Un inverno scarico, piatto e sedentario; è stato lui a partorire questo piccolo, medio e forse anche grande progetto.
Desideravo e immaginavo di tornare a viaggiare da solo in paesi nuovi e sconosciuti. Spinto da racconti di una terra verde incastrata fra Paesi diversi non sempre amici fra di loro; una terra, secondo la leggenda, che Dio stesso aveva originariamente tenuto per sé e che poi decise di donare ai georgiani colpito dalla motivazione data per giustificare il loro ritardo; stavano bevendo e brindando alla sua salute.
Ho fatto sei settimane in giro in moto, sedici giorni veramente on the road, due settimane lavorando da remoto a Tbilisi e girovagando il weekend, poi in tre giorni sono arrivato a Istanbul e ci sono rimasto due settimane sempre lavorando.
Ma prima bisognava prepararsi, partire e anche arrivarci passando altri due paesi. Pochi giorni prima della partenza me la stavo facendo un po’ sotto, da lì in poi é stata tutta in discesa.
Volevo iniziare il viaggio nel nord della Grecia, sarei ripassato in alcuni posti dove ero già stato, le Meteore, e avrei fatto un primo test in fuoristrada sul monte Olimpo che non avevo mai visto.
Sono stato via un mese e mezzo, ma sono stato tirato con i tempi per tutto il viaggio, a partire dalla Grecia dove alla fine ho fatto solo tre notti.
“Una faccia, una razza” me lo sono sentito dire che ero ancora in traghetto, incredibile!
Me lo disse un ragazzo greco che lavora in UK e in pochi giorni di moto era già lì, pronto per tornare a casa per l’estate. Credo che lo disse a me e altri due italiani, una coppia di sessantenni (lui di Como, lei siciliana) in mezzo ad una discussione a tema cibo; io e lui stavamo parlando in inglese e la coppia pur non parlandolo hanno capito il tema e hanno fatto qualche commento in italiano senza sapere che io capissi. Da lì ci siamo affezionati e abbiamo passato le restanti ore assieme, per lo più a parlare sempre di cibo da buoni mediterranei.
Nella piccola Igoumenitsa la prima cosa che feci fu ordinare un pita gyros, il proprietario della taverna scelta a caso é motociclista e già mi fa sentire a mio agio. La pita oltre a sapere di vero tzatziki, nella mia testa sapeva di Rebetiko, di cicale e di mare.
Ma il programma poi prevedeva montagna e monasteri. Gli ortodossi in Grecia e Georgia mi hanno dimostrato di tenere molto alla posizione di costruzione dei propri monasteri. Qualcuno può dire che avvicinarsi così tanto a Dio ti allontani dalle persone, ma tant’è che ora possiamo godere di questi monasteri costruiti nei posti più impensabili.
Dopo qualche avventura con i locals approccio il monte Olimpo cercando di arrivare al rifugio sotto la cima in moto. Il setup e il peso di moto e bagagli già mi fa capire che il fango é off-limits per me, ma appena salgo un po’ la strada si fa di pietra e sassi e riesco a salire.
Purtroppo però veramente nulla posso contro la neve che a inizio giugno ancora blocca gli ultimi km di strada.
Torno indietro, pranzo e visito il lato più accessibile e frequentato del monte Olimpo, lato est verso il mare, dove si possono vedere alberi di olivo ai piedi di una montagna da 3000 metri.
Lì il commento sprezzante sui turchi fatto da un motociclista greco mi rimarrà in testa per un po’, ma lo capiremo più avanti.
Arrivo la sera a Salonicco, dormo con Airbnb a casa di una signora che sa solo russo e greco e che pretendeva che mettessi la moto dentro l’atrio del condominio non facendo passare più nessuno.
Passeggio, osservo e mangio, non mi ha entusiasmato Salonicco, vorrà dire che toccherà tornarci!
Turchia
Ero partito pronto a innamorarmi della Georgia, ma alla fine mi sono quasi innamorato della Turchia.
Dovevo essere lì solo di passaggio, la Cappadocia l’avevo inclusa all’ultimo solo perchè “dovevo” e invece mi ritrovo ora a casa a parlare più di Turchia che di Georgia e la Cappadocia è stata un’esperienza incredibile.
