tutto l’Occidente (ci preoccupavano, in particolare, eventuali problemi di salute del bambino che all’epoca del viaggio aveva 5 anni; non volevamo fare vaccinazioni…). E l’Australia affascina proprio perché contiene più mondi: è la terra più antica, ma ha le città più giovani, sa essere ipermoderna ma ti permette anche di entrare nel Tempo del Sogno aborigeno…

Da dove e’ partita l’idea di viaggiare in camper? (Il camper l’avete comprato in Australia?)

La prima volta, in viaggio di nozze appunto, siamo stati in Australia un mese spostandoci in aereo da un luogo all’altro: laggiù infatti le distanze sono gigantesche, la dimensione spaziale è sempre dilatata e con essa si dilata pure lo sguardo di chi quella terra percorre. Ci siamo però resi conto che il modo migliore di visitare quel Paese è il camper: gli stessi australiani lo prediligono e hanno ottimi campeggi, dove il rapporto qualità- prezzo è premiante.

Claudio da ragazzo aveva avuto esperienze di campeggio ma non di camper: Myriam era digiuna dell’uno e dell’altro e oggi li consiglia a tutti coloro che abbiano un po’ di tempo da spendere nella terra di Oz. Abbiamo scelto il camper per varie ragioni: poter strutturare il viaggio giorno per giorno accogliendo così desideri e necessità che via via si fossero presentati.  Andare per sei mesi in hotel sarebbe stato economicamente fuori target, soprattutto, in molte delle zone in cui siamo stati non esistono hotel però… ci sono le stelle: le esperienze più emozionati sono stati i campeggi liberi così da poter vivere la notte nel cuore dei deserti (in Australia si trovano opuscoli anche per organizzarsi di tanto in tanto il campeggio libero e quasi dovunque trovi una toilette  – letteralmente in mezzo al nulla; nei paesini anche la doccia. Un popolo di viaggiatori si mette e ti mette a disposizione gli “strumenti” di viaggio).

In un primo tempo avevamo pensato di comprare il camper con la formula del buy-back, poi abbiamo optato per l’affitto così abbiamo potuto beneficiare dell’assistenza gratuita un paio i volte, per esempio, per il cambio delle gomme che, macinando 23mila chilometri, si sono decisamente usurate. Il camper ci ha permesso anche di dare una casa a Lieto, qualcosa di stabile in quei mesi di continuo movimento.

Avete avuto grosse difficoltà viaggiando con un bambino di solo 5 anni?

Qualcuna sì: la notte in cui ha avuto una brutta otite è stata difficile, poi gli abbiamo ripulito le narici con l’acqua dell’oceano (effetto simile all’acqua marina che si compra in farmacia), il catarro si è sciolto e siamo ripartiti. C’erano giorni in cui facevamo 600-700 chilometri immersi nel caldo afoso dell’ouback tropicale e per Lieto è stato un notevole sforzo fisico ma anche emotivo. In più, visto che cambiavamo di continuo campeggio non aveva amici stabili (ne ha trovati due con cui ci siamo visti un paio di volte negli stessi campeggi e poi, per il saluto finale, a Sydney). Mentre  noi guidavamo lui giocava a contare quante auto incrociavamo (magari una all’ora!) e in quali animali rischiavamo di andare a sbattere: canguri, ma anche mucche, iguane  e una volta persino un’echidna!

Quali sono state le mete del vostro viaggio?

Siamo partiti da Sydney, risaliti a nord fino a Brisbane, la Gold Coast, poi ci siamo tuffati nell’outback attraverso la terra rossa, i termitai, raggiungendo Mount Isa (ancora nel Queensland) poi Katherine e Devil’s marbles (gigantesche pietre sacre agli aborigeni) e il villaggio aborigeno di Manyanalluk tanto per citare alcune tappe del Northern Territory. Abbiamo dedicato parecchi giorni a quell’enorme meraviglia che è il Western Australia: Kununurra, Broome, Monkey Mia, Perth (le coste strepitose, ma anche l’interno in città minerarie come Tom Price e parchi come il Karijini), poi nel South Asutralia e nel Victoria fino a Melbourne, da lì in Tasmania che abbaino girato in tondo. Dopodiché ancora sul continente fino a Canberra e back to Sydney. Qui citiamo soprattutto le città perché sono le coordinate geografiche più note, ma abbiamo passato la maggior parte del tempo in paesi con pochi abitanti o terre dove l’uomo è solo presenza transitante. Non abbiamo toccato tappe classiche, come Uluru e Darwin, perché eravamo già stati la prima volta e non avevamo tempo sufficiente per rivedere tutto.

