Abitata fin dalle origini della città, l’Isola Tiberina rappresenta indubbiamente uno dei luoghi simbolo di Roma. Si racconta che l’isola sia sorta dal cumulo di covoni di grano gettati nel fiume dai Romani in festa per la cacciata dei Tarquini. E un’altra leggenda spiega invece il motivo della sua curiosa e singolare forma.
Si racconta di una nave che, nel 291 a.C., essendo scoppiata a Roma una grave epidemia, salpò verso Epidauro, città sacra ad Esculapio, il più importante dio guaritore della Grecia, con una commissione di dotti per chiedere al nume della medicina il suo soccorso. Ma, mentre si svolgevano i riti propiziatori, un serpente enorme uscì dal tempio e andò a rifugiarsi sulla nave romana.
Certi che Esculapio si fosse trasformato in serpente, la nave si affrettò a ritornare a Roma. Quando giunse presso l’isola, il serpente scese nel fiume e nuotò fino in cima, dove scomparve, indicando, in tal modo, la località dove sarebbe dovuto sorgere il tempio dedicato proprio al dio Esculapio: la costruzione, iniziata subito dopo, venne inaugurata nel 289 a.C..
A ricordo dell’evento miracoloso l’isola prese la forma di una trireme romana, con tanto di prua, poppa e persino di albero maestro, rappresentato, in origine, da un obelisco, sostituito in seguito dalla cosiddetta “colonna infame”. Qui veniva affissa una tabella nella quale erano indicati i “banditi” che nel giorno di Pasqua non partecipavano alla messa eucaristica.
L’uso durò fino almeno a metà Ottocento e quando la colonna si spezzò per l’urto violento di un carro (incidente o atto voluto?), fu sostituita per volere di papa Pio IX dal monumento attuale. Opera di Ignazio Jacometti, esso comprende le statue dei santi Bartolomeo, Francesco di Assisi, Paolino da Nola e Giovanni di Dio.
L’edificio, che sorge alla sinistra della chiesa, era l’antico monastero francescano. In seguito fu trasformato in ospizio per i più bisognosi e venne anche utilizzato dagli ebrei del vicino ghetto come sinagoga durante il periodo di occupazione tedesca. La tradizione dell’isola come luogo di cura, come ben si vede, non si interruppe quindi con l’abbandono del tempio di Esculapio: nel 1500 infatti sorse un grande ospedale gestito dalla Congregazione di San Giovanni di Dio, il famoso Fatebenefratelli.
Il soprannome deriva dal suo stesso fondatore, San Giovanni di Dio, un frate portoghese che per le vie di Granada, vestito con un saio, davanti all’ospedale da lui stesso organizzato, era solito rivolgere ai passanti un insolito richiamo, “Fate bene, fratelli”, un chiaro invito a fare la carità, ma anche del bene alla propria anima.
Il complesso ospedaliero è detto anche di San Giovanni Calibita, dalla chiesa annessa all’ospedale che presenta un vecchio chiostro con lunette dipinte nel Settecento. La chiesa sorge sul luogo dove si trovava un altro santuario, il sacello di “Giove garante del giuramento”, ritrovato durante alcuni scavi avvenuti sotto la chiesa.
L’isola è ancorata alla terraferma già dall’epoca romana grazie a due ponti: Ponte Fabricio e Ponte Cestio. Il primo conduce verso il ghetto e deve il proprio nome al costruttore, Fabricio, curatore delle strade, che lo fece edificare nel 62 a.C.. È anche detto “dei Quattro Capi” per le erme quadrifronti che tuttora esistono presso le due testate e che probabilmente sostenevano le balaustre originarie di bronzo che ornavano il ponte finché papa Innocenzo XI, nel 1679, le fece sostituire con l’attuale parapetto.
Da qui si può ammirare la torre eretta dai Pierleoni nel X secolo, nota anche come “Torre della Pulzella” per la piccola testa marmorea raffigurante una giovinetta inserita nel paramento di mattoni databile al I secolo d.C.. Il palazzo fu residenza poi dei Caetani che qui abitarono fino al 1470, sottoponendo tutti gli edifici a frequenti restauri perché il complesso era continuamente eroso dalle intemperie e dalle piene del Tevere. La situazione del complesso precipitò con la terribile piena del 1557, che travolse la torre e le annesse costruzioni.
Sul lato opposto invece, verso Trastevere, vi è Ponte Cestio, costruito nel 46 a.C. da Lucio Cestio, importante uomo politico dell’epoca di Giulio Cesare.
E se a questo durante il percorso dovessero farsi sentire stanchezza e appetito, il ristorante della grande attrice e orgoglio romano Elena “Sora Lella” Fabrizi (gestito oggi dai figli) è il posto giusto in cui trovare ristoro.
L’Associazione Culturale “L’Asino d’Oro” nasce nel 2013 e organizza visite guidate e passeggiate per adulti e bambini alla scoperta di Roma e del Lazio.