Viaggio in India Tra Contraddizioni e Meraviglie – Esperienze, Emozioni e Luoghi Unici da Scoprire

La doverosa premessa con la quale intendo iniziare questo racconto è che l’India non è per tutti. Questo paese è certamente molto evocativo anche per chi non ci è mai stato. Basta sentirne parlare e nell’immaginario collettivo si sogna già ad occhi aperti al finestrino di un treno di fronte a paesaggi infiniti, ricordando però che sono tempestati di buste di plastica e altra spazzatura. Un piccolo indizio di quello che l’india offre: stupore e disgusto. È senz’altro il paese più impattante nel quale ho messo piede, sia fisicamente, sia spiritualmente.

Raccontare un viaggio in India è già di per sé un’impresa. Il viaggio stesso dal ritorno, deve essere metabolizzato fisicamente e spiritualmente. È inutile cercare spiegazioni, qualunque sia la domanda, qualunque sia l’evento che sta accadendo. Questo paese è una sfida costante alla logica, un concentrato di assurdità, uno shock culturale costantemente rinnovato, un universo parallelo dove la razionalità è rimasta alla porta e dove i paradossi vengono letteralmente spalati. Gli scienziati affermano che il cervello umano è selettivo, cancellando i brutti ricordi più facilmente di quelli buoni. In India, anche questa teoria viene ribaltata.

Taj Mahal
Il Taj Mahal – Foto: Manuel Giannantonio

Un viaggio in India è molto impattante, estremamente faticoso e lascia il segno

Tutti abbiamo sentito dozzine di testimonianze di viaggiatori. Alcune spaventano: gli odori nauseabondi, lo sporco, la folla, i venditori, la mancanza di comodità, gli sguardi insistenti, il rumore, l’inquinamento acustico dei clacson 24h su 24h… e le truffe!

Le truffe indiane, potremmo riderne per ore, purché non siamo noi i bersagli! Non perdono occasione per provarci e sanno essere molto asfissianti fino a farvi perdere la pazienza. Ho visto crollare persone molto zen. Altre invece sono estremamente opposte, si passa dall’esaltazione e la celebrazione dell’io alle pratiche di Yoga e di meditazione. In sostanza, è discordante anche nei pareri. Questo paese divide. C’è poco da fare. Di certo, non lascia indifferente nessuno.

Jama Mashid Delhi
Jama Mashid Delhi La più grande moschea dell’India sormontata da tre cupole di marmo nero e bianco – Foto: Manuel Giannantonio

L’India della spiritualità e delle leggende millenarie

Questo è un altro aspetto del Paese che mi ha particolarmente segnato. Prima di tutto, le religioni sono onnipresenti e creano un’atmosfera che non si trova da nessun’altra parte. L’India non è solo indù, ma anche molti musulmani, cristiani, giainisti, buddisti, sikh… Il che si traduce in un indescrivibile affollamento di templi di ogni tipo, altari e offerte ad ogni angolo di strada, cerimonie di cui non capiamo l’origine. Un tuffo in un mondo sorprendente, confuso, ammaliante, inquietante, sbalorditivo, sconcertante a volte anche divertente. Sapete, ad esempio, che gli indù bevono l’acqua del fiume più inquinato del pianeta (Il Gange che loro chiamano “Ganga”) perché lo considerano sacro e quindi infinitamente puro? O che esiste un tempio in India dove vivono più di ventimila ratti, coccolati e venerati?

L’India è anche storie incredibili di principi e principesse, maharaja e sultani, fortezze inespugnabili, templi maledetti, epiche battaglie tra eserciti di elefanti… Il più piccolo distretto, la più piccola rovina, ha la sua parte di storie poco plausibili, probabilmente enfatizzate dalle guide locali. Il territorio è pieno di giganteschi palazzi poco conosciuti, fatiscenti ma mantenuti male, invasi da pipistrelli e dai relativi odori, ogni anno di più ma con budget di manutenzione probabilmente inferiori a quelli di una semplice palazzina nel nostro paese.