Quale e’ stato il momento più’ difficile in viaggio? E il momento più bello?

In 6 mesi e 23mila chilometri si accumulano tante esperienze. Un momento non semplice lo abbiamo vissuto nel deserto del Western Australia: il camper aveva i pneumatici lisi ed emetteva un rumore inquietante; fuori c’erano 45 gradi e un’umidità incalcolabile, Myriam era isterica, poi dopo un paio di giorni abbiamo trovato un centro assistenza che si prendesse cura del camper e la temperatura è scesa un po’. Allora abbiamo cominciato a riconciliarci con il mondo.

Il momento più bello? Per Lieto l’incontro con un dingo sulla Fraser Island (ma forse anche con gli ornitorinchi a Eungella, o i canguri che “bussavano” alla porta del camper in alcuni campeggi non recintati e il delfini che arrivavano alle 7 del mattino sulla spiaggia di Monkey Mia). Per noi genitori la traversata del Nullarbor: un rettilineo di 1200 chilometri che attraversano il nulla più pieno di emozioni (ci sono solo 3 o 4 roadhouse lungo il percorso dove mangiare qualcosa e, soprattutto, fare benzina). Laggiù abbandoni tutto, incontri la magia, ritrovi te stesso.

Avete mai pensato “Quasi quasi ci trasferiamo a tempo pieno in Australia”?

No, lo abbino vissuto come momento di passaggio anche se manteniamo contatti con l’Australia e qualche australiano.

Che benefici ha dato questa vostra esperienza di vita? Non so, ha per esempio  aperto gli occhi su certi aspetti della vita ai quali non avete mai pensato prima?

Sicuramente ti dilata gli occhi interiori: percepisci modi nuovi di vivere lo spazio e il tempo, ti ricarichi lo spirito, scopri con quanto poco si possa vivere intensamente. Quel viaggio è stato una sfida che ci ha resi tutti più forti, più aperti e tolleranti. Poi, una volta che tocchi la terrra rossa del bush, te la porti per sempre dentro: è una riserva d’energia emotiva straordinaria.

Rifareste un viaggio / esperienza di questo tipo? Se si, dove vorreste andare?

Senza dubbio. Ci stiamo pensando ma i tempi (e le finanze) non sono maturi.

A chi consigliereste questo viaggio / esperienza di vita e perché?

A tutti, basta volerlo. Poi, intendiamoci, non è detto che sia sempre possibile avere sei mesi liberi e che interessi l’Australia. Molti sognano un’altra vita poi non fanno nulla di concreto per cambiare. Anche uno stacco, netto e rigenerante, è utile e sprigiona tanti stimoli e novità. Oggettivamente la terra di Oz è strepitosa, ma siamo convinti che ognuno, quando si mette in moto, trova la “sua Australia” laddove essa lo aspetta.

Turchia, mar Egeo e caicco: una combinazione vincente

 

Perche’ visitare la Turchia e navigarne i mari a bordo di un caicco? Semplice: ottima cucina, paesaggi, mare mozzafiato, eleganza, ordine e relax garantito al 100%. Non mi credete? Leggete il racconto che segue.

Arriviamo in Turchia senza grosse aspettative, un paese che non e’ mai stato in cima alla lista personale dei posti da visitare. Non potevo di certo rifiutare l’invito di Mike di passare una vacanza di 7 giorni a bordo di un caicco, navigando tra le acque del mare Egeo in compagnia di 14 persone di paesi e nazionalità’ diverse.

Il nostro caicco

Per chi non lo sapesse (ed io ero fra questi fino a qualche settimana fa’), il caicco e’ un’ imbarcazione in legno molto grande, che può contenere fino a 7 cabine e 14 persone, come nel nostro caso. Le barche possono variare notevolmente, partendo da un livello base fino all’extra lusso. Il nostro gruppo non si può di certo lamentare, facendo il nostro caicco parte della categoria più vicina al lusso, quindi con cabine spaziose ed aria condizionata inclusa. Inoltre il personale di bordo provvede ogni giorno alla preparazione dei 3 pasti: colazione, pranzo e cena.

