Silenzio e quiete quanta ne volete. Neve, ghiaccio e vento pure. Sono a bordo di un vecchio battello postale battente bandiera norvegese, che porta a zonzo i turisti eccentrici e snob come me nell’arcipelago delle Svalbard, Norvegia settentrionale. Per capirci: 80° parallelo Nord, limite della calotta polare artica, meno di 800 chilometri dal Polo geografico.
Non ci credete? Ah no? E io ho la certificazione ufficiale, brutti sospettosi che non siete altro, da cui si evince a chiare, scandinave lettere che io, proprio io, ero là! C’è pure la firma del capitano. Il resto, per favore, fatevelo tradurre voi che mi avete già fatto arrabbiare abbastanza.
Ora però provate ad immaginare gli orizzonti di picchi aguzzi innevati che, incoronati da fosche nubi, digradano bruschi verso il mare grigio, mentre l’imbarcazione procede, lenta e solenne, tra il cozzare scomposto dei blocchi di ghiaccio cullati dalle onde, nell’aere frigorifero rimbombante dei mille incazzosi richiami di diecimila cazzuti volatili. Raga’… il paradiso del naturalista, e che ve lo dico a fare?! Ma la natura grandiosa e incontaminata che ci circonda, orsi bianchi, foche e balene comprese, non ci distoglie ahimé dalle solite, squallide beghe.
Quando tornerò a casa troverò conferma al dubbio che, nonostante il prestigioso attestato del quale posso fregiarmi, alle donne in realtà del fatto che uno abbia avventurosamente raggiunto il Polo Nord mica gliene fregia – pardon voglio dire “gliene frega” – più di tanto: alcune addirittura, quando glielo racconti, ti guardano pure con una certa commiserazione. Insomma, succede come in quella vecchia canzone di Paolo Conte, dove lui dice che “le donne odiavano il jazz, non si capisce il motivo”. Proprio uguale, che neanche di questo si capisce il motivo.
Mi adeguo prendendone serenamente atto. Quanto però alle signore qui presenti nel nostro piccolo corpo di spedizione artica, per quelle sarà di certo un altro paio di maniche… dev’essere per forza così, no? Altrimenti qua che ci starebbero a fare? O no? Così ho appena rivolto la parola in italiano a quella che avevo frettolosamente inquadrato come una brunetta padana un po’ fanatica – chioma riccia ribelle, abbronzatura d’ordinanza, Monclair, occhialoni da sole firmati, felpa “I love Milan” – involontariamente lusingandola con il più bel complimento che lei potesse desiderare. Perché in realtà è una segretaria americana: ci tiene tanto ad apparire italiana, e pensa un po’ adesso è riuscita a trarre in inganno addirittura un italiano (sebbene distratto e ignorante di moda). Dunque ora mi ridacchia giuliva al fianco, chiedendomi continue conferme della sua zoppicante padronanza della lingua di Dante (e di Armani). Scioccolàte… moòlto buno… maghnifizènto… Io annuisco che sì, si dice proprio così, ma dove ha imparato così bene, e mi vendico forzandola ancora più a fondo nell’errore: con un maestro come me, non potrà che parlare sempre più pessimamente.
Tornando a noi, dovete sapere che qui lo sport locale è quello di mettersi in mutande e fare un bagno in mare resistendo in acqua quanti più secondi possibile. No, minuti proprio non si può, neanche uno solo, non con una temperatura esterna di cinque gradi centigradi, e con l’acqua a tre gradi (perchè ci sono i pezzettoni di ghiaccio dentro). Insomma, per farvela breve, è come buttarsi in un bicchiere gigante di mojito, chiaramente senza rum, zucchero di canna, lime o menta. E neppure acqua gasata, ma non fa nulla, perché ugualmente troverete il tutto parecchio frizzantino.
