Sachavaca Camp, Parque del Manu, Perù.
Ore 6:30 sul pontile di Cocha Otorongo
La cocha è un lago formato da un’ansa abbandonata del Manu, e Otorongo è il nome locale del giaguaro.
Per arrivarci barca, camminata nella foresta tra alberi che chiudono il cielo e arrivo al pontile, niente giaguaro ma un piccolo boa, un metro e mezzo circa, foto di rito in attesa delle lontre giganti, un’ora di attesa, niente, cerchi ipnotici sull’acqua, piove, nuvole e temporali che si inseguono, d’altra parte la BBC ha lavorato sei mesi per fare un documentario sulle lontre giganti, non è che arrivi tu e quelle si mettono in posa, afa appiccicosa.
Cocha Otorongo di nuovo nel pomeriggio. Giro sul pontone, ai remi il capitano e Rambo il marinero, ed eccole le lontre, conta e riconta sono sei, più due cuccioli in una tana sulla riva, ci informa Michel la nostra guida, noi stiamo fermi e zitti, sono loro che vengono a curiosare di che si tratta, chi sono questa volta gli scocciatori, fatte belle foto, ogni volta che riemergono hanno un pesce tra le zampe e lo sgranocchiano come fosse un panino.
Sugli alberi attorno alla cocha un andirivieni di scimmie, quelle sono scimmie ragno, ci indica Michel, da lontano, così secche, sembrano marionette, poi un gruppo di scimmie scoiattolo che fanno casino come bimbi in gita scolastica e scimmie lanose ferme a filosofeggiare o semplicemente in attesa che il caimano lì sotto nell’acqua si allontani.
Cena, candele, è l’ora dei racconti, c’è stato davvero Fitzcarraldo, quello del film di Herzog, racconta Michel, era alla ricerca del caucciù, il peggior periodo per gli indios, ancora adesso quella regione in fondo al parco si chiama Fitzcarraldo, poi fuori con le pile nella foresta di notte, farfalle addormentate, cavallette dall’aria stupita e tante, tantissime rane una diversa dall’altra, Michel con un filo d’erba fa uscire dalla tana una tarantola nera grossa come una mano, indietro di corsa, arriva il temporale.
Da Sachavaca Camp a Tambo Blanquillo
Ore 5:30, partenza in barca per Tambo Blanquillo, Jorge Cardenas, l’anziana guida che sa tutto del caimano nero resta solo al Sachavaca, paura? No, perché? dice che si fa compagnia coi Matsigenka.
Sosta a Boca Manu, dove il Manu confluisce nel Madre de Dios. Racconta Michel che i ragazzotti del posto erano soliti sfidare a calcio i turisti, adesso il fiume si è mangiato metà campo ma le porte quattro pezzi di legno ci sono ancora, e vincevano sempre, come premio una cassa di birra, una volta però hanno perso clamorosamente contro turisti italiani, dicono ci fossero dei giocatori della nazionale, Paolo Rossi addirittura, ho cercato in internet ma non ho trovato riferimenti, leggende metropolitane anche in Amazzonia.
A Boca Manu prima erano tutti boscaioli, col parco è stato proibito il taglio degli alberi ma è stato concesso il diritto di usare i tronchi fluitati dal Madre de Dios, col legno costruiscono barche ma adesso le barche sono di alluminio e stanno perdendo il lavoro, quelle di metallo sono più leggere, costano meno, consumano meno e durano di più.
Pranzo in barca, nuvole e fresco, due ara rosse e blu al nido su una palma lungo il fiume, Michel dice che è raro trovare i nidi di ara, visto un aguti che gironzola sulla riva.
A Tambo Blanquillo caldo afoso insopportabile, Michel, il capitano, Rambo e il cuoco sfidano a calcio dei ragazzi del tambo, sudano tutti di brutto, non so chi ha vinto. Il cuoco ha tre magliette con stampato il suo nome: Hubert, Uberth e Ubert, non vi dico gli sfottò. Alla reception del tambo una ragazza mulatta olandese, lavora gratis, vuole imparare lo spagnolo, in Olanda studia commercio. Di sera concerto assordante di rane, cielo stellato bellissimo.
