L’occasione di progettare il nostro viaggio in Mongolia è nata incrociando un articolo fotografico che era stato condiviso sulla mia pagina Facebook e che ora, compiuto il mio viaggio, riguardo necessariamente con occhi diversi. I volti, i colori, gli edifici poco curati, le gher, i sorrisi dei bambini, gli spazi che il perimetro della foto non riusciva a contenere. Nasce così la mia idea di Mongolia, la mia ricerca di informazioni, i miei contatti con quello che è poi stato il nostro affidabile tour operator, Mongolia Tours.
I giorni a disposizione sono stati quindici, quelli di tour effettivo tredici. Tredici giorni di jeep Uaz degli anni Novanta, di mancanza di comodità per noi ovvie come il bagno e la doccia, di un letto comodo, di una cucina attrezzata, di indipendenza ed intimità. Tredici giorni per attraversare due regioni – Gobi e Mongolia centrale – tra sterrato, villaggi fantasma e città di impronta sovietica, di strade asfaltate ma malmesse.
La regione del Gobi ha un’estensione pari alla Grecia e una popolazione uguale a San Marino. Viene spesso identificata con il deserto del Gobi e anch’io, prima di iniziare il viaggio, la immaginavo come un immenso deserto sabbioso. In realtà il Gobi non è un deserto, ma la declinazione fisica e antropologica del concetto di deserto.
Fisicamente il Gobi è sabbia, roccia, ghiaccio, montagna, valli rocciose, montagna, dune. Tutti luoghi fisici che si alternano in questa regione e che rendono il viaggio una continua scoperta, meraviglia e attesa. Nello svegliarmi la mattina mi costruivo un immaginario, poi con lo scorrere dei chilometri e il mutare del paesaggio la sensazione che avevo era quella di aver compiuto ogni giorno tanti viaggi diversi e questo contribuiva ad aumentare l’attesa per ciò che è questa regione.
Il Gobi ha il potere di ricordarci che il deserto è un luogo fisico affascinante e complesso, mai monotono, sempre mutevole, capace di metterci davanti ai nostri limiti. Nel guardare rocce, colori, la linea dell’orizzonte fra cielo e sabbia, nell’ascoltare il vento fra le dune, nel vedere piantine rigogliose e testarde, ogni visitatore fa riaffiorare alcune delle sue parti più oscure, la sua umanità più profonda, e si apre alla riflessione interiore, non necessariamente comunicativa.
Il nostro giro nella regione del Gobi è durato sei giorni. Bellissimi, intensi, mozzafiato e faticosi. Qui abbiamo soggiornato in gher familiari e in campi gher con servizi e docce.
Ulaan Suvarga
Inoltrandoci nel Gobi, tra pianure sterminate sempre più aride e cammelli, abbiamo esplorato questo che è un vero e proprio deserto dipinto. Qui un tempo c’era il mare che ha realizzato profonde erosioni. Arrivando ho sentito salire l’emozione per i colori, le forme e l’immensità dello spazio felicemente scolpito dalle acque milioni di anni fa. Qui un profondo senso della storia e del tempo che passa inevitabilmente sfiora l’anima dei viaggiatori. Gli occhi provano felicità nel contemplare i colori delle rocce, panna con lievi sfumature rosa e rosse. Qui, a 360 gradi, la bellezza delle forme, dei colori, degli spazi e un cielo, quello della Mongolia, che si estende come se non dovesse mai aver fine.
Parco Nazionale del Gurvan Saikhan
Dopo aver vissuto un primo assaggio del deserto del Gobi non avrei pensato di ritrovarmi a camminare per una valle verde, dove osservare simpatici animali simili a topi e scoiattoli – i pica di Pallas, o pica mongolo – e raggiungere una gola con del ghiaccio. Questo è il Parco Nazionale del Gurvan Saikhan, dove le tracce del terribile inverno non si cancellano con un po’ di sole.
Khongoryn Els
Nel Parco Nazionale del Gurvan Saika ci sono anche le alte dune note come Khongoryn Els, le “sabbie canterine”.
Per raggiungerle abbiamo percorso oltre 200 chilometri in un paesaggio desolato, ma ricco di varietà e colori. Ad un ambiente quasi montano si è sovrapposto uno desertico e sabbioso. Montagne, dune e pianura verdeggiante sono pezzi dello stesso puzzle. Le dune sono maestose, lunghe e alte, di un color sabbia tenue.
Arrivarci passeggiando vuole dire entrare in contatto con la terra che vi confina, gli acquitrini, i fiori delle verdi piante, e il suono del vento che le accarezza e che non ti lascia mai.
Bayanzag
Per raggiungere Bayanzag ci sono volute più di quattro ore di macchina, fra steppe, gole e montagne, più una sosta nella cittadina di Bulag. Bayanzag è un’immensa valle rocciosa e un canyon dal colore rosso porpora. Qui, milioni e milioni di anni fa vivevano i dinosauri e molti sono i ritrovamenti a cui la loro presenza ha portato.
Abbiamo camminato sulle parti accessibili del canyon sotto al sole, sentendoci come un granello davanti a questi colori e queste forme immense.
Ma la magia di questo luogo non è solo nel punto più visitato. Bayanzag è un luogo bello, forte e intenso, che si sviluppa in rocce, deserto, oasi, terreno argilloso e un panorama immenso dove cielo e terra sembrano non finire mai.
Le rovine del monastero Ongiin Khiid
Su una piccola area montuosa del distretto di Saikhan-Ovoo abbiamo fatto una tappa per visitare il monastero Ongiin Khiid, oggi due complessi templari in rovina nei pressi del fiume Ongi. Era il monastero più grande della Mongolia fino a quando la furia anti religiosa comunista non li distrusse.
Oggi rimangono solo rovine che testimoniano questa barbaria e un piccolo tempio ricostruito nel 1990, dove fu ospite anche il Dalai Lama. Al di là dell’aspetto religioso, è una tappa piacevole, nel verde e tra la roccia, e un gradevole paesaggio con suggestivi scorci sul fiume.
Insegnante di professione, turista per passione, fotografa per diletto. Amo sognare e progettare i miei viaggi come un modo per conoscere e scoprire me stessa. Parecchi i viaggi fatti, molti di più quelli ancora da fare e da raccontare.