Quindi non è per una questione di timidezza se rinuncio a questo raffinato trastullo, è che il mio bagaglio di vestiti pesanti andato smarrito in volo mi è stato recapitato soltanto l’altro ieri e ho già vissuto questa singolare, rinfrescante esperienza di passeggiare per una giornata al Polo in maglietta, calzoncini corti e scarpe da tennis. Perciò, quando qualcuno mi chiede perché non mi tuffo, rispondo sbrigativamente che “non è una cosa per noi italiani”. Peccato però, adesso ho scoperto che daranno un ulteriore certificato, più avanzato e specifico, a tutti quelli e quelle che hanno avuto il barbaro coraggio di buttarsi nell’acquaccia gelida, e mi sarebbe davvero piaciuto potermene fregiare, sempre ammesso poi che a qualcuno o a qualcuna gliene sarebbe fregiato o fregato qualcosa.
Frattanto è proprio il mio naturale, prezioso, signorile riserbo a ritorcermisi contro: la giovane miliardaria brasiliana che gira il mondo da sola per noia, e con la quale stamani ho fatto un gran figurone prestandole il mio secondo berretto di lana quando lei aveva una terribile emicrania, ora mi affronta delusa: “Ma tu sei italiano o no? E allora perché te ne stai zitto per i fatti tuoi senza cantare, ballare e raccontare barzellette? Naaa, tu non sembri italiano… sarai mica svizzero?”
Mi giro a cercare i tre o quattro svizzeri che se ne restano zitti e tristi lì in un angolo a scattare tristi foto per i tristi fatti loro e mi chiedo: ma allora anch’io vengo fuori così? Che sia questa l’idea che le ho dato? Andiamo bene…
La redazione di NST ama definirmi un “viaggiatore d’altri tempi”, e non si può dire che abbia tutti i torti: a cinquant’anni suonati, ho fatto in tempo a vedere un bel po’ di mondo com’era, appena prima che si trasformasse in quello di oggi. Questo mio prezioso bagaglio di viaggi “vintage” mi ha aiutato a costruirmi una personale filosofia di viaggio con la quale mi ostino ad interpretare i cambiamenti che sperimento in giro per il pianeta.
ma che bello quel “di-gradare”,latino tardo. e poi tutto il resto.
come hai potuto sopravvivere 1 giorno in banca?
tu sei proprio nato antiviaggiando.
Racconto bello e interessante come tutti gli altri ma, stavolta… mah… faccio un po’ fatica a credere che tu abbia resistito in calzoni corti e maglietta.
Quella degli svizzeri è bella, un po’ meno il fatto che dovremmo fare i buffoni in ogni circostanza.
Ahi ahi ahi, siamo arrivati ai dubbi… e invece ho resistito eccome! Devi sapere che, nel nome della nobile, sacrosanta solidarietà artica che già altre volte mi era capitato di sperimentare su e giù per la Scandinavia, in albergo a Longyearbyen c’era un intero guardaroba di indumenti caldi e impermeabili a disposizione degli ospiti per le loro necessità: così, appena l’ho scoperto, e appena mi hanno spiegato che avrei potuto prenderli liberamente in prestito per le esigenze contingenti, ne ho subito approfittato. Quanto invece alla discutibile opportunità di sbruffoneggiare nello standard italico/italiota, che entrambi logicamente deploriamo, resta ahimé spesso tuttavia un fattore ancora determinante per conseguire il gradimento di alcune categorie femminili estere, su cui non a caso nutrite schiere di nostri connazionali assai più intraprendenti di me hanno edificato nei secoli la loro imperitura, tamarrissima fama di latin lovers.
Ebbene sì, i dubbi erano arrivati 🙂
Forse hanno avuto l’idea degli abiti dopo aver assistito alla moria di turisti.
Preferisco non addentrarmi nell’argomento “standard italiota”, mi limito solo a dire che stimo di più quelli che tu definisci “meno intraprendenti”.
Ieri ho assistito a un atto di germanica cafoneria, che mi piace sottolineare visto che fanno tanto i perfettini: bicchierino di gelato colante e appiccicoso appoggiato sul cristallo di un tavolo antico nella sala comune dell’albergo, anziché sul tavolo di plastica esterno dal quale si erano appena alzati. Ma intanto siamo sempre noi ad essere i cialtroni di turno, no?