Quinto giorno nel Tamil Nadu, di sera in TV solo film di Bollywood e prediche di santoni, mi rassegno a rileggere la guida turistica: Madurai è una città molto antica conosciuta dai Romani e dai Greci già alcuni secoli prima di Cristo, a metà del XIV secolo è stata saccheggiata da un certo Jalaluddin Ahsan Khan, un generale moghul, e poi governata per una cinquantina d’anni dai suoi discendenti prima di essere riconquistata da un re hindu.
Domani visiteremo il famoso tempio – un altro? dice mia moglie che recita la sua parte ma in realtà è affascinata quanto me da questo mondo unico – ti dicevo, domani visiteremo il famoso tempio di Sri Meenakshi Sundareshwara, il tempio è antichissimo ma è stato ricostruito nel 1600 dopo la distruzione operata dai moghul – se proprio dobbiamo… – buonanotte.
Nella hall ci aspetta la nostra guida, Anand, 25-30 anni, pelle scura, baffetti neri e sorriso pronto, camicia blu e immancabili infradito ai piedi.
Dieci minuti a piedi nel tranquillo caos indiano tra donne in sari multicolori, venditori di cibi esotici, biciclette soffocate da carichi impossibili, risciò kamikaze, automobilisti padroni della strada ed eccolo il tempio. L’ingresso è sovrastato da un’altissima torre (gopura), una babele piramidale di statue di gesso dai colori fluo: divinità dalle mille braccia, asceti barbuti, bellezze discinte, guardiani accigliati, demoni terrificanti e animali sacri per un totale di oltre 1500 statue– ci dice Anand – sono di stucco e vengono ridipinte ogni dodici anni.
Uno shock? No, tutto sommato in noi suscitano curiosità e sorrisi come davanti a una gigantesca costruzione di Lego, per i fedeli che attraversano la porta sono tutto il colorato pantheon hindu. Ce ne sono dodici di gopura – continua Anand – fate voi il conto delle statue, e poi ce ne sono migliaia nel tempio. Quanto è grande il tempio? Tanto, lo vedrete.
Mentre percorriamo un largo corridoio tutto occupato da botteghe di fiori e incenso per le offerte alle divinità, souvenir e dolci per chi è rimasto a casa, Anand ci spiega, per la verità solo a me perché mia moglie è indaffarata a fotografare i soffitti completamente ricoperti da mandala multicolori, che il tempio è dedicato a Meenakshi, la dea dagli occhi di pesce (simbolo di bellezza) identificata con Parvati, consorte di Shiva, e a Shiva appunto ed è uno dei più vasti e visitati complessi religiosi dell’India, 250 x 250 metri, circa otto campi di calcio secondo i miei calcoli.
Il tempio è davvero affollato, pellegrini da tutta l’India in tuniche arancio, donne rajasthani in sari multicolori, bramini a petto nudo, sotto un grande portico si chiacchiera seduti per terra, si vendono cianfrusaglie, si dorme sul pavimento e c’è anche l’elefante del tempio che benedice con la proboscide, nessuno di noi due ne sente la necessità.
Camminiamo lungo alti corridoi ombrosi e freschi, Anand ci fa notare i pilastri, altro che stile ionico, questi sono tutti scolpiti con statue di divinità, demoni, re e regine, i capitelli sono leoni arancio su basi verdi e sostengono travi rosse, gialle e blu, i soffitti sono una sequenza di mandala multicolori intervallati da decine di figurine di Ganesha, il dio con la testa di elefante figlio di Parvati e Shiva. Ci siamo persi i sancta sanctorum (garbhagriha) di Shiva e di Parvati, magari Anand ce li ha fatti vedere, ma noi in questo labirinto affollato, sempre con la macchina fotografica all’insù, ci sentiamo completamente smarriti e non sapremmo nemmeno come uscire.
Pausa, in un angolo isolato del tempio due donne chine su un neonato posato a terra pregano una divinità nera scolpita su un pilastro cupo.
Altri portici, altra folla variopinta e finalmente di nuovo il cielo, siamo davanti al bacino del tempio, quello usato per il bagno rituale dei bramini, peccato che sia vuoto. E’ ora di tornare in albergo, dice Anand, ma torneremo stasera per vedere Shiva che viene portato come ogni sera a dormire da sua moglie Parvati, o preferite venire domani mattina alle cinque per il risveglio?
Alle nove di sera siamo qui ad aspettare, di fianco a noi tre turiste bionde e silenziose, di fronte una statua di bronzo di Shiva danzante e un cartello – E’ vietato agli stranieri oltrepassare questo limite – dentro c’è il garbhagriha di Shiva. Musica e agitazione, arrivano: in testa due portatori di torce a tre punte, simbolo e arma di Shiva, poi un panciuto bramino con una mazza d’argento, poi un altro con una specie di scacciamosche, a seguire un palanchino d’argento portato da quattro bramini, dothi bianco con bordi verdi e rossi, subito dietro quattro musicisti e una trentina di fedeli tutti con le tre righe orizzontali bianche sulla fronte simbolo dei devoti di Shiva.
La processione si muove veloce, non sapevamo dove eravamo questa mattina figuriamoci adesso nella penombra che avvolge le navate, poi tutti fermi – siamo arrivati? – forse sì ma abbiamo perso Anand. Il palanchino viene deposto su due sostegni in una posizione precisa sopra una specie di schema tracciato per terra, un bramino porta un braciere da cui escono volute d’incenso dolciastro, i musicisti si fermano su uno yantra disegnato sul pavimento, due tamburi uno diverso dall’altro, una specie di armonica a mano e uno strumento tipo oboe, la musica è aspra ma in sintonia con l’ambiente, le luci al neon sono l’unica nota stonata.
Riecco Anand. Le tre bionde si guardano perplesse, Anand ci interroga con lo sguardo – non ti preoccupare, secondo me sono tre protestanti del Nordeuropa, noi cattolici del Sud siamo molto più abituati a riti, cerimonie e processioni, ma nessuna sveglia di Shiva alle cinque.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.
Lasciano fotografare adesso?
Quando ci sono stata io facevano un controllo minuzioso prima di entrare ed era assolutamente vietato portare dentro macchine fotografiche e fare foto.
Noi ci siamo stati qualche anno fa, avevamo una guida locale che ci accompagnava e non abbiamo avuto problemi di sorta a fotografare tranne ovviamente la parte proibita ai non indù.