Caicco Cena

La partenza e’ prevista per il sabato, giorno in cui tutti i caicchi delle diverse compagnie fanno ritorno a Bodrum, per il “cambio clienti”: quelli al termine della vacanza lasciano il posto (e le cabine) a quelli che invece la stanno per iniziare, come nel nostro caso.

Per ridurre i costi del bar a bordo, ci viene data la possibilità di acquistare ciò che vogliamo, in termini di bevande alcoliche, presso il supermercato locale. Con un tassista ci rechiamo al più vicino Carefour (ebbene si, ci sono anche in Turchia) e sotto gli occhi increduli dei dipendenti e della clientela, riempiano 6 carrelli con bottiglie di Gin, Vodka, vino, birra, ecc. Potrebbe sembrare troppo ma non lo e’: siamo in 14 a bordo (escluso il personale), nessun astemio.

Saremo al completo solo alle 2 di notte quando gli ultimi 2 passeggeri fanno il loro arrivo dalla Gran Bretagna. Nemmeno a dirlo iniziano anche i festeggiamenti, un party che durerà fino alle 6 di mattina.

I 7 giorni che seguono (e le rispettive notti) sono un mix di relax, sport, tintarella, ottimo cibo e party, quasi sempre a bordo del caicco.

Tuffi dal caicco

Di giorno il cielo e’ sempre azzurro, senza nuvole e con un sole che spacca le pietre; di notte la luna piena illumina il mare creandone un riflesso quasi artificiale e le stelle ne riempiono il cielo, un firmamento che lascia a bocca aperta.

Le giornate sono scandagliate dai tre pasti: colazione alle 8, pranzo alle 13 e cena alle 20. Durante il giorno ci si sposta con il caicco da una baia alla successiva, sempre attraversando acque cristalline, di un blu a volte fin troppo blu.

L’attivita’ preferita’ dalla maggior parte di noi e’ sicuramente il dolce far niente: non mancano a bordo in posti in cui perdersi anche solo per prendere il sole, leggere o dormire. Quando poi le energie tornano, si può sempre fare un tuffo in mare: nuoto, snorkeling, windsurfing le attività preferite.

Grigliata di pesce

La sera ha sempre un’atmosfera speciale: il fatto di trovarsi in mezzo al mare, aiuta a creare un’atmosfera unica, rilassata, quasi spirituale. Dopo cena iniziano “le danze” con musiche di vario genere inclusa quella turca, proposta dal nostro capitano: la poppa dell’imbarcazione, dove consumiamo solitamente i nostri pasti, si trasforma in una grande pista da ballo, dove tutti, o quasi, ballano e si divertono fino alle prime luci dell’alba.

Non manca proprio nulla, figuriamoci il classico bagno di mezzanotte: ci vuole davvero poco a convincere anche i piu’ esitanti a tuffarsi in mare, sotto una luna piena che illumina a giorno.

Passare cosi’ tanti giorni in mare aperto aiuta a riscoprire quella tranquillità e semplicità che solo una vita lontana dalla televisone, dalle luci e rumori della societa’ moderna sa’ dare; ci si sente in pace con se stessi, con l’ambiente circostante ed in armonia con i compagni di viaggio.

Jim windsurfing

Facciamo ritorno a Bodrum in grande stile, con le vele spiegate, muovendoci solo con la forza del vento, così forte che perfino il capitano ne e’ stupito: velocità di crociera che sfiora i 8.4 knot, un record per questa imbarcazione (con motore spento). Ottimo regalo di fine vacanza, non credete? La ciliegia sulla torta la mette Jim, compagno di viaggio ed amico, nonché campione di windsurf: nel bel mezzo del mare Egeo, nel punto di velocità massima raggiunto dalla nostra imbarcazione, decide, con il consenso del capitano, di tuffarsi in mare o meglio, con l’aiuto del personale di bordo viene gettato in acqua assieme alla sua tavola da windsurf. Seguira’ poi la nostra imbarcazione per circa un’ora ininterrotta. Emozionante da vedere, incredibile da provare: Jim, una volta risalito a bordo, confesserà di non aver mai provato nulla di talmente esilarante ed allo stesso tempo emozionante.

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Albania: tra le 10 destinazioni da non perdere per il 2011

L’ Albania risulta nelle 10 destinzioni da non perdere secondo la Lonely Planet per il 2011; siamo lieti di pubblicare questo diario di viaggio ambientato proprio in Albania..