 Il mausoleo di Gandhi
Il mausoleo di Gandhi – Foto: Manuel Giannantonio

L’India è altresì una distribuzione tristemente ineguale della ricchezza. Un’élite che si rotola nel lusso mentre, a pochi metri di distanza, un gruppo di uomini falcia il prato a mano, quasi ciocca a ciocca, per un salario misero. L’antico sistema delle caste mantiene un forte potere sulla società e determina le vite di molte persone, così come il potente patriarcato che degrada le donne a uno status subumano. Ci si augura che le cose possano migliorare ma sembra che la strada da percorrere sia lunga…

Antologia degli equivoci

Cos’altro è l’India? L’antologia degli equivoci:

• Non riuscire a decifrare il famoso cenno del capo che potrebbe significare o sì… o no…

• Decidere di fidarsi degli autisti di tuk-tuk che giurano che sì, certo, conoscono perfettamente questo posto, poi vederli chiedere indicazioni a tutti i passanti.

• Sentirti implorare “Fammi una foto con la tua macchina fotografica per favore”. Cosa faremo dopo con la foto? Non importa ! Gente che ti chiede continuamente selfie

• Al ristorante, trovi un cameriere che si siede e giocherella con le dita dei piedi per far passare il tempo tra due ordini.

• Farsi seguire silenziosamente dai commessi nei negozi, come le nostre ombre

• Passare una notte in treno con uno sconosciuto baffuto incollato a pochi centimetri dalla nostra testa, perché non c’è separazione tra le due cuccette superiori. Non sorprende che l’uomo abbia preferito fissare lo sconosciuto piuttosto che dormire.

• Dare calzini da lavare in albergo e non riprenderli mai più. La spiegazione: “Probabilmente sono stati rubati dalle scimmie! “.

• In un vicolo ti puoi trovare faccia a faccia con una mucca le cui corna toccano le due pareti.

• Fare la doccia con acqua fredda, con lo stesso secchio usato per tirare lo sciacquone.

• Pensare di morire 100 volte attraversando una strada da pedone

• Optare per una volta per un ristorante un po’ elegante e assistere a un concerto di rutti e schiarimenti di gola che si alzano dai tavoli vicini.

• Prendere un treno sovraffollato pieno di scarafaggi e topi (si topi) per 9 ore, arrivare con 2 ore di ritardo (già di per sé un lusso), essere gli unici a trovare un po’ strana la situazione.

• Assaggiare cibi assolutamente deliziosi! Menzione speciale per i curry del nord.

• Riprendere la fotografia di strada: il paese ideale per questo tra gli indiani fotogenici, il loro piacere di farsi fotografare, i colori, le scene di ogni genere. (Mc Curry la fa facile con tutto il rispetto). Questo è uno dei posti più incredibili per gli appassionati di fotografia.

• Scoprire lo yoga (Shantiiii…)

• Non stancarsi dei colori sgargianti dei sari delle donne indiane.

• Essere costretti a rallentare, decomprimere, filosofare, a rischio di impazzire.

• Sorprendentemente, malgrado tutte le sue contraddizioni estreme, innamorarsi del paese

Il palazzo del vento di Jaipur
Il palazzo del vento di Jaipur – Foto: Manuel Giannantonio

Il Triangolo d’oro

Questo paese però è colmo di meraviglie da osservare in cui immergersi e perdersi. Una su tutte naturalmente il meraviglioso Taj Mahal, (une delle sette meraviglie del mondo moderno che per molti è la ragione sufficiente per approdare in questo angolo di mondo). Un monumento all’amore dalla triste storia che ammalia già dal suo maestoso quanto suggestivo ingresso.

Per arrivarci occorre recarsi ad Agra, una città che campa sull’onda del suo monumento principe ma che non offre molto altro se non il forte rosso (da non perdere). L’arrivo a Delhi invece è stato impattante ma la città offre già moltissimo da visitare.