Non riesco però a farmi completamente travolgere entusiasta dalla Turchia, alcune cose mi fanno arrabbiare, altre mi danno serenità. L’ho viaggiata assente da qualunque giudizio maturato da quello che possiamo pensare della sua politica, e qui proverò a continuare a parlarne in questo modo.
Un grande paese laico, mussulmano, porta che dall’Europa apre la strada verso l’Asia e, per me, il Caucaso.
Grande in primis come superficie, attraversarlo in moto vuol dire fare tanti chilometri spesso in mezzo al nulla; mi immagino l’Anatolia centrale come un primo assaggio di quello che un viaggiatore può vivere continuando verso est lungo la via della seta.
Ma é un grande paese anche politicamente, importantissimo soggetto in politica estera, ricco di materie prime; ma al tempo stesso ora testimone di una forte crisi democratica ed economica.
La storia della Repubblica Turca inizia dopo la prima guerra mondiale, dopo la sconfitta dell’Impero Ottomano, quando Atatürk guidò la guerra d’indipendenza turca contro la Grecia. Combatterono da soli e vinsero (con il supporto logistico dell’URSS), la neonata repubblica fiorì con il kemalismo di Atatürk; secolarizzazione e quindi separazione fra potere politico e religioso, nazionalismo e statalismo.
La Turchia è un paese senza grandi alleati naturali, che si è guadagnato la sua libertà ed ha sviluppato un proprio sistema istituzionale con grandi riforme che avevano il compito di spazzare via secoli di sultanato ottomano. Per questo è un grande paese che pretende di parlare con i big del pianeta e crede di non essere secondo a nessuno, nemmeno in termini , per così dire, religiosi.
Paese ricco di persone disponibili e gentili, ma l’aggettivo che più credo si addica a chi ho conosciuto on the road è premurose.
“Il miglior paese dove siamo stati é la Turchia, per le persone” mi disse una coppia tedesca che viaggiava il mondo da 16 mesi. Come mi sono sentito accolto in Turchia in alcune situazioni (soprattutto nel nord-est) non mi sono mai sentito in viaggio, da nessuna parte.
Eppure è anche un paese dove la laicità è sempre più sotto attacco, un paese con rapporti non proprio trasparenti contro i curdi e di negazionismo verso quello fatto agli armeni. Ostaggio di un uomo di settanta anni.
Un paese con risorse naturalistiche incredibili, ma spesso sporco e pieno di immondizia. Un paese che mantiene vive storie e luoghi che si intrecciano con tutte le religioni monoteiste, ma che al tempo stesso appena può ha cercato di convincermi che il mio modo di intendere Dio fosse sbagliato e il loro corretto.
Forse è anche per queste contraddizioni, o forse per il suo nazionalismo storico, che non è ben vista dai Paesi vicini. In Grecia se dici che stai andando in Turchia ti diranno che le strade sono terribili e si raccomanderanno di stare attento ai turchi perché sono furbi; ovviamente sono pregiudizi senza fondamento. Ma anche in Georgia quando chiedevo cosa pensassero dei turchi c’era sempre un po’ di diffidenza nelle loro parole.
In ogni caso è da tornare, assolutamente, manca troppo da vedere e da conoscere. Non ho avuto nemmeno il coraggio di approfondire con nessuno il tema dei curdi.
Ho avuto modo invece di parlare più volte di Erdoğan con chi incontravo, sostanzialmente l’ho chiesto sempre a chiunque con cui avevo iniziato un minimo di conversazione 😁. Principalmente ho trovato oppositori dell’attuale presidente, soprattutto perchè molto delusi dalla situazione economica e in parte preoccupati dal suo rapporto con la religione e come questa si mischia con le istituzioni. Lo si associa ad un ritorno all’ottomanesimo contrapposto al kemalismo su cui si fonda la repubblica Turca. Chiaramente il discorso religioso si mischia alla progressiva perdita di garanzie democratiche dovuta alle riforme di Erdoğan, ma a nessuno ho mai sentito preoccuparsi specificatamente di questo aspetto.