L’ Albania può raccontare una lunga storia di continue invasioni, nel paese si sono avvicendati molti occupanti stranieri: dai greci ai romani, dai goti ai bizantini, ai bulgari, ai serbi, ai normanni, ai veneziani, agli svevi, agli angioini e infine ai turchi, è tutta una successione di genti, diversissime per origine etnica e per civiltà.

Giorgio Castriota, detto Skanberg, principe di Kruja, capeggiò una lega di nobili albanesi in una eroica e accanita lotta contro i turchi ma non riuscì a risvegliare un nazionalismo compatto. Dopo la breve dominazione italiana all’ inizio della II Guerra Mondiale, gli albanesi combatterono la loro resistenza che portò il paese, nel dopo guerra, ad abbracciare il marxismo e a cadere sotto l’ assoluto controllo di Mosca.

Nel 1961 si verificò una brusca rottura con Mosca e l’avvicinamento alla Cina di Mao che portò squadre di tecnici cinesi nel Paese. Il dittatore Hoxha chiuse per decenni il paese in assoluto isolamento. Fino al 1990, cinque anni dopo la morte di Hoxha, l’ Albania fu uno stato comunista estremamente isolazionista, con pochi contatti anche con gli altri stati comunisti. Una democrazia multi-partitica sta emergendo, ma la nazione soffre di problemi economici, e per il grande numero di rifugiati albanesi provenienti dal Kosovo. Questa in breve la storia di questo paese dimenticato dall’ Europa che conserva straordinarie tracce del suo passato con ben tre siti riconosciuti dall’ Unesco Patrimonio dell’ Umanità: Butrinti che racchiude e testimonia secoli di storia; Gjirokastra, la “città dei mille gradini” o “la città delle pietre”, Berat, conosciuta come la città delle mille finestre e dichiarata “città Museo”. Partiamo dunque per riscoprire questo paese geograficamente vicinissimo ma realmente molto lontano.

ITINERARIO DI VIAGGIO: DA TIRANA AD APOLLONIA

Partiamo dall’ Italia e in volo arriviamo a Tirana, prendiamo possesso delle nostre auto e ci dirigiamo subito vcerso il mare a Durazzo colonia greca del VII sec. a.C. , in epoca romana divenne il porto più importante dell’ Adriatico orientale, con il nome di Dyrrachium. Partiamo per la laguna di Karavasta che ospita una ricca avifauna. Proseguiamo per Fier poi Ardenices l’ antica Ardinica famosa per il monastero bizantino e a ovest fino ad Apollonia, paradiso degli amanti di archeologia. Situata su una collinetta distante pochi chilometri dal mare, sembra un’ Atene in miniatura. Intorno al Portico grande, che ricorda la facciata del Partenone, sorgono il Buleuterion o Assemblea del Consiglio, i templi di Artemide e di Diana, l’ Acropoli e il ginnasio.

DA VALONA A BERAT

Torniamo al mare a Valona dove in barca potremo effettuare un’ escursione all’ isola di Sazan partendo dal porticciolo di Uje Ftdit. La strada panoramica sale fino al colle di Logarese oltre i 1000 metri E continua il suo zig zag tra mari e monti e giunge a Himare. Un piccolo villaggio dell’ interno, arrampicato su una collina, che ospita ancora le rovine dell’antica fortezza di Chimera da cui prende il nome. La costa è frastagliata, scogliosa, con promontori che nascondono fino all’ultimo momento spettacolari spiagge lunghe chilometri, deserte, inimmaginabile è la limpidezza dell’ acqua e un mare pulito e pescoso.
Sostiamo qualche giorno a Dhermi per un totale relax balneare. Proseguiamo per Butrinto, un’ antica città edificata nella zona più alta della penisola di Xamil. Per il clima collinare in prossimità del mare, di un fiume e di un lago, fu scelta come residenza estiva da nobili e artisti romani. Lasciamo il mare e puntiamo su Gjirokastra (Argirocastro) dominata dalla trecentesca kala (cittadella) è uno dei centri più importanti dell’ Albania, sorge sul fiume Drin. Della dominazione ottomana rimangono la moschea del Bazar e gli haman (bagni turchi). Proseguiamo verso nord per Berat vera città d’arte che colpisce soprattutto da un punto di vista estetico con moschee e chiese bizantine che hanno reso famosa come “città museo all’ aperto”.

