Dal Capo al Cairo restando con i piedi per terra #4

Sulla Wild Coast alla ricerca dei Big Five.

Prima di abbandonare il Sudafrica volevo girarlo per qualche tempo e guardarmi un po’ attorno. In fondo ero stato a Città del Capo per diversi mesi senza mai lasciare la città e tutti i sudafricani che avevo incontrato non avevano fatto altro che tessere le lodi del loro Paese meraviglioso. Quindi non fosse altro che per farli stare zitti avevo comprato un biglietto del Baz Bus.

Il Baz Bus è un servizio di autobus che attraversano tutta la nazione particolarmente orientato verso i backpackers – ovvero i saccoapelisti, come diremmo noi se non fossimo un branco di anglofili sgrammaticati. Con un solo biglietto avrei coperto l’intera tratta dal Capo fino a Johannesburg. Non solo. Lungo il percorso l’autobus si fermava in innumerevoli località e accompagnava i viaggiatori presso l’ostello dove desideravano soggiornare. Qui si potevano fermare quanto gli pareva e poi ripartire con un altro Baz Bus verso la loro meta.

Per gran parte del mio percorso il Baz Bus avrebbe viaggiato lungo la costa e la prima meta che mi ero prefissato era Plettenberg Bay, nella celebrata area costiera nota come Garden Route. Nel Baz Bus su cui viaggiavo mi è capitato Ricardo, giovane brasiliano alle prese con un giro completo del mondo, ma tanti altri amici li avrei fatti lungo la strada. Dopo Plettenberg, idilliaca cittadina la cui assoluta bellezza era equiparata solo dalla totale assenza di vita – ma d’altra era maggio e stava iniziando l’inverno in Sudafrica – siamo finiti a Coffee Bay, sulla Wild Coast, e qui la musica è cambiata drasticamente.

Pensavo che il termine Wild Coast fosse dovuto alla natura incontaminata che circonda queste aree rurali, i cui borghi si limitano spesso a sparuti villaggi tribali separati da chilometri di distese d’erba e di foreste disabitate. Dopo qualche tempo mi sono quasi convinto che il termine si riferisse alle feste organizzate negli ostelli, sistemazioni meravigliosamente immerse nella natura e gestite con gioviale amatorialità da gente spesso cresciuta in città e per questo in fuga dalla civiltà, che al mattino attentavano alle mie ossa con inaspettate escursioni nella giungla senza l’attuazione della benché minima norma di sicurezza, e la sera puntavano al mio fegato, con tequila party, giochi etilici e feste scatenate.

Inutile tentare di spiegare a parole quale effetto straniante producesse questo incontro tra Africa nera e il più occidentale degli alcolismi. Eravamo lontani da qualunque cosa potesse seppur lontanamente ricordarci che nella vita bisogna lavorare, avere degli obiettivi, fare dei progetti o cercare la propria strada. Vivevamo circondati da animali selvatici, piante rigogliose e pazzi scatenati. I giorni si perdevano in ricordi annebbiati e aneddoti sconclusionati. Prima a Coffee Bay, poi – quando mi sono imposto di proseguire sulla mia strada – a Port Saint Johns – che è praticamente la spiaggia successiva – mi sono completamente perso, dimenticato di chi fossi e dove volessi andare, giovane Kurtz senza alcun Marlow che lo cercasse per chiedergli ragione della sua scomparsa. Persino gli autisti dei Baz Bus, che mi vedevano accompagnare alla fermata continuamente amici in partenza, avevano cominciato a chiedermi se non fosse il caso che mi dessi una mossa.

Ma non tutto il tempo era passato senza produrre risultati: avevo visto i Big Five della Transkei. In questa regione aldilà del fiume Kei, dove il governo bianco del periodo dell’apartheid aveva relegato il popolo xhosa, la diffusione dell’agricoltura e dell’allevamento aveva prodotto una selvaggio girovagare di una fauna non altrettanto selvaggia, che gli abitanti del luogo indicano come i Big Five della Transkei: cani, vacche, asini, capre e galline.

Leggi la puntata precedente: tempo di partire da Città del Capo.

Vai alla puntata successiva: sulla Wild Coast con gli ippopotami.

Il mio percorso..

Dal Capo a Port Saint Johns

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