Mentre una sola volta ho parlato con un conservatore sostenitore di Erdoğan. Laureato in relazioni internazionali, evidentemente molto colto e intelligente. Eppure considera Erdoğan l’unica speranza per la Turchia di potersi ritagliare il posto che le spetta nel mondo. Fortemente anti USA, veramente tanto, in pratica qualsiasi cosa che non funziona è sempre colpa degli Stati Uniti; mi ha dato una sua versione molto interessante del fallito golpe, dove in pratica Erdoğan sapeva già tutto perchè Putin lo avrebbe avvisato in anticipo di qualche giorno, inutile dirlo il golpe era ovviamente organizzato dagli USA.
Non era mia intenzione approfondire il tema, ma abbastanza facilmente e in autonomia è arrivato a sostenere una posizione molto vicina al negazionismo del genocidio Armeno; sosteneva che forse qualcosa è successo, ma non per colpa della Turchia, più probabilmente a suo avviso qualche gruppetto fuori controllo si è lasciato sfuggire la mano.
Credo che questo negazionismo sia in realtà abbastanza diffuso in Turchia, probabilmente perché studiato a scuola, non c’è quindi purtroppo da stupirsene, ma come in uno dei migliori plot twist sono riuscito a farmi dare un giudizio anche sul genocidio a Srebrenica, in Bosnia, probabilmente perché era proprio il giorno della memoria di quel massacro, l’11 luglio. Plot twist perché quel massacro fu condotto da serbi nei confronti di bosniaci mussulmani, eppure lui, mussulmano turco conservatore, considera con ogni probabilità anche quel genocidio per lo più montato ad arte.
Ero talmente sorpreso che non sapevo che altre domande fargli a riguardo.
Abbiamo però anche parlato di Siria, a suo avviso la Turchia avrebbe dovuto invadere immediatamente la Siria, prima della Russia. In questo modo avrebbe messo su un governo sunnita e creato una vera unione fra Turchia, Siria e Azerbaigian. Penso che questa sua posizione dica tantissimo non solo sulla sua posizione, ma su come intendano la politica estera i conservatori turchi.
Il rapporto che ho avuto con la religione in Turchia è stato molto interessante, la prima notte ero ospite di una coppia di 50-60 anni e dopo cena mi chiedono se voglio un po’ di raki. Ovviamente rispondo di si facendo notare le mie origini venete, ma la cosa interessante è stato che subito la moglie ha fatto brindisi con me, ma il marito no; alla mia richiesta del perché il marito non bevesse con noi mi è stato risposto che doveva pregare prima, poi avrebbe bevuto.
Un paio di volte poi ho parlato con due persone molto religiose, il padrone di casa, ma anche una ragazza che entrando nella moschea di Solimano mi ha placcato chiedendomi se volessi avere una lezione sull’Islam. Non me lo sono fatto ripetere due volte.
Inutile ora che mi dilunghi in banalità, la ragazza mi fece una lezione teorica interessantissima, sia di tecnicismi sia di rapporto fra Corano e scienza, e mi spiegò come la fede dell’Islam si basi su sei principi Alla fine della spiegazione mi disse, allora, sei d’accordo con questi sei principi? Non ti sembrano ragionevoli? Di fatto era un modo per dirmi: “vedi, anche tu puoi essere mussulmano”! Però io ho riso e ho risposto “keep calm” 😅.
Il padrone di casa è stato invece un po’ più duro sugli usi e costumi occidentali e sulla superiorità di quelli Turchi/Islamici. Se è sicuramente vero che noi occidentali mediamente ignoriamo quanta diversità ci sia nel mondo islamico è anche vero che pregiudizi e semplificazioni sono facili da fare anche dall’altra parte. Ricordo che si soffermò sul sesso prima del matrimonio, assolutamente vietato per lui, ma ignorava che è così anche secondo le regole del Vaticano.
Un altro forte motivo di superiorità riguarda il Corano stesso, sono molto fieri dell’immutabilità del testo che sarebbe ancora quello originale rivelato direttamente da Dio e mai modificato, per questo ogni buon mussulmano dovrebbe imparare l’arabo e il Corano a memoria, cosa particolarmente difficile per i Turchi che parlano una lingua diversa.
Eppure sul rapporto fra persone e religione i Turchi mi hanno del tutto stupito, probabilmente per colpa mia. Più volte con entrambi ho cercato di polemizzare e infilarmi sul discorso libertà femminili e non; obbligo di indossare o non indossare l’hijab (o altri capi), doveri e diritti eccetera… In particolare chiesi al proprietario di casa cosa pensasse quando passeggiando a Kadıköy vede tutte quelle donne vestite in modo molto libertino.