Il Macaw clay lick di Tambo Blanquillo
Ore 5:30, non c’è verso di dormire di più, puntuali come sempre partenza in barca giù per il fiume, nebbia sottile sulla cima degli alberi, colazione sulla piattaforma di legno di fronte a una parete di argilla (collpa) su una lanca del Madre de Dios, ci sono tavole colorate con una ventina di specie diverse di pappagalli, tutti lì devono arrivare, forse, può darsi, dipende, aspettiamo.
Ore 8:30, arrivano un po’ di pappagalli, solo quelli piccoli scendono a beccare l’argilla, quelli a testa azzurra e quello a testa nera non scendono, ci sono scimmie cappuccino e scimmie scoiattolo che disturbano e i pappagalli se ne vanno, due uccelli simili a tacchini con una specie di corno in fronte passeggiano sotto la riva.
Ore 10:15, arrivano i protagonisti, gli ara rossi e blu, stanno appollaiati sui bambù sopra la collpa, titubanti, attenti, indecisi, chiacchieroni, finalmente scendono a beccare l’argilla, un bailamme di colori e rumori poi all’improvviso se ne vanno in un trepestio di ali rosse e blu, chissà cosa li ha disturbati, comunque le foto le ho fatte.
Nel pomeriggio alla piattaforma di Cocha Camungo, 50 metri, è su una ceiba mastodontica, lontre in acqua ma lontane, uccellini colorati che giocano a nascondino tra le foglie, venuta anche Amanda, l’olandesina, caldo e umidità sfiancante, al ritorno bellissimo tramonto sul fiume.
Rambo è tutto il viaggio che usa uno straccio verde per asciugarsi le mani e per asciugare piatti bicchieri e posate, adesso lo sta usando anche per pulire i tavoli dove abbiamo mangiato, per ora nessun problema gastrointestinale.
Da Tambo Blanquillo a Cuzco
Ore 5:30, partenza, alba sul fiume, nebbia, splendidi riflessi, mezz’ora di acqua poi il sole rompe le nuvole, alta sulla riva del Madre de Dios una collpa con decine di pappagalli verdi testa blu a beccare l’argilla, foto al volo ma la barca va troppo veloce.
Arrivati a Boca Colorado dopo due ore, il capitano e Rambo tornano in barca a Atalaya, saluti, arriveranno domani, Michel e i due svizzeri su un SUV, io con Hubert/Uberth/Ubert sull’altro, sulla fiancata la scritta Terrible, per farlo partire, il Terrible, bisogna aprire il cofano e trafficare sul motore. Un’ora tra prati grigi e stanchi, catapecchie lungo la strada, boscaglia anonima lungo fiumiciattoli ingolfati, l’altra faccia dell’Amazzonia.
Di nuovo in barca per attraversare l’Inambari, 430 km, tanta acqua come il Po, va a finire anche lui nel Madre de Dios che si unisce al Mamorè e diventa Madeira ormai in Brasile, immagina le dimensioni, e dopo 3 o 4 mila chilometri finisce nel Rio delle Amazzoni, è proprio il caso di dirlo: Madre de Dios, quant’acqua!
La Transoceanica Sur, dal Brasile al Pacifico, è una strada a due corsie con qualche camion, non finisce mai, sale e sale tra montagne brulle e colorate fino al passo Abra Pirhuayani, 4.725 metri, praticamente in cima al Monte Bianco, sosta per ammirare il panorama, quattro oche delle Ande camminano impettite sulla riva di un laghetto, riflessi bianchi, il Nevado Ausangate, 6.384 metri, risplende nel sole, più in alto il cielo blu. Bellissimo.
Poi sono ore di torpore e dormiveglia, alle 19 finalmente Cuzco, l’Amazzonia è già un ricordo.
Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.