Nuova Delhi è la popolosa capitale del subcontinente indiano, sede del governo nazionale e principale distretto economico del paese. Qui hanno sede numerose aziende multinazionali che stanno spingendo questa grande città verso una crescita economica tra le più importanti del pianeta.
Delhi non è considerata una meta turistica, frequentata prevalentemente da uomini d’affari che qui si recano e sostano prevalentemente per lavoro, i turisti si fermano al massimo una notte per poi partire alla scoperta dell’India del Nord. Io decido di rimanere a Delhi per sei giorni per poi proseguire verso l’Uttar Pradesh e il Rajastan, sperando di poter capire meglio questa città che da tempo suscita in me un fascino inspiegabile.
Chemsford Road è la via che corre parallela alla stazione dei treni più grande della città, dalla quale è possibile accedere ai treni che viaggiano per il resto della regione. Vicino alla stazione il traffico è allucinante e assordante come in tutto il resto della città, la zona pullula di agenzie di viaggio dove è possibile acquistare biglietti del treno o escursioni di ogni genere. La mia sistemazione si trova poco distante da qui, nel quartiere di Parangaji, famoso ai viaggiatori zaino in spalla che scelgono questa zona per la posizione strategica ma sopratutto per i costi veramente abbordabili degli hotel (io ho speso circa 15 euro a notte per una camera doppia con bagno privato).
Questo quartiere è un dedalo di viuzze strette e affollatissime dove intere famiglie vivono a porte aperte consumando i rituali giornalieri tutti insieme. C’è la mamma che lava i panni sul pavimento di casa, i bimbi che fanno il bagnetto in una vecchia tinozza, gli anziani che giocano a carte intorno ad un piccolo fuoco di fortuna accesso per scaldarsi, le vecchie signore della famiglia intente a preparare ghirlande di fiori per fare omaggio alla dea Kalì.
Qui tutto sembra così distante dalla Nuova Delhi di Connaught Place, la parte più moderna della città, distante solo pochi isolati, dove è possibile trovare le grandi marche della moda internazionale, qui passeggiano giovani donne indiane vestite all’occidentale che si collegano ad internet in uno dei tanti caffè, fuori dai negozi ci sono tanti bambini mendicanti che ti inseguono numerosi per poterti pulire le scarpe in cambio di qualche rupia.
Questa modernità mi sconvolge e preferisco tornare a quella più vera, seppur puzzolente, India del Parangaji, curiosando tra i numerosi negozietti della zona faccio acquisti molto vantaggiosi, compro ben otto paia di coloratissimi pantaloni sari al costo di 150 rupie, ovvero poco più di 2 euro.
Decido di visitare la parte antica di Delhi spostandomi con uno dei tanti tuk-tuk, l’ape car tanto amato in oriente, pattuendo il prezzo dello spostamento prima di salire a bordo. Purtroppo il costo aumenta una volta a destinazione e il simpatico conducente indiano mi prende ben 200 rupie dandomi come giustificazione la non facile comprensione dell’inglese. Da quel momento in avanti, per evitare di essere fregata ancora ,utilizzo un sistema che si rivela vincente: un pezzo di carta sul quale scrivo, insieme al proprietario del tuk tuk ,il prezzo della corsa.
Il Forte Rosso è uno dei monumenti principali della vecchia Delhi. Costruito dall’imperatore moghul Shah Jahan, il grande costruttore della dinastia, la fortezza si erge su un grande fossato asciutto. Intorno a quest’area immensa è possibile trovare templi indù e mercati locali che vendono tablet pc e telefonini di tutte le marche.
Sulla via del ritorno durante le tante soste dovute dal traffico convulso che mi costringono a stare stretta tra una miriade di automobili e motorini maleodoranti, il mio sguardo va su di una discarica a ridosso di un cavalcavia, in questo cumulo di rifiuti si aggirano cani e persone intente a riempire enormi sacchi con bottiglie di plastica che poi saranno portate in piccoli magazzini di raccolta dove vengono pagate in base al peso, è probabile che le rupie corrisposte non siano sufficienti neanche a mettere insieme la cena, scoprirò solo dopo qualche giorno che proprio fuori il mio hotel esiste uno di questi magazzini di reciclo.Queste immagini di ordinaria povetà le si vede spesso in televisione ma quando le si ha difronte fanno male sopratutto se si pensa che ad esserne coinvolti siano bambini che avrebbero diritto ad un’esistenza dignitosa.
Uno degli aspetti più importanti di un viaggio in India è dato dal cibo che qui è vario e saporito, forse anche troppo per noi italiani. Io non mangio carne, proprio come buona parte degli indiani, e adoro le spezie, quindi per me il cibo indiano è una vera e propria goloseria. L’offerta gastronomica è vastissima, disponibile sia nei ristoranti più convezionali che per strada presso i numerosi venditori ambulanti.
Personalmente non ho mai avuto problemi con il cibo ma è bene prendere alcune precauzioni, come quella di assumere dei fermenti lattici già prima di partire e di evitare sempre e ovunque di mangiare cibi crudi. La frutta, però, è sempre stata la mia succosissima merenda, banane e arancie sono sempre reperibili nei mercati locali e non comportano alcun rischio igenico. Al contrario i succhi spremuti non sono sicuri poichè allungati con acqua.
Il riso saltato con le verdure e i semi di coriandolo è stato uno dei miei piatti preferiti, come gli aloo tikki: polpettine di patate fritte nell’olio bollente e immerse in una salsa di curry piccantissima ma ottima. Il chapati, pane indiano cotto nel tandoor – un forno d’argilla cilindrico – è sempre accompagnato con ottime verdure e legumi, e poi non si possono dimenticare i samosa, popolare spuntino pakistano molto diffuso in India, una sorta di fagottino fritto ripieno di verdure e spezie.
In conclusione posso affermare che Nuova Delhi è una città piena di contraddizioni, caotica e inquinatissima, ma merita di essere inserita come tappa fondamentale di un viaggio volto a comprendere l’India nelle sue varie sfaccettature.
Lavoro nel settore turistico, viaggiare è la grande passione della mia vita, uno strumento di crescita spirituale che permette di apprezzare le piccole cose della vita. Amo le mete meno battute e ho un debole per i paesi orientali e le città europee.