Giorno 1 – da Oviedo a Venta del Escamplero – 11,1 km
Camino Primitivo – E’ la prima settimana di maggio ma due giorni fa è nevicato alla Venta del Escamplero e, mentre aspetto che aprano l’albergue, sono qui sotto il portico di una chiesetta a mangiare un panino freddo e a cercare di scaldarmi le mani.
Ieri sera sono arrivato con un volo a Santander, questa mattina sul presto in autobus a Oviedo e subito, sotto la pioggia, alla cattedrale per farmi mettere il primo timbro sulla credencial, il mio passaporto del pellegrino. A venti metri dalla cattedrale, tra le lastre rosse del selciato c’è la targa di bronzo che segna il punto di partenza del Camino primitivo, quello originale fatto dal re Alfonso II nell’anno 829 quando è stata scoperta la tomba di San Giacomo nel luogo che è oggi Santiago. Dicono che il primitivo è duro e quindi poco frequentato, è quello che cerco, un po’ di solitudine.
Hai voglia a seguire le conchiglie di bronzo sul marciapiede, mi sono già perso un paio di volte e siamo ancora in Oviedo, figurati poi, però che soddisfazione trovare il primo pilastrino, un mojòn, con la concha, la conchiglia di San Giacomo, e meno male che hanno dipinto a mano una freccia perché la spiegazione della guida mi è oscura: “In Galizia la direzione è data dal dorso della conchiglia mentre nelle Asturie la direzione è data dalla chioma” sì ma da che parte devo andare, destra o sinistra? A sinistra dice la freccia.
Finalmente fuori da Oviedo, stradina di campagna a saliscendi, ha smesso di piovere, filo spinato e cavalli al pascolo, erba verdissima, asfodeli in fiore, di fronte il panorama si inerpica su aspre colline e poi su montagne innevate. Su un cancello una targa, 296 km a Santiago, più i dieci che ho già fatto in totale 306 km, più o meno.
Giorno 2 – da Venta del Escamplero a Cornellana – 23,5 km
Piove e c’è nebbia ma non fa freddo come ieri.
Il cammino comincia a piacermi, sentiero nel bosco, erba bagnata, un primo horreo, il tipico granaio sospeso su pilastrini, e poi una stradina acciottolata, una calzada romana dice la guida, ogni volta che trovo un segno di Roma mi inorgoglisco anche se sono da solo e sono milanese. Una diga lungo il rio Nalon, di fianco una serie di cascatelle artificiali – è per la risalita dei salmoni – mi dice una guardia che la sta perlustrando, salmoni? Avrò capito male, mica siamo in Norvegia. La pioggia è cessata, il cielo è diventato azzurro e c’è pure il sole, in lontananza il paese di Grado, prima sosta su una panchina defilata, via scarpe e calze per far asciugare i piedi, passano un paio di cani e relative signore al guinzaglio, mi sorridono, devono essere abituate ai piedi dei pellegrini.
Adesso fa quasi caldo o forse è la fatica della prima vera salita verso il santuario della Virgen del Fresno, come sempre tutto chiuso ma il panorama merita una sosta, anche le gambe la meritano. E poi è tutto un sentiero in discesa tra meli in fiore e prati verdi, mi perdo a fotografare ranuncoli gialli e decine di orchidee viola, lo zaino sotto un melo, speriamo di ritrovarlo.
La strada è più lunga rispetto a ieri ma finalmente alle ore 17 Cornellana, dopo il ponte sul rio Narcea l’albergue, anzi molto di più di un albergue, è il monastero di San Salvador costruito sui resti di una villa romana – ancora loro! – si dorme nelle stanze attorno al chiostro.
A sera c’è movimento, auto, gente che arriva a piedi, li seguo e salgo in una sala ormai affollata, sguardi attenti, visi duri, c’è chi bisbiglia e chi discute un po’ stizzito. Cosa c’è? La premiazione per El Campanu de Asturias, il primo salmone della stagione – allora è vero? Ci sono i salmoni! Sette chili e sei, venduto all’asta per 4.000 euro, adesso capisco gli sguardi attenti, i visi duri, i bisbigli e le discussioni (più che) stizzite, sono tutti pescatori invidiosi.
Giorno 3 – da Cornellana a Tineo – 29,3 km
Oggi è dura, 30 km e 700 metri di salita.
I due francesi compagni di camerata sono partiti prestissimo, sulla sessantina tutti e due, Arnaud tranquillo, è la terza volta che fa il camino, la prima però il primitivo, Noel sempre in gara con tutti, cartina aperta appoggiata su una specie di giberna militare che tiene in vita sul davanti, a parte questo è un simpatico chiacchierone. Qualche chilometro, mi fermo a fotografare le verze della famosa zuppa del pellegrino, ed eccoli i due hippy/pellegrini, anche loro in camerata a Cornellana, lei cuciva le calze lui puliva gli scarponi, sono in giro da due mesi e intendono proseguire non so bene per quanto e nemmeno per dove.
Dieci chilometri, Salas, mura e torre medioevale, qui incomincia la vera salita lungo l’antica calzada romana, bosco luminoso, silenzio portato dalle folate di vento, fatica. In cima, a Bodenaya, c’è un albergue nuovo, ne parlano benissimo, ma la targa sulla parete dice 256 km a Santiago, zitto e cammina.
Chilometro 20, sulla capilla del Cristo de los Afligidos una meridiana con un motto “Afflictis lentae, celeres gaudentibus horae”, mi riconosco nella prima categoria anche se il panorama è gioioso, dolci colline di un verde tenero, montagne innevate sullo sfondo. Non mi ero accorto, ho dei compagni di viaggio che mi stanno raggiungendo, due coppie, zaini leggeri – da dove venite? – da Salamanca, facciamo il camino a tappe, quando abbiamo un weekend libero veniamo e ne facciamo un pezzo – ma vale? – certo che sì – buén camino!
Un cagnolino nero legato a una lunga catena è seduto in mezzo alla strada, più che paura fa tenerezza anche se me ne resta poca perché gli ultimi chilometri è tutto un guazzare di piedi nel fango e l’albergue di Tineo non arriva più. Mi rincuora il pensiero che questa sera cena in un ristorante serio con Arnaud e Noel.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.