Entrambi in maniera molto netta mi hanno detto che il rapporto fra persona e Dio è strettamente personale e nessuno deve essere giudicato per questo. Nel Corano c’è scritto che la donna deve avere il capo coperto, ma non per questo può essere obbligata in alcun modo, il rapporto fra lei e Dio lo può decidere solo lei. Anzi, il proprietario di casa mi disse che vedere donne vestite in maniera molto provocante sarebbe una prova, un test, che Dio gli manda e che deve superare pensando esclusivamente ai fatti suoi, senza giudicare gli altri.
Alla fine sono tornato a casa con una copia del Corano in italiano regalata, ma si sono raccomandati di non darla in giro, era stata data specificatamente a me.
Da un punto di vista strettamente turistico ho dovuto saltare alcuni dei punti di interesse più famosi localizzati al lato ovest del paese; ho fatto il nuovo ponte sullo stretto dei Dardanelli, visitato Bursa che mi ha dato un piccolo shock, passato per il lago salato Tuz Gölü, speso due notti incredibili in Cappadocia fra ostelli scavati nella pietra e campeggiato wild, trekking e musei all’area aperta (consigliatissima!). Poi mi sono spostato a sud-est verso Tocat, visitato il monastero di Sumela e il castello di Zilkale.
Georgia
Avevo sentito parlare tanto della Georgia, nella mia bolla di viaggiatori selvatici è abbastanza quotata.
Paese ex URSS, ma proiettato in Europa; protetto da catene montuose imponenti, famoso per i suoi panificati e il suo vino.
Tutto vero. Le tracce di varie dominazioni, fra cui quella sovietica, sono evidenti. Le montagne sono spettacolari e le esperienze passate attorno ad una tavola georgiana sono tipicamente memorabili.
Eppure forse le aspettative erano un po’ troppo alte, succede. Principalmente mi aspettavo più autenticità in alcuni posti di montagna, nella realtà invece il turismo è arrivato ed è ben presente, nonostante la condizione romanticamente pietosa delle strade e il loro modo di guidare la macchina veramente da folli. (In passato mi avevano avvisato della guida dei turchi, dei vietnamiti, degli albanesi… ma nessuno mi aveva veramente messo in difficoltà fino ad allora. I georgiani si)
La colpa è principalmente mia, della mia aspettative, non è colpa della Georgia se riesce ad attirare tante persone; e non è colpa della Georgia se pensavo di arrivare in posti particolarmente isolati, quando invece ho solo grattato la superficie di tutto quello che c’è da esplorare.
Eppure nutro lo stesso un certo disappunto su come sia disarmonico il modo di costruire che ho visto in alcuni villaggi o piccole cittadine di montagna. In particolare Mestia e Stepantsminda mi hanno un filo deluso entrambi a modo loro.
Chiariamoci, viaggiare è scoperta della verità e c’è da dire che a pensarci un attimo questa loro poca sensibilità per il senso di armonia architettonica è facilmente spiegabile.
Conquistata innumerevoli volte, dominata e rasa al suolo la capitale. Persiani, bizantini, arabi, mongoli, iraniani e infine russi, tutti erano interessati dalla sua posizione crocevia fra Europa e Asia e collegamento con la via della seta.
Impossibile che tutto ciò non abbia condizionato l’architettura, nel bene e nel male gli stili presenti a Tbilisi, come nel resto del paese, sono numerosi e purtroppo non rimangono molti resti della storia antica perché vittima del passato tumultuoso del paese. Questione peggiorata anche dall’ultimo periodo di influenza sovietica che tendeva a distruggere e ridipingere resti storici.
Oltre quindi ad un problema pratico di cosa veramente sia rimasto intatto nei secoli, penso ci possa essere anche un problema culturale, tutto questo turbinio e instabilità si ripercuote probabilmente anche nelle teste dei georgiani oggi e in come intendono costruire attorno a quello che di storico è rimasto. Non posso non pensare a quel gioiello assoluto che è la città vecchia di Ushguli circondata da casette costruite a caso e ombrelloni della coca cola.
