Provate a immaginare un arcipelago tropicale formato da tante isole quanti sono i giorni dell’anno. Con le loro spiagge bianche e le palme mosse dal vento, queste isole caraibiche sono un vero e proprio paradiso.
Così la mia guida descrive le San Blas, la penultima tappa di questo viaggio in Centro America di cui mi accingo a raccontarvi. E già soltanto da queste poche righe potete farvi un’idea di quanto alte fossero le aspettative che avevo su questo luogo. Le San Blas sono un arcipelago di più di 400 isole situato nella parte est dello stato del Panamá. Una delle caratteristiche che più mi incuriosiva era il fatto che questo territorio fosse abitato dal primo gruppo indigeno dell’America Latina ad avere ottenuto l’autonomia: i Kuna.
Isole paradisiache, mare cristallino e popolazione indigena da scoprire, i presupposti per un’esperienza indimenticabile c’erano tutti. Eppure le righe che andrò a scrivere, contro ogni aspettativa e mio malgrado, non saranno così lusinghiere perché io, questo paradiso, non l’ho trovato.
Doverose le premesse: come ormai sapete sono sbarcata alle San Blas con un piede rotto e dopo un lungo viaggio che ha portato me e il mio gruppo a vedere quasi tutte le giornate caratterizzate da piogge persistenti. E la pioggia purtroppo è stata grande protagonista anche qui, quasi come un monito che ognuno è libero di leggere come più gli aggrada: piove anche in paradiso e quando accade, il paradiso, si trasforma in una sorta di prigione dalla quale si ha voglia di scappare.
È necessario che entri più nello specifico per farvi capire la situazione. Delle 400 isole che compongono l’arcipelago, solo una settantina circa sono abitate dai Kuna, la maggior parte dei quali, ha attrezzato la propria isola per ospitare i turisti di passaggio. Le sistemazioni consistono per lo più in capanne di bambù dove a volte si trovano dei letti, altre anche soltanto materassi buttati sulla sabbia. Fin qui tutto bene, amo i posti spartani soprattutto quando questi permettono di vivere un’esperienza più autentica e a più stretto contatto con la realtà locale. E non importa nemmeno condividere due bagni in circa 30 persone senza possibilità di acqua corrente se anche questi diventano elementi di genuinità dell’esperienza che si sta vivendo (sebbene debba ammettere che fare la doccia utilizzando il secchio con un piede rotto non sia esattamente l’esperienza più agevole che io abbia fatto nella mia vita). Quello che importa è sbarcare sull’isolotto che si è prenotato – nel nostro caso Isla El Diablo – leggeri di bagaglio (sia per le isole che si raggiungono via mare che per quelle che si raggiungo per via aerea il massimo del peso consentito per il proprio bagaglio è 10 chili) ma colmi di aspettative, e trovare un’isola trascurata da chi la abita, con cumuli di immondizia riversati subito dietro le capanne.
Conta inoltre trovare delle persone poco ospitali e poco inclini al contatto umano. Conta anche sapere di spendere 57 euro a notte, che comprendono sia il pranzo che la cena ottimi ma in dosi per niente abbondanti, che non è proprio un prezzo stracciato, soprattutto considerato che questa è una delle sistemazioni più economiche che abbiamo trovato. Infine conta che su questi minuscoli isolotti, se piove a dirotto come nel nostro caso, la noia diventa la compagna non desiderata ma impossibile da scacciare. La somma di tutte queste componenti fa sì che io non me la senta proprio di definire le San Blas un paradiso. Perché poi la pioggia che cade abbondante cambia il paesaggio: il mare non è più cristallino e stracolmo di pesci, la sabbia non è più bianca come il borotalco e i contrasti di colore si fanno più fievoli.
Proprio a fronte di questa insoddisfazione abbiamo anche deciso di cambiare isola, dopo aver visto che la Isla El Perro, proprio di fronte alla nostra, era forse un po’ più pulita ma la situazione non si discostava più così tanto. Abbiamo quindi preso una barca e in un’ora di navigazione abbiamo raggiunto una minuscola isola che compone il gruppo delle Cayos Holandeses, note per essere tra le più belle dell’arcipelago.
Il problema è che qui c’era solo la possibilità di campeggiare, cosa che, vista la condizione meteo, avrebbe potuto rivelarsi una scelta parecchio azzardata. Qui abbiamo però trascorso un’intera giornata con quella sensazione piacevole di trovarci comunque in un luogo in cui la natura domina incontrastata e dove la mano dell’uomo poco ha potuto fare. Per la notte ci siamo spostati in quella che credo di poter definire l’isola meglio tenuta di tutte quelle visitate: Chichime. Quest’isola ci ha regalato anche un meraviglioso tramonto, merce rara in giornate come le nostre. Purtroppo è il posto dove ci siamo fermati meno ma che, se proprio dovessi dare una raccomandazione, consiglierei un po’ più a cuor leggero.
Dopo questa mia esperienza ho deciso che però non vorrei che la mia “storia” con le San Blas si chiudesse qui, vorrei dar loro una seconda possibilità, magari in una stagione più appropriata, magari scegliendo un tour in barca spostandomi tra le varie isole e magari presentandomi senza gesso al piede!
Leggi la puntata precedente: arrivo nel Panamá e visita dell’arcipelago di Bocas del Toro
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Vivo a Torino, città che amo profondamente, ma nonostante questo mio amore, spesso, sento l’esigenza di scappare lontano da lei per scoprire altri nuovi splendidi luoghi. Credo profondamente che anche viaggiare sia una forma d’arte e che più il viaggiatore sviluppa curiosità, fantasia e originalità, più saprà creare itinerari di viaggio meravigliosi.