Questa volta siamo in otto, c’è Angelo, il Lider Maximo, e Langu, l’AGA (Aspirante Guida Alpina, cfr CONAGAI, da qui in avanti Aspirante) che tutto sa speriamo di queste vette, e poi la truppa, Andrea e i suoi aforismi salaci che solo la frequentazione notturna dei Pronto Soccorso può spiegare, Lucarock, eminenza grigia che mi segue silenziosa per controllare che non mi metta nei pasticci, Giane, il bersaglio preferito e invidiato per le sue altalenanti fortune amatorie, ci sono anche Matteo, felice di essere riuscito a staccarsi per due giorni dal lavoro e rimettersi i vecchi scarponi, e Carlo, col suo kit dell’allegro chirurgo, ovviamente ci sono anch’io, il Pigafetta del gruppo.
Durante le quattro ore di macchina per arrivare da Milano al Passo Gardena niente di memorabile, politica poca, mogli tanto ma non è il caso di riportare i commenti, quelli sulla macchina con Giane sicuramente si sono divertiti di più, calcio niente, è vietato per statuto perché il boss è milanista e tutti gli altri interisti, resta impressa negli occhi l’immagine di Carlo che anni fa, quando era più giovane e incosciente, racconta di essersi fermato ai lati della strada per un bisogno corporale improvviso approfittando di una fitta nebbia per poi scoprire, per colpa di una folata birichina, di essere in piazza a Ortisei.
Il parcheggio di Passo Gardena (2136 m) è pieno, è luglio, il versante nord è tutto prati di un verde splendente, larghe strade di servizio e sentieri invitanti, noi dove andiamo? Sul versante sud ovviamente, sullo stretto sentiero che taglia i ripidi ghiaioni ai piedi delle pareti del Sella, mura di un castello inespugnabile, ma l’Aspirante sa il fatto suo, avanti, bisogna solo seguire il sentiero nr. 666, sicuro? Il numero della Bestia!? Dopo quel costone c’è la Val Setus, prosegue noncurante, è da lì che saliremo. Se pensate di ripetere la nostra scarpinata ricordatevi che la Val Setus non è una valle ma un ghiaione ripidissimo tra pareti incombenti e un sentiero a zigzag taglia gambe e fiato, quel poco che resta Giane lo usa per celebrare una bionda coda di cavallo che ci supera sorridente, meno male che Andrea è più indietro.
La cima del ghiaione è appesa alle rocce dove inizia la ferrata e la faccenda si fa più difficile perché c’è traffico e in certi punti è come viaggiare su un senso unico alternato a Milano alle nove di mattina, Carlo, Matteo e Giane sono più avanti, effetto coda di cavallo, ma quanto manca? Poco, secondo l’Aspirante, e che altra risposta ti aspettavi?
Ferrata finita, gambe un po’ instabili, foto dal ciglio del burrone sotto il controllo vigile dell’eminenza grigia, giù in basso la maglietta arancione mimetico del Lider Maximo e il cappello da esploratore amazzonico di Andrea stanno ancora arrancando su per funi e scalini di ferro, al loro arrivo, l’Aspirante, che sfoggia una t-shirt bianca con stella e colori della bandiera cubana, si complimenta con il Lider Maximo, ogni commento è superfluo.
Al Rifugio F. Cavazza al Pisciadù Hutte (2587 m), birra a gogò e foto sfottò a chi è rimasto a casa, a Ezio eterno Peter Pan di Pogliano Milanese e Virgilio milleparoleaiò che ha preferito la Sardegna, l’unica risposta viene dalle scartoffie dell’ufficio comunale sotto cui è sepolto Sergino “Bastardi!”
Il pianoro del rifugio Pisciadù è del tutto inaspettato, tu sali per pareti verticali e invece di una cima aguzza ti trovi su un pianoro tutto massi e sassi, in compenso la vista è spettacolare, lame di luce tra le nuvole illuminano guglie solitarie, torri squadrate, tavolati inclinati, pareti verticali, cenge sottili, al tramonto le Odle si incupiscono controluce, a destra le dolomiti di Fanes e il Monte Cavallo si colorano davvero di rosa, uno spettacolo!
In attesa della cena foto a tre stambecchi spelacchiati sui ghiaioni che scendono dal Piz Pisciadù al lago davanti al rifugio, stanno perdendo il pelo invernale, un gracchio alpino ci osserva fisso dal parapetto del terrazzo, noi osserviamo fissi due modelle dai tratti orientali e dai maglioni islandesi al tavolo di fianco, cena tra amici, tutto bello tranne i problemi gastrointestinali che in nottata colpiscono me e il Lider Maximo, su e giù dalla camerata ai servizi avremo fatto metà Val Setus.