Quando invece la questione si fa seria, più isolata e più avventurosa il paese riesce a regalare quello che mi aspettavo. Ho adorato il Tusheti, anche se sono arrivato “solo” ad Omalo, come anche l’improvvisata nella valle di Trusso che è stata epica. Qui le strade sono veramente toste e il turismo ancora non modifica troppo l’aspetto del luogo.
Con i turchi ho condiviso alcuni momenti incredibili come mai mi era successo in viaggio, ok, non vanno fatti confronti perchè Turchia e Georgia sono paesi profondamente diversi, ma capirete che passato il confine abbia dovuto un po’ ri-abituarmi ad un modo di fare inizialmente più distaccato, forse europeo. Non era raro che non riuscissi del tutto a farmi capire dai georgiani, io facevo domande, ma loro si giravano dall’altra parte.
Se però per qualche motivo si riesce a superare quella barriera iniziale o se addirittura si riesce a mettere le gambe sotto una tavola georgiana ecco che il paese e le persone che lo abitano riescono a dare tutte se stesse tirando fuori la loro goliardia e la loro spensieratezza.
Se poi la riserva di vino o chacha è sufficiente allora stai certo che sarà un’esperienza epica.
VI ricordate le parole di diffidenza che ho sentito dire dai georgiani nei confronti dei turchi? I georgiani anche in questo caso si fanno adorare, perché alla mia domanda sui turchi fra i mille motivi che il mio interlocutore poteva scegliere si è lamentato del fatto che non mangiano maiale e soprattutto non bevono vino, come se queste fossero le cose veramente importanti e di cui avere paura (c’è da dire che eravamo a tavola in un’azienda vinicola, Baia’s Wine).
Non per nulla la madre della Georgia, una statua alta venti metri che si trova a Tbilisi, a destra impugna una spada, nel caso tu arrivassi come nemico, mentre a sinistra una coppa di vino, nel caso tu arrivassi come amico.
In realtà la Georgia mantiene rapporti diplomatici amichevoli con tutti, solo con un paese che ben conosciamo ha forti problemi, la Russia. A riguardo le uniche cose viste con i miei occhi che posso raccontare sono le innumerevoli bandiere ucraine e anche qualche europea sfoggiate in tutto il paese, gli innumerevoli insulti scritti sui muri alla Russia, ma soprattutto a Putin. Piazza della Libertà in centro a Tbilisi che ora mostra una statua di San Giorgio rivestita d’oro, mentre fino al 1991 si chiamava piazza Lenin. Non dimenticherò poi la fermezza usata per definire il regime russo da un gentilissimo e altrimenti tranquillissimo ragazzo georgiano che ci ha fatto il free walking tour di Tbilisi.
L’odio verso la Russia non è astratto e non riguarda solo l’appoggio all’Ucraina; ovviamente nasce e riguarda soprattutto le due repubbliche auto dichiaratesi indipendenti dalla Georgia con l’appoggio della Russia (e riconosciute quasi da nessuno), l’Abcasia e l’Ossezia. Sono due pezzi di terra in pieno territorio al nord della Georgia al confine con la Russia, ma abitati da maggioranze di etnia abcasa da una parte e osseta dell’altra.
I georgiani dicono apertamente che la Russia sta occupando parte del loro territorio. La storia delle due repubbliche è dolorosa, i primi problemi nascono immediatamente dopo l’indipendenza della Georgia, nel ’92-’93 ci fu la prima guerra abcaso-georgiana, nel 2008 nel giro di un mese inizia e finisce la seconda guerra nell’Ossezia del sud e Tbilisi dovette resistere al bombardamento russo che arrivò molto vicino ad entrare in città.
Sono passato vicino ad entrambe le due repubbliche, l’Abcasia l’ho vista dal lato georgiano del fiume Enguri che scende dallo Svaneti e su cui fu costruita la seconda diga ad arco più grande al mondo nel 1978; tutt’ora il 40% dell’energia prodotta dalla diga è a disposizione dell’Abcasia avendo parte dell’impianto nel suo territorio. L’Ossezia invece non l’ho vista veramente, ma alla fine della valle di Trusso, nel Kazbegi, letteralmente in mezzo al nulla, dopo qualche risorgiva, qualche casa di allevatori, qualche mucca e cento metri di pantano sono arrivato al forte Zakagori e lì con un 4×4 c’erano due militari georgiani che fermavano chi provava a proseguire sulla strada. Forse, se non fossero stati impegnati a parlare in russo con un ragazzo che probabilmente voleva passare, avrei provato a scambiarci qualche parola.
