Il volo per Húsavík è in ritardo. Una discreta bufera di neve imperversa a Reykjavík, è forse questo il motivo del disguido. Nell’attesa io e Giuditta abbiamo tempo per continuare a non capacitarci di quanto tutte le cose qui in Islanda funzionino in maniera informale, forse anche troppo a volte.
Tra le mani teniamo i nostri biglietti. Somigliano in realtà più a scontrini che a biglietti aerei o a carte d’imbarco, e riportano i nostri nomi in maniera piuttosto singolare. Rispettivamente, Fransisco Ferin e Giulitta D. Probabilmente c’è stato un fraintendimento sullo spelling al momento della prenotazione che ho effettuato qualche settimana fa per telefono. Mi era stato detto che comunque, in caso di errore, si sarebbe ovviato a ciò con una correzione direttamente in aeroporto il giorno del volo. Cioè oggi. Il fatto è che facciamo il check-in e nessuno ci chiede alcun documento. Imbarchiamo i bagagli e nessuno ci chiede alcun documento. Arriva il momento di salire a bordo, quando le condizioni meteo permettono il decollo, e nessuno ci chiede alcun documento. Né i nostri bagagli vengono ispezionati. La cosa che più si avvicina ad un controllo è la domanda di un ragazzo che al momento dell’imbarco chiede: “Andate ad Húsavík?”
Rispondiamo di sì e saliamo a bordo, un po’ increduli. E ribattezzati.
Solo una quarantina di minuti di volo ci separano dalla nostra destinazione. Húsavík è stata la città dove abbiamo già vissuto per tre mesi la scorsa estate. Una piccola cittadina di 2.300 abitanti stretta tra il colle alle sue spalle, l’Húsavíkurfjall, ed il mare dall’altro lato, situata sulla sponda orientale della baia di Skjálfandi a poche decine di chilometri dal circolo polare artico. Una cittadina incantevole di cui è facile, facilissimo, rimanere affascinati.
Questa volta, sono certo, troveremo però una città diversa. Al posto del surreale sole di mezzanotte ci saranno le magiche luci verdi dell’aurora boreale. La collina dietro la città non sarà verde d’erba e viola di fiori ma tutto sarà imbiancato dalla neve. Molti dei nostri amici e delle persone che abbiamo conosciuto qui in estate non ci saranno. Andri, Einar e Þórdís vivono ora a Reykjavík e, come loro, tanti altri, islandesi e da tutta Europa, erano ad Húsavík solo per l’estate. La cittadina che in quella stagione era sorprendentemente piena di vita sarà ora probabilmente addormentata sotto uno strato di ghiaccio, il sibilo del vento e il rumore sordo dei passi sulla neve saranno gli unici rumori che si potranno udire passeggiando per le strade vuote.
Intanto in aereo continuano le turbolenze. Non potrebbe essere altrimenti con il tempo che c’è fuori, su un velivolo da una ventina di posti talmente piccolo che devo ingobbirmi per non battere la testa mentre cammino lungo il corridoio. Mi ci vuole una mezz’ora buona per capire che il bianco senza fine che vedo dal finestrino non è delle nuvole ma è della neve che copre tutto. Stiamo volando a poche centinaia di metri da terra. Il volo dura un po’ più del previsto. Atterriamo ad Húsavík intorno alle tre del pomeriggio. Il sole è già tramontato.
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Perché il viaggio? Perché “Storie Invisibili”? L’itinerario/le destinazioni del viaggio fanno parte di un sogno che ho da qualche anno. È da tempo che mi prometto che prima o poi avrei fatto questo viaggio, da solo, e sento che è arrivato il momento giusto.