DA BERAT A TIRANA
Da Berat raggiungiamo Elbasan e Ohrid con il suo lago che fa da confine con la Macedonia. Visiteremo eventualmente anche il versante macedone in particolare l’ area naturale e storico naturale di Orhid anch’ essa dichiarata Patrimonio dell’ Umanità. Avremo così la possibilità di confrontare due realtà diverse e contrastanti. Non ci resta che raggiungere la capitale Tirana, fondata dai turchi, visiteremo l’ incredibile mausoleo piramidale di Hoxha, perenne offesa alle miserie del paese, la piazza Scanderberg cuore della città, il Museo di Storia Nazionale, poi lasciamo le nostre auto all’ aeroporto e in volo rientriamo in Italia.

Stanco dei soliti hotels, ostelli, B&B?

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Sulla piattaforma sono presenti sia persone che vogliono trovare alloggi per le vacanze, sia persone che propongono i loro appartamenti privati, o anche solo una stanza del loro appartamento. Ognuno può scegliere uno degli appartamenti offerti, leggendo la descrizione dell’alloggio e guardando le foto. Il gestore dell’appartamento può essere contattato direttamente, così come la prenotazione viene effettuata in modo veloce e sicuro attraverso la piattaforma. Inoltre, sia gestori che ospiti possono dare una valutazione alla persona che hanno ospitato  o che ha ospitato e lasciare un commento. In questo modo non solo l’ospite può scegliere l’appartamento migliore, ma anche il gestore è sicuro di ospitare una persona affidabile.

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Se si cerca una soluzione nuova per una vacanza, per un weekend lontani dalla solita routine, per un viaggio di lavoro o per un viaggio di studio, 9flats offre un’ampia scelta di alloggi, sparsi in tutta Italia e nel mondo, tutti a portata di click. La piattaforma è ottima anche per chi vuole offrire il proprio alloggio: se si ha a disposizione un appartamento o una stanza da poter affittare ai viaggiatori, inserire il proprio appartamento sulla piattaforma è facilissimo e per ogni alloggio si possono inserire descrizione, „regole della casa“ e foto. Per ogni appartamento c’è un calendario che mostra quando è libero e quando è prenotato: in questo modo viaggiatori e proprietari possono gestire al meglio le prenotazioni, rendendo il processo ancora più veloce. 

Anche i viaggiatori possono offrire i loro appartamenti in affitto mentre sono in vacanza, lasciando il loro appartamento a altri viaggiatori e guadagnare così un piccolo extra, che non nuoce mai.

Da sempre amanti del viaggio indipendente, non possiamo che approvare questo modo di viaggiare ed alloggiare presso persone del luogo; si avra’ in questo modo la possibilita’ di scoprire attravero i vostri “padroni di casa” segreti del posto non menzionati in guide turistiche o tour operators, apprezzando e valorizzando ancor di piu’ il vostro soggiorno.

30.000 Km dal Vietnam all’Italia in bicicletta per i diversabili

Non e’ certo da tutti percorrere 30.000 km in solitaria, dal Vietnam all’Italia, in bicicletta per un progetto di beneficenza: Matteo lo sta facendo e noi di nonsoloturisti.it siamo fieri di pubblicarne il racconto:

La Travel for Aid onlus ha presentato la relazione dei 600 giorni di viaggio del progetto sportivo-umanitario “Dal Vietnam all’Italia in bicicletta per i diversabili”, che sta portando Matteo Tricarico ad attraversare l’Asia in bicicletta in solitaria. Dalla partenza da Ho Chi Minh City in Vietnam il nove novembre 2009, sono stati percorsi pedalando 20.000 chilometri. L’itinerario si è snodato attraverso la capitale cambogiana e thailandese (novembre 2009), per poi proseguire in Laos e Myanmar (febbraio 2010) prima di continuare per tre mesi nel subcontinente indiano da Calcutta all’estrema punta sud e ritorno seguendo la costa est ed il centro del paese. Maggio e giugno 2010 sono stati trascorsi in Bangladesh, a cui è seguita una lunga sosta di cinque mesi in Nepal per far passare la stagione delle piogge, quell’anno particolarmente violenta nel nord dell’India ed in Pakistan.

A novembre, su invito della Harmony Home Association Taiwan, Matteo ha lasciato per un mese la sua bicicletta a Kathmandu ed ha volato a Taipei dove, con altri ciclisti, ha percorso l’isola pedalando da nord a sud in un tour umanitario organizzato da associazioni attive nel campo dell’assistenza di pazienti afflitti da HIV/AIDS.

