I colori che l’autunno sa regalare al viandante, sono già il primo dei toccasana per l’anima di chi si sa riempire di essi. Nulla sembra invadere armoniosamente le mie viscere più dell’arancione, del rosso e del giallo che offre il panorama di questa mattina. Una tavolozza spalmata su un delicato accenno di emozioni. Oggi, sarà una gita breve la mia, con dislivelli modesti ma dalle vedute indimenticabili delle Alpi Apuane (leggi le tappe precedenti qui).
Sella di Bocca di Massa
Da dove mi trovo ora, devo percorrere il crinale costeggiando i contrafforti rocciosi del Monte Prado. Una splendida via panoramica con ampie vedute dell’alta valle del Dolo ricoperta dai boschi dell’Abetina Reale. Una dolce salita mi porta all’ampia sella di Bocca di Massa e arrivo a toccare i 1820 metri di altitudine. Già lievemente affaticato, sento le gambe mancare e progetto una piccola sosta. Oggi non mi sento in forma. Qualcosa dentro di me sussurra di un tempo che sto sprecando e di un destino che ancora devo scoprire ma non nel punto in cui ora sono. Proprio mentre sto per scendere dalla sella e arrendermi a questo strano sentimento, incontro alcuni escursionisti che, accortisi della mia difficoltà emotiva, mi fanno coraggio nel proseguire. Mi sembra davvero bello sapere che questo essere umano, seppur con tutti i suoi difetti, sa come prendersi in carico le difficoltà di altri, quando lo vuole.
Passo delle Forbici
Spinto dalle parole di chi ho appena lasciato dietro ad una curva, seguo questo percorso in quota e lo vedo scendere lungo la cresta panoramica che si abbassa nel Passo delle Forbici. E’ in quel punto, dove si incrociano la strada forestale che va dal Casone di Profecchia alla Segheria dell’Abetina Reale e una piccola via a mezza costa che porta al Passo del Giovarello, che ammetto a me stesso che è impossibile vivere senza fare errori. Ma riconoscerli è il primo passo per cambiarne il fato. Per questo so di non commettere nessuno sbaglio se aspetto di veder comparire quel piccolo gruppo di viandanti che percorre a piedi il mio stesso percorso. Come una sorta di piccola staffetta per sincerarsi che anche loro non abbiano bisogno di sostegno. Perché è nell’aiuto reciproco che l’essere umano prosegue il suo cammino in questa vita.
Conca delle Maccherie
Li vedo spuntare dal basso del crinale e rivolgo loro un cenno di saluto. La mia direzione è una discesa lenta lungo una mulattiera lastricata nella Conca delle Maccherie. Quando mi lascio raggiungere, la cordialità nei saluti è come un sapore fresco che bilancia il disagio di questa calda giornata autunnale. Loro salgono ancora. Non hanno perso il desiderio di guardare più in alto. Io invece sento la necessità di vedere le cose da un punto di vista più basso, capire ciò che sta alla base di questa parte di montagna. Le nostre strade si dividono quindi, ma è grazie a loro che ho trovato la forza di arrivare fin quassù e non manco di ricordarglielo per poter essere loro debitore.
Prati di San Geminiano
Inizio la via verso valle e, poco dopo, incontro la strada che sale dai Prati di San Geminiano una zona ampia e lievemente ondulata ricca di sorgenti. La percorro per raggiungere la meta finale di questo viaggio e, giunto ai Prati, mi fermo. Sento uno strano ronzio chiamarmi dal profondo di una parte di me che non riconosco. E’ più forte di ogni mia volontà di sbarazzarmene e proseguire la pedalata. Scendo dalla bici e lascio che ogni mia cellula si riempia dei colori di quello spazio d’erba che calpesto e dei sapori di una piccola sorgente. E’ nel momento in cui mi accingo a risalire in sella che una voce dentro di me sussurra che c’è qualcosa che devo scoprire in questo luogo. Ma farlo da solo mi sembra una impresa difficile. Aspetto qualcuno per provare a chiarirmi le idee. Dopo una ventina di minuti di assoluto silenzio, vedo una figura spuntare dalla stessa via che ho percorso io per arrivare fin qui. Ci sono momenti in cui non è difficile esternare le proprie impressioni e tra escursionisti solitari, c’è sempre quella voglia di scambiarsi due parole ogni tanto. Approfitto della sua sosta ad una sorgente e provo a chiedere delucidazioni su questo luogo che sembra incantato. Dopo amichevoli saluti, il pellegrino mi racconta di una leggenda legata ad un eremita ritiratosi quassù in solitudine fino a che i cittadini di San Geminiano non lo vennero a prelevare per sceglierlo come loro guida e pastore. In questa circostanza l’eremita, lungo la strada per il paese, conficcò più volte nel terreno il suo bastone da pellegrino dal quale zampillarono le sorgenti che ora sono in questa valle.
