Francesco Perini è un ragazzo marchigiano iscritto, un appassionato viaggiatore e uno studente di scienze del turismo. Oltre ad ammirare le straordinarie opportunità offerte dalle esperienze di viaggio, Francesco ha preso particolarmente a cuore le questioni legate alla sostenibilità e al viaggiare responsabilmente. Per portare queste tematiche all’attenzione di un pubblico più numeroso e coinvolgere enti e aziende con sensibilità attinenti, ha organizzato un viaggio via terra da Mosca a Kathmandu, attraverso Siberia, Mongolia, Cina, Tibet e Nepal. Il progetto, denominato “Storie Invisibili”, lo porterà a contatto con le popolazioni locali, le aziende interessate alla sostenibilità e con alcune organizzazioni non governative impegnate nei territori da lui attraversati.
Cosa significa per te viaggiare?
Ho viaggiato fin da quando ero piccolo, con i miei. Senza dubbio il viaggio che mi ha segnato di più e che ha fatto nascere veramente in me l’aspirazione di cui parliamo è stata la prima volta in Islanda. È un paese che mi ha sempre entusiasmato, fin da quando, a 9 anni, ho visto per la prima volta alcune foto di quei luoghi. In questi viaggi e negli altri che ho fatto, ho sempre cercato di viaggiare come se non fossi un turista, di muovermi tra le persone dei luoghi visitati come se fossi uno di loro. Forse non sempre sono riuscito in questo intento, ma sicuramente tutte le varie esperienze così intese, di volta in volta, hanno contribuito a formarmi come viaggiatore e come persona, e mi hanno fatto capire quanto importante sia per me il vedere cosa c’è fuori, il conoscere il diverso, il confrontarsi con l’altrove. Chi viaggia fa quello che fa con lo scopo di sentire l’estraneità dei luoghi dove si trova per percepire più vicina la propria terra che, altrimenti, ha paura di perdere e dimenticare. Oppure chi viaggia è un semplice nomade inquieto continuamente in fuga verso terre ignote. Io sono un po’ entrambi. Ma il vero viaggiatore è colui che, pur viaggiando, non ha bisogno di viaggiare, non è inquieto né ha paura di perdere la propria terra.
Ti senti in qualche modo legato ai posti che stai per visitare?
È un itinerario che sogno da anni, ogni luogo esercita un fascino particolare su di me. La Siberia è una zona oggetto di molti pregiudizi e un po’ fuori dagli itinerari classici, ma è intrigante ed è attraversata dalla Transiberiana, una leggenda di ferro che si snoda per migliaia di chilometri in una delle zone più sconosciute e misteriose del pianeta. La Cina è il passato e il presente proiettati nel futuro, nel bene e nel male. Mongolia, Tibet e Nepal sono i luoghi che più hanno acceso la mia voglia di partire, sono le classiche destinazione dove fare un viaggio esperienziale, meno collegato ai luoghi ed ai monumenti da vedere ed alle foto da fare ma più alimentato dalle culture, dagli incontri e dalle esperienze in generale. Come ho appena detto, ogni luogo che ho scelto ha per me un’attrattiva incredibile, ma quello che è più affascinante è l’insieme del viaggio, l’affrontare ambienti così diversi ed a volte estremi, l’attraversare un continente intero per migliaia di chilometri, l’incontrare tante persone e culture.
Quali sono i mezzi di trasporto che intendi usare lungo il tragitto?
Sono da sempre sensibile al tema della tutela ambientale e perciò ho deciso di limitare gli spostamenti aerei, che riguarderanno l’arrivo a Mosca e il ritorno da Kathmandu. Tutto il resto del percorso sarà affrontato con mezzi enormemente meno inquinanti dell’aereo, come treni, autobus e altri trasporti pubblici e condivisi. In alcuni luoghi e per alcuni periodi mi sposterò camminando o utilizzando mezzi di trasporto non motorizzati, come cavallo, cammello, bicicletta e il carretto trainato da yak. Peraltro mi sono promesso di effettuare una donazione, corrispondente all’impronta di CO2 relativa alla mia presenza sui vari mezzi di trasporto, ad una delle organizzazioni che gestiscono progetti ambientali di compensazione dell’emissione di CO2.
Il tuo progetto “Storie Invisibili” si confronta con il turismo di massa e propone sostenibilità e responsabilità. Che cosa significa viaggiare in modo responsabile?