Da poco conoscitore della zona durante la prima settimana di viaggio in Georgia non facevo che continuare a notare tutte le similitudini che il Caucaso mi sembrava avere con i Balcani e quanto il concetto di “balcanizzazione” qui sia altrettanto forte.
In realtà poi mi hanno spiegato che è ben più forte, o meglio, ha origini leggermente diverse. Nel Caucaso possiamo vedere non solo un alto numero di etnie diverse, ma quanto queste etnie siano differenti fra loro, per cultura, usanze e soprattutto lingua. Basti pensare come il georgiano abbia un suo alfabeto unico.
La religione invece qui non spiega sempre tutto, in parte perché naturalmente depotenziata in tutte le repubbliche ex–sovietiche, in parte perché le differenze possono essere anche tante altre, in parte perché questi tre paesi caucasici Georgia, Armenia, Azerbaigian, spesso fanno parte di uno scacchiere molto più grande che facilmente coinvolge altri big del mondo… Turchia, Russia, Iran... Lo sapevate che gli azeri sono turcofoni e sostanzialmente turchi? E che l’Iran ha storicamente ottime relazioni con l’Armenia? Io lo ignoravo, ma viaggiare alla fine è una scusa per scoprire anche queste cose.
Tbilisi
Tiblisi è stata casa per due settimane.
Già dopo tre o quattro giorni verso le 18, alla fine della giornata di lavoro in smart working, uscendo dal monolocale che avevo preso su Airbnb provai chiaramente una sensazione di casa, come se già conoscessi tutto del quartiere, come se mi fossi integrato, come se lo sentissi mio.
È una sensazione, anzi forse un sentimento, che già conoscevo quando mi sono trasferito per un po’ di tempo in città diverse; non é solo un sentirsi bene, ma é più che altro sentirsi nel posto giusto ed é come se ti sentissi pronto e preparato per gestire la città in cui sei. Riesce ad essere così forte forse solo di fronte a città con milioni di persone, in parte può succedere anche in viaggio on the road mentre affronti paesi nuovi di cui i primi giorni stai ancora capendo usi e costumi, ma cambiando ogni giorno luogo l’effetto è molto più sfumato.
Tbilisi poi può inizialmente ingannare, perché sembra in tutto e per tutto una città europea magari est europea, e in effetti lo é, ma più la si studia, più la si squadra, più si capisce che ha tutta una serie di sue particolarità uniche.
Abbiamo già parlato dell’architettura, incasinata, sovrapposta, strana, piena di stili diversi e difficilmente inquadrabile. Chiaramente sono ben presenti , soprattutto in periferia, caratteristici palazzoni brutalisti sovietici, ma camminando per la città vecchia si possono vedere anche edifici neoclassici di fine ‘800 di cui georgiani vanno fieri. Fino ad arrivare ai bagni termali in pieno centro costruiti su stile centro–asiatico.
La cosa più divertente da fare a Tbilisi camminando per le sue vie è sbirciare dentro i cortili delle case o buttare l’occhio sui caratteristici “scantinati” più bassi della strada, presenti praticamente in qualunque palazzo e che possono essere adibiti agli usi più disparati. I cortili in particolare sanno di eleganza sovietica in piena decadenza, oggetti anni ’80, porte di legno intagliate e piante di vite che si inerpicano sui palazzi.
La popolazione della Georgia è abbastanza giovane, da solo non mi sono azzardato troppo (solo un po’) a vivere la vita notturna della città, ma l’impressione è che sia molto viva e un punto di riferimento. Anche se non è di mio interesse ho scoperto che esiste un locale techno, Bassiani, conosciuto e amato internazionalmente.
Io ho preferito frequentare i ristoranti e le bettole tradizionali, credo farò un post dedicato al discorso cibo, ma a Tbilisi la proposta è varia e molto valida. Dalla bettola appunto, alla catena ben organizzata e comunque con proposte molto tradizionali ai locali un po’ hipster ricavati da carinissimi cortili.