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Ciudad Perdida, secondo giorno nella giungla

 

Secondo Giorno

Sveglia alle 7 in punto dopo una notte relativamente tranquilla; temperatura ottimale con il sole che solo da poco si e’ alzato in cielo. Nonostante fosse la prima notte in un’amaca, devo ammettere di avere riposato bene, un sonno quasi profondo; sara’ stata la fatica del giorno precedente? Chi puo’ dirlo, fatto sta’ che oggi mi sento davvero in forma.

Una tazza di ottimo caffe’ colombiano e’ gia’ pronta sul tavolo e la colazione sembra essere a buon punto; la vista sulla giungla circostante sembra ancora piu’ spettacolare del giorno prima, forse dovuta alla luce e al sole mattutino. Ad uno ad uno tutti i componenti del gruppo prendono posto a tavola, assonnati ma con l’entusiasmo che non puo’ mancare in queste occasioni. La colazione si rivelera’ la migliore di tutto il trekking: macedonia di frutta fresca con yogurt e muesli, naturalmente preparata dal nostro cuoco, con l’aiuto della guida. Ottima, proprio quello che ci voleva per iniziare la giornata nel migliore dei modi.

Subito dopo colazione e con zaino in spalla, iniziamo la salita (o il cammino) verso il secondo campo in cui passeremo la notte; a rendere l’atmosfera ancora piu’ allegra e spensierata e’ la consapevolezza che oggi le ore di cammino saranno solo tre e tutte in piano o addirittura in leggera discesa.

Sembra che le buone notizie non vogliano proprio finire ed infatti ecco il nostro primo incontro con gli abitanti del posto: ci imbattiamo, dopo circa un’ora di cammino, in una donna indigena della famiglia dei Kogui, mentre con il proprio bambino in spalla, si accinge a bere dell’acqua di un ruscello.

Emozione ed anche sorpresa nel vedere persone che vivono completamente staccate dalla vita moderna, mantenendo usanze e costumi che le societa’ occidentali ritengono primitivi. Subito dopo scopriamo anche il villaggio in cui vive questo gruppo indigeno, costituito da capanne costruite con paglia e fango. Non si vede anima viva a parte un paio di bambini che giocano nella parte piu’ lontana del villaggio, completamente disinteressati alla nostra presenza.

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Proseguiamo ed essendo il sentiero molto meno impegnativo del giorno precedente si riprende a parlare e fare conoscenza, in un clima disteso e rilassato. Non si suda piu’ di tanto e le scorte d’acqua rimangono abbondanti. Arriviamo al campo 2 intorno alle 12.30, giusto in tempo per pranzo; nessuno si sarebbe aspettato una giornata cosi’ facile a tal punto che alcuni componenti del gruppo propongono di proseguire verso il campo 3. Ovviamente la guida subito sconsiglia questa opzione senza troppe obiezioni da parte nostra.

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Per la gioia di tutto il gruppo, spendiamo il pomeriggio in totale relax, nuotando e riposandoci sulle rive del fiume che scorre a due passi dal campo; la freschezza dell’acqua dopo il caldo che di ora in ora aumenta (assieme all’umidità), e’ una manna dal cielo. Sembra di trovarsi in un documentario naturalistico: il fiume che taglia la giungla con i suoi alberi e le sue colline e noi a trovare riparo dal caldo sulle sue rive. Perfino un serpente d’acqua decide di recitare la sua parte: lo vediamo sbucare dal nulla e  in pochi secondi attraversare il fiume rimanendo in superficie.

Ritornando al campo, dopo la ricreazione pomeridiana, ci accorgiamo che non saremo soli per la notte: un gruppo di 12 persone, di ritorno dalla Ciudad Perdida, ci fara’ compagnia. La tranquillità e pace della sera precedente saranno un ricordo lontano..

Per la cena sono necessari i turni: prima i piu’ stanchi (cioe’ il gruppo di ritorno dalla Ciudad Perdida), successivamente noi.

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Fortunatamente, dopo cena, le nostre guide si improvvisano artisti, suonando il bongo e cantando canzoni colombiane: in questo modo si contribuisce a ricreare quell’atmosfera rilassata e divertente della sera precedente. A nostra sorpresa anche 2-3 donne appartenenti alla tribu’ indigena dei Kogui, ed alcuni bambini, passano la serata in nostra compagnia, piu’ in disparte ma sempre seguendo la perfomance delle nostre guide.

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