Personalmente, il monumento che più mi ha colpito è stato il Qutab Minar, un minareto dalla bellezza straordinariamente affascinante. Il complesso è famoso per l’omonimo Minareto, alto 73 metri, decisamente imponente e colpisce per la minuziosa lavorazione a rilievo dei suoi mattoni rossi. La costruzione del primo piano di questo monumento iniziò nel 1192 ad opera di Qutab ud Din Aibak, un ex schiavo turco-mamelucco che fondò il Sultanato di Delhi. I successori di Aibak aggiunsero altri tre piani al minareto, ma l’ultimo fu distrutto da un fulmine e poi ricostruito. I suoi cinque piani partono da una base di 14 metri, che si riduce alla fine a 2.7 metri. All’interno c’è una scala a spirale di 379 gradini. Uno scenario unico nel suo genere. Non ho mai visto altro di simile. A Delhi troverete anche il mausoleo dedicato al suo simbolo, Ghandi.

L’Amber Fort o Forte dell’Ambra

Da Delhi ci si sposta a Jaipur dove a dorso di un elefante, si entra lentamente all’interno del Forte Amber (Amber Palace). L’Amber Fort o Forte dell’Ambra per il suo caratteristico colore arancio-giallo, raffigura il glorioso retaggio di Jaipur nel Rajasthan, ed è stato inserito nel patrimonio mondiale dell’UNESCO dell’India. È una delle principali attrazioni turistiche, ed è rinomata per la sua architettura, intricati intagli, specchi e lavori in pietra sulle pareti e sui soffitti. Rappresenta la bellezza e la fusione di elementi indù e moghul.

A colpirmi moltissimo è stato il tempio delle scimmie Galwar Bagh a Jaipur. Uno scenario del tutto singolare in cui un tempio avvolto dall’acqua ospita migliaia di macachi, padroni incontrastati del luogo. Già qui, si mette piede nell’India vera.

Lungo la rotta di Jaipur è obbligatorio recarsi presso il Chand Baori di Abhaneri, il pozzo a gradini profondo 19,5m di profondità. Uno dei più grandi di tutta l’India con un preciso modello geometrico che lo rende tra i più belli e unico al mondo.

Jaipur invece capitale dello stato del Rajasthan, è famosa per i suoi edifici di arenaria rosa. Fondata dal re astronomo Sawai Jai Singh II (nel 1688) fu costruita secondo il Shilpa Shastra, l’antico trattato indù sull’architettura e la scultura.

Fathepur Sikri

Il luogo successivo è Fathepur Sikri che come tutte le città abbandonate ha un fascino del tutto particolare ma ispira una sensazione di tristezza per qualcosa di glorioso andato perduto. La tomba di Akbar alle porte di Agra è un altro luogo dal valore simbolico e spirituale molto forte. È l’ultimo monumento visitato prima di recarsi alla meraviglia che lo stesso Akbar ha dedicato alla moglie, il Taj Mahal.

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Il Chand Baori di Abahneri – Foto: Manuel Giannantonio

Taj Mahal

Situato ad Agra, nello stato di Uttar Pradesh dell’India settentrionale, Il Taj Mahal – il cui significato letterale è “Palazzo della Corona” oppure “Corona del Palazzo” – ha origine nel 1631, anno in cui, dando alla luce il suo quattordicesimo figlio, morì Arjumand Banu Begum, la moglie preferita dell’imperatore, conosciuta anche con il nome di Mumtaz Mahal che in persiano significa “la luce del palazzo”. È una delle sette meraviglie del mondo moderno che in quanto tale, merita una visita almeno una volta nella vita, non vi deluderà. In seguito, come già anticipato, ad Agra non si può non andare a vedere il forte rosso. Un complesso di palazzi che sorge non lontano dal Taj Mahal. L’ingresso dal quale entrano i visitatori è chiamato Amar Singh Gate.

Gwalior

Il monumento in programma dopo questa meraviglia è Gwalior: una città ricca di storia e una delle città più popolari del Madhya Pradesh, una caotica cittadina situata nella parte più arida della regione, circondata da un altopiano e dominata alle sue spalle da colline rocciose, sulla quale si arrocca a strapiombo la maestosa e omonima fortezza. Con gli straordinari forti e vie con palazzi intricati Gwalior è stata chiamata popolarmente come la città forte. Situata a 122 km da Agra, la visita di Gwalior è consigliata per la sua storia e l’architettura, oltre che ai suoi bellissimi templi antichi. Gwalior ha un proprio fascino distinto rispetto alle altre città dell’India.

