Bastia, alta Corsica. Una piazza oltre il porto, una piazza che è quasi un viale, un lungo viale alberato orlato di platani. Grandi, alti platani secolari dal tronco coperto di chiazze giallastre, le cui foglie palmate svolazzano allegre nel sole, depositandosi in un bel tappeto frusciante. Per me è come tornare all’adolescenza: ci scorazzavo da ragazzo, sotto alberi come questi, nella strada della mia città che ne porta il nome. Perché da noi in Irpinia, ad Avellino, Viale Italia (l’arteria d’ingresso per chi proviene da Napoli) è stato da sempre popolarescamente ribattezzato “Viale dei Platani”. Mi accoglie bene la Corsica: con un bel ricordo di casa.
A tavola qui a Bastia assaggio le specialità locali, insaccati fatti in casa che in lingua corsa mi suonano familiari: u prizuttu, a salciccia, a coppa, u figatellu… e anche il sapore è quello, soprattutto u prizuttu, tagliato doppio in punta di coltello e gustato sul pane imburrato, è una gradita, conosciuta sensazione. Mediterraneo che vai… una sponda vale l’altra, normale, no?
Da bere, birra artigianale. Niente vino. Strano, perché noi in Irpinia invece di vino ne facciamo tanto e di quello buono, e poi la Francia è un’altra delle patrie del vino. Ah, già, qui non siamo proprio in Francia… anzi. Ecco spiegata la birra. Aromatizzata alla castagna. Castagni e castagne ne hanno tante, proprio come da noi, che ne facciamo zuppa e castagnaccio, loro invece… birra. Anzi no, lo vedo ora sul menu: u castagnacciu, lo fanno anche loro. Mi fa piacere.
E a parte un gorgonzola ultrapotenziato dalle probabili proprietà allucinogene – ah, quell’odore penetrante e stordente! – anche quanto a formaggi praticamente nulla di nuovo: ricotte e pecorini salati freschi e stagionati, comodamente ed usualmente buoni. Dieta mediterranea… irpinoterronea direi.
Funghi non ne vedo, ma ci saranno: se c’è la castagna, se ci sono i formaggi caprini e c’è il cinghiale… sì, c’è anche il cinghiale, proprio come nelle nostre campagne! Vicino alla casa dei miei genitori, ad esempio, ad Altavilla Irpina, ce ne sono tanti, troppi, un vero flagello per i vigneti e l’agricoltura. Perciò se ne cacciano e se ne mangiano tanti, ma a me la carne di cinghiale piace poco.
Insomma qui a Bastia tra platani, salumi, castagnacciu e cinghiali comincio a sentirmi un po’ a disagio: e sì che tutto il mondo è paese, ma questo forse è davvero un po’ troppo paese. O no?
L’insegna del ristorantino a cui siedo porta il disegno del recipiente in coccio in cui noi altri cuociamo i fusilli: i fusilli all’avellinese, col sugo di carne e la scamorza fusa. È incredibile, questa sagoma del coccetto: stessa forma, stesso colore, stesso manico… e in alto la scritta “U Tianu”. Come lo chiamiamo noi quell’affare, nel nostro dialetto? Oddìo, non me lo ricordo, e poi mi sento nervoso, ho bisogno di due passi per digerire il formaggio psichedelico, vedo là in fondo quel boschetto di faggi dall’aria invitante… faggi? Come a Montevergine? Ma sì, faggi, è una pianta comune ovunque, cosa credete, che l’esclusiva delle faggete l’abbia soltanto il massiccio irpino del Partenio? E no, non li voglio quei grissini zuccherati all’uovo… ma certo che li conosco, li mangio fin da bambino e non mi sono mai piaciuti granché… no, non lo voglio sapere come si chiamano.
Finalmente un po’ d’aria, va meglio ora. Sono ai bastioni della cittadella, l’antico forte a difesa del porto: una lapide dice che era di stanza qui a Bastia, nei primissimi anni dell’Ottocento, l’ufficiale napoleonico Joseph Léopold Sigisbert Hugo, padre del celeberrimo poeta, scrittore e drammaturgo, all’epoca infante che… eh già! Adesso stai a vedere che c’è pure la casa di Victor Hugo! Quella dove stava prima che trasferissero suo padre all’Elba e poi ad Avellino, dove, dopo aver braccato e catturato tra le nostre montagne il feroce brigante sanfedista Fra’ Diavolo ed essere stato per questo nominato governatore della provincia, stabilì la sua residenza nello storico palazzo che per noi avellinesi resta“la casa di Victor Hugo”. E pensa, anche là trovi una bella e grande lapide! La nostra recita “Qui dimorò fanciullo dal gennaio al luglio 1808 prima di ascendere ai fastigi della poesia del romanzo del dramma VICTOR HUGO schiudendo l’anima ignara sognante ai dolci indimenticabili incanti della terra d’Irpinia e ai primi sensi di umanità di giustizia per le miserie del mondo” (traduco dal lapidese: ”Qui dimorò fanciullo …omissis… passando il tempo a raccogliere e sgranocchiare nocciole, cioè un’altra delle tante famose specialità irpinocorse”).
Ma questo è veramente troppo! Io riesco ad immaginarmeli, Hugo padre e il figlio, a sbocconcellare prosciutto nostrano e caciotte ad Avellino all’ombra del Viale dei Platani, Léopold che si lamenta con la moglie della nuova sede che non è che sia questo granché, per come troppo assomiglia alla precedente e senza il mare per giunta, mentre il monello che sarà l’Immortal Vate di Francia frigna che il formaggio non lo voglio e non mi piace e puzza e la mamma paziente eddài Victorino te lo dico io che questo qui non puzza mica quanto quello là e poi non ti trovi bene qua? È tutto uguale uguale a Bastia, se non ci credi chiedi al papà! Le vuoi due caldarroste, eh Victorino? Le vuoi?
Io… voglio tornare a casa! A casa? E cosa cambierebbe?
La redazione di NST ama definirmi un “viaggiatore d’altri tempi”, e non si può dire che abbia tutti i torti: a cinquant’anni suonati, ho fatto in tempo a vedere un bel po’ di mondo com’era, appena prima che si trasformasse in quello di oggi. Questo mio prezioso bagaglio di viaggi “vintage” mi ha aiutato a costruirmi una personale filosofia di viaggio con la quale mi ostino ad interpretare i cambiamenti che sperimento in giro per il pianeta.