San Pellegrino in Alpe
Ubriacato da questa astratta congettura di una leggenda che non capisco cosa abbia a che fare con me, saluto il viandante e riparto per arrivare a destinazione. La strada è facile e si percorre velocemente lungo vedute che riempiono l’anima di silenzio rigenerante. Sento che qualcosa vuole affiorare dal mio cuore ma non riesco a tirarlo a galla. Scrivere di questo mio tormento mi sembra l’unica cosa che posso fare per liberarmene. Immerso nella tranquillità di questo luogo che sto attraversando, sento di nuovo il desiderio di battere tasti di un computer per lasciare parole di bellezza a chiunque voglia leggerle. Ma la vita è come un orto. Una volta coltivato con qualcosa, non si può raccogliere quello che si vorrebbe nascesse, ma solo ciò che è spuntato. E forse io non ho avuto abbastanza terreno per far crescere i miei raccolti. Mentre le ruote della bicicletta scivolano veloci sul terriccio sotto ai miei piedi, infrango i miei sogni nel muro di indifferenza di tante persone che ho incontrato nella speranza di poter far nascere progetti in comune. Tuttavia è quando arrivo quasi alla strada che porta a San Pellegrino in Alpe, che tutto sembra agglomerarsi in un unico senso. L’aiuto psicologico ricevuto all’inizio del viaggio, la veduta ampia che si osserva nei Prati e la leggenda dell’eremita che fa uscire l’acqua dal terreno perché scelto come guida da un intero paese; tutto sembra riportare ad una sola conclusione. Che solo insieme agli altri, ognuno arriva a compiere il proprio destino. L’eremita ha trovato il suo nell’incontro con i cittadini ed essi hanno potuto continuare a cercare il loro grazie all’aiuto dell’Eremita divenuto Santo. La vastità di questo luogo è stato ciò che ha permesso la più ampia veduta di entrambe le parti. Giunto alle porte del paese, osservo le prime antiche case di questo ambiente che una volta era atto ad ospitare viandanti e pellegrini. San Pellegrino in Alpe è l’abitato permanente più alto dell’intero Appennino settentrionale e da quassù la vista è veramente splendida.
L’arrivo di tutto
Con ancora in bocca il sapore del piacere di aiutare qualcuno ed esserne aiutati, ripenso a tutte le difficoltà incontrate nella scrittura di viaggio. Guardo a tutti i valori che ho provato a seminare con i miei scritti e in quanto poco spazio mi è stato concesso per farli percepire. Ripenso al concetto di condivisione di emozioni per accrescersi con cui ero partito a scrivere. Rivivo nella mente i possibili errori fatti nel tentativo di affidare le mie parole a persone che poi si sono rivelate scelte sbagliate. Percorro la via principale del paese fino ad attraversarlo tutto. Davanti a me si apre di nuovo il mondo delle vette appenniniche. A differenza di quanto c’è di fronte a me, non mi sembra di aver dipinto un quadro fortunato della mia esperienza di scrittore. E’ però quando mi volto indietro per lasciare che nei miei occhi entri un’ultima volta la serena bellezza dell’antico ospizio di San Pellegrino in Alpe, che l’amarezza si trasforma in beatitudine e, d’un tratto, tutto si dissolve in un solo messaggio. Come una immagine riflessa su uno di quei tanti laghi alpini che ho incontrato durante le tappe percorse, mi appare chiaro il fine di questo mio viaggio. Perduto nella vastità dell’Appenino, non ho più parole da lasciare se non quelle di un destino al quale ho capito di appartenere. Inforco i pedali e riparto a far macinare strada alla mia bicicletta.
E’ giunto il tempo per me di scendere a valle, lasciare questo percorso sugli Appennini e cominciare ad occuparmi di ciò che la vita mi ha instillato in questi giorni d’altura. L’unica cosa della quale sono certo è che questo mio piccolo viaggio si è trasformato in una grande metafora che ha riguardato la mia vita e mi ha lasciato con il bisogno di dare tutto me stesso a chi ha a cuore le vicissitudini di questo pianeta e la felicità dell’altro prima che la propria.
E’ stato bello incontrarvi per un po’, colline di una terra amata. Se questo è un arrivederci oppure un addio, dipende unicamente dalla volontà di chi sarà arrivato alla fine di queste righe e vorrà rimanere in contatto con questo misero essere umano che cerca di dare un senso alla propria vita, tentando di rendere piacevole quella degli altri.
Comincio a viaggiare sin da giovane per capire le relazioni fra i luoghi visitati e le persone che li abitano. Dai piccoli pensieri scaturiti durante questi percorsi e lasciati su pezzi di carta, nasce la voglia di scrivere articoli più complessi e mi specializzo in storytelling di viaggio diventando membro della Scuola Italiana di Viaggio.