Sostenibilità e responsabilità, in questo contesto, possono essere considerati sinonimi. La sostenibilità è un concetto che negli ultimi anni è diventato di fondamentale importanza nei più svariati campi dell’operare umano, e sempre più spesso qualcosa di rilevante con cui aziende, enti, istituzioni e singoli sono costretti a confrontarsi. Purtroppo nella maggior parte dei casi ai buoni propositi e alle tante parole, per vari motivi, non fanno seguito fatti e concretezza. In particolare sostenibilità può essere intesa come stile di vita e, nella vita, una parte più o meno rilevante è quella legata al viaggiare. E non bisogna tralasciare il fatto che il turismo sia la più grande azienda globale per poter comprendere quanto possa essere rilevante e influente un certo tipo di atteggiamento piuttosto che un altro. Viaggiare in modo responsabile, o sostenibile, significa tenere a mente i tre aspetti che compongono questo concetto: ambientale, sociale ed economico.
Dal punto di vista ambientale significa ridurre al minimo la propria impronta sui territori di passaggio e di destinazione, in particolare in termini di emissioni di CO2. Dal punto di vista sociale significa contribuire a creare benessere e a mantenere le identità culturali. Dal punto di vista economico significa sostenere lo sviluppo, attraverso generazione di reddito e di occupazione, delle comunità locali. Tutto ciò si traduce per ogni singolo viaggiatore nel limitare o azzerare l’uso di mezzi di trasporto e la partecipazione ad attività che siano particolarmente inquinanti, nell’adattarsi ai luoghi in cui si va, nel rispettare le culture che si incontrano e nell’assicurarsi che tutto quanto si spende vada a beneficiare le popolazioni locali e non, magari, enti o altri soggetti internazionali o esteri.
C’è un riscontro con quello che vedi accadere nella tua terra natale?
Ho iniziato a studiare nel campo del turismo da circa un anno. Già da prima ero convinto che un approccio responsabile e sostenibile nel viaggiare fosse qualcosa di vitale importanza, e ora lo sono ancora di più. La mia terra, le Marche, e l’Italia sono quei luoghi in cui vorrei vedere per primi un’attenzione e una sensibilità al riguardo. Una delle risorse più preziose che abbiamo è quella della cultura, dell’arte, della storia, degli splendidi ambienti naturali. E per una corretta valorizzazione dei nostri patrimoni l’unica via è quella della sostenibilità perché solo in questo modo si guarda realmente al futuro, alla vitalità, allo sviluppo, alla crescita economica ed anche culturale.
Oltre alla scelta dei mezzi di trasporto, in che altro modo il tuo viaggio si propone di essere sostenibile?
Cercherò di fare in modo che tutto ciò che spenderò durante il viaggio vada a beneficio delle comunità locali e di integrarmi il più possibile con gli stili di vita delle popolazioni che incontrerò. Inoltre incontrerò delle organizzazioni locali che operano con obiettivi che condivido legati alla sostenibilità. Questi incontri mi permetteranno soprattutto di partecipare ad attività che mi faranno avvicinare ancora di più alle culture locali. Tra queste organizzazioni vorrei citare Great Baikal Trail per la Siberia, Ger to Ger per la Mongolia e Songtsan Travel per il Tibet. Un altro aspetto, legato in maniera più o meno forte alla sostenibilità, è quello del volontariato. Non necessariamente un viaggio sostenibile deve prevedere opere di volontariato né un viaggio di volontariato è necessariamente sostenibile, ma ho scelto di dare un contributo ulteriore ad uno dei luoghi che visiterò, partecipando ad un programma di insegnamento di inglese presso la scuola di un piccolo villaggio molto povero nella zona dell’Everest, versante nepalese, organizzato da un’organizzazione locale, la RCDP Nepal, che condivide gli stessi principi di sostenibilità che mi stanno a cuore.
Ci sono delle esperienze di viaggio nel tuo passato che non rifaresti, perché contrarie ai tuoi concetti di sostenibilità?
In effetti, e purtroppo, c’è un’esperienza che non rifarei. Risale al viaggio in Marocco. Mi sono recato all’Erg Chegaga, un tratto di dune tra i più spettacolari del deserto del Sahara. Questa località dista 56 chilometri dall’ultima città dove finisce la strada e può essere raggiunta in cinque o sei giorni a dorso di cammello o in circa tre ore a bordo di un fuoristrada. Per ragioni di tempo ho scelto la via più veloce, ma i viaggi in fuoristrada sono drammatici dal punto di vista ambientale. In particolare la sabbia che viene sollevata crea una sorta di scudo che impedisce al sole di raggiungere la terra e ostacola la formazione delle nuvole provocando siccità. Inoltre questa sabbia viene spinta dai forti venti anche a migliaia di chilometri di distanza, provocando tempeste di sabbia e gravissime conseguenze per ecosistemi anche lontanissimi, come quelli delle barriere coralline, quelli oceanici – la sabbia che si posa sull’acqua soffoca il plancton, principale nutrimento per molti cetacei – e quelli artici – la sabbia arriva fino in Groenlandia, depositandosi sugli iceberg ed accelerandone lo scioglimento. Da non ripetere.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.