Al mattino una pallida luna ci saluta dal cielo azzurro sopra i contrafforti del Piz Pisciadù, è là sopra che dobbiamo salire, poca roba assicura l’Aspirante con nonchalance, ma c’è un problema, un vecchio scarpone di Matteo si rifiuta di proseguire e si apre come la bocca ansimante di un bracco ungherese, l’intervento di Carlo con nastro adesivo telato estratto dal kit dell’allegro chirurgo risolve il problema, poi tutti su per il solito ripidissimo ghiaione dolomitico, te la do io la nonchalance…
All’attacco della breve ferrata per uscire dalla Val Setus Andrea dà prova di sorprendente abilità alpinistica destreggiandosi tra funi, catene e scalini con l’embrago completo di longe, moschettoni, dissipatore, calotta bianca da sala operatoria, cappello da esploratore e casco da arrampicata, lampada, piccozza e ramponi l’abbiamo convinto a lasciarli a casa, il Lider Maximo in arancione mimetico segue e dal basso tutto controlla.
Sosta sulla neve che ancora copre la sella di Val di Tita (2800 m), tre baldi giovani scendono come stambecchi dalla cima del Piz Pisciadù, saliamo anche noi? Sguardi sfuggenti e teste chine come all’interrogazione a scuola, no, dice serio l’Aspirante, noi abbiamo ben altre mete! Sospiri di sollievo.
Il lago del Rifugio Pisciadù giù in basso è sparito tra le nuvole, lontane emergono cime sconosciute, ancora una tirata sugli sfasciumi rocciosi, manca poco alla cima poi è tutto un piano, assicura l’Aspirante, e in effetti l’Altipiano delle Mesules a scala cosmica sarebbe considerato un piano, a scala GAO è tutto discese ardite e risalite ma senza la musica, un mondo lunare, bianco di rocce e chiazze di neve, di fronte il Piz Boè e più lontana tra le nuvole la Marmolada, sosta per riprendere fiato, tra i sassi cespi di papaveri gialli, c’è vita sulla luna.
Il Rifugio Boè? È’ là, dice l’Aspirante indicando un punto a caso lontano, ma c’è di mezzo un burrone!? Ci giriamo attorno, e che problema c’è? Discesa a gruppi sparsi, Carlo Matteo e Giane avanti sempre alla ricerca della coda di cavallo bionda ma anche bruna va bene, io e Lucarok, la mia eminenza grigia, alla ricerca di scorci fotografici, non che ci siano problemi a trovarli, ciò che resta del Lider Maximo e l’imbragatura di Andrea seguono a distanza, con nonchalance direbbe l’Aspirante che li accompagna perché teme di perderli. Da un balcone roccioso foto al campanile della Val Mezdì, bellissima e solitaria, sotto di noi uno strapiombo senza fondo, davanti una salita senza cima, l’Antersass (2908 m), si vede il rifugio, siamo salvi.
Arrivare al Rifugio Boè (2871 m) è come arrivare in un bar di Milano all’ora del brunch, giovanotti col vestito da alpinista, ragazze con e senza coda di cavallo, ragazzini già stufi di come sta andando la giornata, mamme con le sneakers, papà stufi come i ragazzini, tutti saliti con la funivia dal Passo Pordoi e poi ci sono quelli che come noi hanno scarpinato o fatto ferrate e li riconosci dallo sguardo un po’ perso nel vuoto. Due incontentabili, Carloallegrochirurgo e Lucarokeminenzagrigia vogliono salire al Piz Boè (3152 m), l’Aspirante si impone come accompagnatore perché lui la sa la strada…
Da qui in avanti il diario di Pigafetta ha un buco temporale, essendo lui sceso a piedi dal Rifugio Forcella Pordoi (2848 m) al Passo Pordoi (2239 m) unico del gruppo ad aver completato la traversata pedibus calcantibus, mentre il resto del gruppo scendeva in funivia.
Il diario riprende dallo sbarco dall’autobus al bivio per il Passo Gardena e Selva di Val Gardena e riporta tre momenti importanti, il primo l’incontro di Giane con una ciclista che lui afferma essere collega di non ricordo dove o quando, il secondo la ricerca disperata di Carlo di un posto adatto a un bisogno fisiologico impellente nonostante i sei Imodium recuperati dal suo kit dell’allegro chirurgo (dopo aver scartato il prato alle nostre spalle ha trovato ciò che cercava dietro la casa cantoniera), il terzo i pollici in su alla ricerca di un passaggio per andare a recuperare le macchine di Angelolidermaximo, braghe corte e camicia azzurra stazzonata con due penne nel taschino, e Andreaprontosoccorso, camicia quadrettoni da alpinista e cappello da esploratore amazzonico portato con nonchalance secondo Langul’aspirante, centocinquanta chili in due non equamente distribuiti e hanno pure trovato un passaggio!
Il resto è storia recente.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.