In molti Paesi del Nord e Sud America febbraio è il Black History Month, il mese che celebra la storia afroamericana e ricorda gli orrori dello schiavismo. Accade anche in Giamaica, dove non tutti però appoggiano l’iniziativa perché non ritengono opportuno ridurre a un mese specifico del calendario l’importanza della cultura africana nella storia americana.
Chi invece è a favore della celebrazione la vede come un momento di unione e solidarietà contro le drammatiche conseguenze di una cultura razzista e xenofoba che ancora oggi causano discriminazione e iniquità. Come racconta Maria Carla Gullotta dalle pagine dell’Huffington Post, essere neri in Giamaica continua a essere vissuto come una dannazione da cui cercare rimedio, una malattia da curare. Alcuni si rivolgono addirittura al bleach – letteralmente “candeggina” – per schiarire il colore della pelle con il rischio di farsi venire il cancro. Si tratta di un esempio di schiavitù mentale, una forma di assoggettamento psicologico a cui sono soggetti i popoli che per troppi anni sono stati educati dai colonizzatori ad agire e pensare come esseri inferiori.
Febbraio è anche il mese in cui, nel 1808, in Giamaica arrivò l’ultimo mercantile carico di schiavi. Portava 235 prigionieri provenienti dall’Africa centro-occidentale, sebbene fossero in 261 quelli catturati nei pressi del fiume Congo. La mortalità durante questi viaggi, infatti, era quasi del dieci percento a causa delle condizioni disumane a cui erano costretti gli schiavi, e in quell’occasione ne morirono 26 prima di raggiungere il porto di Kingston.
Una ragione in più per celebrare la memoria di quanti hanno perso la vita e di quanti invece la libertà e ogni vestigio di umanità. Per questa ragione a febbraio si tiene anche il Fi Wi Sinting Festival, la cui XXIII edizione si è tenuta proprio il 17 febbraio scorso a Sommerset Falls, nel parish di Portland. La festa è un momento per giamaicani e visitatori stranieri di riunirsi e celebrare le tradizioni, la cultura e i costumi di questo popolo, con particolare attenzione alle radici africane che si sono mescolate a quelle caraibiche nel corso del periodo schiavista. Vengono serviti piatti che attingono alla tradizione dell’Africa centrale, si svolgono esibizioni di danze e musiche tradizionali, ci sono attività e incontri educativi. Il tutto suggellato da un forte senso di unione e solidarietà.
Laureato in Giornalismo, il mio limbo professionale mi ha portato dagli uffici stampa alla carta stampata, per poi approdare al variopinto mondo della comunicazione digitale. Ho vissuto a Verona, Zurigo, Londra, Città del Capo, Mumbai e Casablanca. Odio volare, amo lo jodel e da grande voglio fare l’astronauta.