Khajurao

Infine, prima di recarsi nella culla dell’India, Varanasi, giungo a Khajurao che è tra le mete turistiche più popolari. Nel 1986 grazie ai templi medievali induisti e giainisti, Khajuraho è stata inserita dall’UNESCO nell’elenco dei Patrimoni dell’umanità. Situati nello stato di Madhya Pradesh, a circa 620 chilometri a sud di Delhi, i templi di Khajuraho sono noti per le sculture erotiche che li adornano. Girare tra le sue mura resta un’esperienza del tutto singolare. Si ha la sensazione di essere sospesi in un’altra realtà.

Varanasi

Concluso il giro, mi attende l’esperienza che più di tutte mi incuriosiva in terra indiana, andare in treno da Khajurao a Varanasi. Con la partenza alle due di notte, si sale nel tipico treno indiano sovraffollato, ospitante scarafaggi e topi. Ci tengo a dirlo perché fa parte dell’esperienza ed è giusto che chi decida di intraprendere una simile avventura debba sapere cosa lo attende. Peraltro, le stesse condizioni igieniche all’interno non sono delle migliori ma trovo quasi scontato confermarlo. Naturalmente, il treno si presenta con quasi due ore di ritardo (tutto sommato dati gli standard un lusso). Si parte quindi compressi come sardine nelle cuccette indiane che comodissime non sono. Però proprio come il traffico caotico, il percorso scorre fluido come fosse caos organizzato. Si arriva quindi nella culla dell’India: la città di Varanasi nota anche come Benares nell’Uttar Pradesh (nord est dell’India), la più sacra delle città sacre dell’India. Affacciata sul Gange che qui rappresenta gli odori, i dolori, le speranze, le benedizioni…

Varanasi è una delle più importanti città e lungo le sue sponde è nata, creando una simbiosi importante con il fiume sacro agli indù, il Gange è adorato nella sua forma personificata della dea Ganga. Varanasi è infatti invasa ogni anno da milioni di pellegrini.

Secondo gli induisti il Gange fiume sacro, è l’unico posto della terra in cui gli dei permettono agli uomini di sfuggire al Samsara, un perpetuo ciclo di vita, morte e rinascita, da cui ogni anima è imprigionata. La morte è solo un anello della catena. Per questo motivo da secoli milioni di induisti vengono a morire a Varanasi o a far spargere le proprie ceneri. A regnare qui è la confusione, un caos difficile da digerire ma soprattutto da capire per noi occidentali. Percorrer i Gat (i famosi gradini lungo il Gange) è già di per sé un viaggio nel viaggio cosi come assistere all’esperienza della cremazione dei corpi. Personalmente, un’esperienza vissuta con distacco ma che può essere molto forte.

Varanasi è davvero un luogo speciale, dove si percepisce un’energia vibrante ovunque, un luogo che colpisce, dove la vita e la morte si intrecciano ad ogni passo, dove tutto sembra in sospensione.

Non posso concludere questo racconto senza le parole di chi, a mio parere, ha descritto così efficacemente l’India:

«Chi ama l’India lo sa: non si sa esattamente perché la si ama. È sporca, è povera, è infetta; a volte è ladra e bugiarda, spesso maleodorante, corrotta, impietosa e indifferente. Eppure, una volta incontrata non se ne può fare a meno. Si soffre a starne lontani. Ma così è l’amore: istintivo, inspiegabile, disinteressato.
L’India, a meno di odiarla al primo impatto, induce presto a questa esaltazione: fa sentire ognuno parte del creato. In India non ci si sente mai soli, mai completamente separati dal resto. E qui sta il suo fascino.
In India si è diversi che altrove. Si provano altre emozioni. In India si pensano altri pensieri.
In India ci si adatta, si accetta, e presto si entra in quella logica per cui niente è davvero drammatico, niente è terribilmente importante.
Niente qui viene completamente dimenticato e sepolto; niente viene mai distrutto e sostituito col nuovo. L’India è un’arca di Noè in cui anche ciò che da tempo è morto altrove sopravvive. Qui sono conservati i semi di tutto il meglio che l’uomo abbia mai pensato».

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