Giorno 4 da Tineo a Borres – 15,2 km
Come al solito sono l’ultimo a partire per questa tappa del camino primitivo (prima tappa la trovate qui), Noel chissà dov’è già arrivato, io voglio godermi il tempo, l’aria, la strada.
Anche Carolina y José se la prendono calma, sono una coppia di freschi sposini che stanno facendo il camino come viaggio di nozze, ci troviamo sul sentiero ma io sono un po’ orso e mi fermo a fare foto – ci vediamo a Borres, buen camino! Il sentiero si inerpica deciso sul fianco della montagna e, è vero l’ho già detto ieri ma non posso proprio farne a meno, il panorama è splendido, la luce limpida del mattino sfiora le cime degli alberi e si ferma sull’erba dei prati, ci sono pure le mucche, si dice “panorama bucolico”?
Scendendo nella faggeta dopo l’Alto de la Guardia sono superato da due ventenni o giù di lì, lui magro pantaloni corti bandana e occhiali da runner – hola – lei più formosa pantaloncini blu e capelli a crocchia – hola – corrono troppo. Deviazione per il monastero di Obona, nei secoli passati tappa obbligata del camino, oggi in attesa di restauri, se passi di qui di notte potresti sentire le voci delle streghe che si dice si nascondano tra i ruderi, adesso però c’è sole pieno.
Alle 12:10 “les vieux” se ne stanno seduti a mangiare attorno a un tavolo da picnic davanti al cimitero di un paesino, così li ha chiamati Arnaud ieri sera in camerata, non che lui sia tanto più giovane, ma uno vecchio c’è davvero, 81 anni ottimamente portati, e difatti sta facendo il Camino primitivo – bon appétit!
L’albergue di Borres è davvero internazionale: il custode è un napoletano finito lì per un giro strano di matrimoni con una spagnola delle Canarie, poi ci sono i quattro vieux, francesi di non so quale congregazione o confraternita religiosa, poi Carolina y Josè in viaggio di nozze, poi due tedesche, mamma e figlia ventenne con rapporti, mi pare di capire, piuttosto conflittuali, due spagnoli smilzi e di poche parole, un tedesco cinquantenne che zoppica di brutto ma che insiste nel dire che continuerà il camino, e poi loro due, la bella e lo smilzo, russi di non so bene dove, quando sentono che sono di Milano sorridono sorpresi – un mese fa eravamo a Milano per una manifestazione organizzata dai compagni leninisti (o qualcosa del genere) – e mi mostrano il cellulare, loro due in Piazza Duomo con una bandiera rossa falce e martello.
Giorno 5 – da Borres a Bertucedo – 24,6 km
Oggi è dura, c’è la Ruta de los Hospitales con la cima Coppi del Camino primitivo, solo 1200 metri di altezza ma descritta sulla guida come una tappa da tregenda, anche il cielo deve aver letto la guida e si prepara, grigio, ventoso, aria d’acqua.
Lo sterrato è ampio e la salita costante tra pascoli per capre, pini scuri ed erica rosa, ma dopo cinque chilometri la poesia comincia a svanire e, altro che panorama, i sassi del sentiero bisogna guardare e chiudere il bavero perché il vento comincia a sibilare tra i pini. Mille metri, Hospital de Paradiella, quattro sassi diroccati ricoperti da un pino rachitico, sosta.
Non posso certo continuare a parlare del panorama, dei prati in basso ormai lontani o delle faggete che ho lasciato alle spalle e nemmeno della prospettiva aerea che sfuma all’orizzonte, dodici piani diversi ho contato, ma del vento gelido e delle prime gocce d’acqua posso parlare e del fatto che mancano ancora 200 metri di salita per arrivare all’Alto del Hospital, e dei due vigili urbani di Cordova che mangiavano spaghetti e bevevano integratori ieri sera all’albergue e mi superano di corsa neanche fosse una gara di skyrunning, anche di loro posso parlare.
Al famoso, secondo la guida, Puerto del Palo piove a raffiche e fa freddo, mantella da gnomo, quella che ti fa la gobba sullo zaino, discesa senza panorama e sosta alla chiesetta di Santa Maria de Lago, di fianco il famoso tasso millenario (la pianta, non l’animale) monumento nazionale spagnolo. Arrivano Carolina y José – ma non eravate avanti? – sì ma ci siamo persi su tra gli hospitales. All’arrivo a Berducedo la pioggia si è trasformata in spray nebbioso.
Giorno 6 – da Bertucedo a Grandas de Salime – 20,2 km
Giornata da branda, freddo, nebbiolina e pioggerella.
Un tedesco grande e grosso sulla trentina, Stefan, cerca di spiegarmi come si usa il GPS, lui va con quello in mano come se fosse la bacchetta di un rabdomante, a tempo perso fa il camionista – come a tempo perso? – quando mi voglio riposare guido i camion di una delle aziende di famiglia, sono nato fortunato – sembra serio mentre lo dice.
La strada per salire alla chiesetta di Santa Maria Magdalena passa in una conca spettacolare, le prime foglie verde tenero degli alberi fanno risaltare i rami barbuti di licheni bianchi, i prati abbandonati sono invasi da grandi macchie di erica rosa e viola, chissà se i cavalli al pascolo apprezzano tutta questa bellezza. Inizia la discesa, sì il sentiero fiancheggiato da grandi lastre di ardesia fa molto rustico, ma dobbiamo proprio fare 800 metri di picchiata e poi 400 di risalita? Buen camino! – mi augura un pastore mentre ci incrociamo e anche lui sembra serio mentre lo dice.
In discesa erica rosa e erica viola, poi erica bianca e pini verde cupo, ginestre gialle, castagni incrostati di licheni e l’embalse di Salime giù in basso che immobile aspetta. La diga forma un lago cupo, sarà la giornata, sarà il pensiero delle case di Salime, il paese che non esiste più sommerso dalle acque, sarà che devo ancora fare una salita mica male, ma il posto non mi piace. Unica consolazione “les vieux”, sono partiti molto prima di me ma li ho raggiunti e superati mostrando una baldanza che non ho – au revoir!
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.