A Tblisi, come in tutta la Georgia, i panifici sono la perfetta meta di pellegrinaggio di qualunque viaggiatore ad ora di pranzo, sono economici e molto ben forniti; non sono così convinto in 3 settimane di aver assaggiato veramente tutti i tipi di khatchapuri, credo me ne manchi qualcuno di qualche cucina tradizionale regionale.
Istanbul
Tutte le città hanno le loro diversità e particolarità, ma solo alcune sono veramente uniche al mondo, che non vuol dire le più belle, quello lo lasciamo alle guide turistiche o agli enthusiast per forza.
Unica vuol dire irripetibile, straordinaria. La regina di tutte è Venezia, penso sia abbastanza scontato.
Non so se Istanbul possa essere già in seconda posizione, ma sicuramente ci ricorda che l’unicità su cui una città si può sviluppare è facilmente legata alla sua posizione geografica e alla sua composizione.
Dalla sua geografia ne conseguono implicazioni sociali e storiche che cambiano l’aspetto e la vita della città.
Su questo Istanbul è un esempio da manuale, capitale di quattro imperi diversi, porta fra Europa e Asia, l’unica città al mondo che si sviluppa fra due continenti.
Io ci ho passato due settimane, ricordo quando anni fa guardavo la cartina e mi stupivo di come la Turchia potesse avere quel pezzo di terra in Europa; non ne sapevo nulla, lo vedevo come qualcosa di lontano, inafferrabile. Alla fine ci sono stato e ho visto cosa c’è!
A Istanbul ci sono entrato però dal lato asiatico, un arrivo tranquillo con poco traffico e molto stupore. Ho pernottato (e lavorato) due settimane a Kadıköy, uno dei quartieri con uno stile fra i più “occidentali” di Istanbul.
Cosa voglia dire “occidentale” e cosa voglia dire “città europea” (parlando di Tiblisi) me lo sono chiesto per tutto il viaggio, voglio dire sono due termini che vengono naturali, ma cosa si intende esattamente? Sarebbe da parlarne.
Scelsi quel quartiere perché non trovai alcun modo di tenere la moto al chiuso a prezzi ragionevoli, difficilissimo trovare case a Istanbul con cortile, un giardino ne tantomeno un garage. Così, sentendo un paio di istambulioti (giuro si dice così, ho googlato!) conosciuti in viaggio mi consigliarono quella zona per lasciare la moto all’aperto; fortunatamente mi è andata bene.
La seconda notte trovai una Africa Twin vecchia (tenuta benissimo) legata ad una rete e ho pensato che l’unione facesse la forza e l’ho sempre parcheggiata di fianco. In più l’angolo era chiaramente territorio di una colonia di gatti, i quali sappiamo tutti conquisteranno il mondo, potevo dormire sonni tranquilli, nessuno avrebbe avuto il coraggio di fare casino nel loro territorio.
Per la prima volta in tutto il viaggio faceva caldo e in casa l’aria condizionata era rotta, dettaglio omesso dal proprietario. Devo dire che anche questa è stata una piccola sfida felicemente accettata ad un certo punto.
Uscivo di casa però solo dopo le 19 per non morire e cercavo di sfruttare le rimanenti ore di luce girando tutti i principali quartieri di Istanbul.
È incredibile quanto possa cambiare l’aspetto di Istanbul al cambio di quartiere, se ti teletrasportassi da Kadıköy e Balat per la prima volta non diresti mai di essere sempre nella stessa città. Persone, modi di vestire, modi di vivere la vita all’aperto, negozi, incidenza di luoghi di culto ecc… è tutto nettamente diverso.
Kadıköy e Moda, due quartieri vicini, sono ricchi di locali dove bere e mangiare, la vita sia di giorno che di notte è frenetica, il numero di pub dove bere birra è il più alto che abbia mai visto in Turchia, certo non mancano le meyhane e il kebab, nemmeno i bar dove bere il çay o posti tradizionali dove mangiare il lahmacun. Però è un quartiere moderno e pieno di murales, ho trovato anche la pizza waffle, e molto giovane, il modo di vestire è totalmente libero e anche libertino, più che nella mia città natale, Padova.
Piccolo inciso sul discorso alcool in Turchia; ce ne è molto poco, sostanzialmente birra e vino ci sono solo nei posti turistici o in qualche bar specializzato, tendenzialmente un po’ nascosto e buio. L’unica vera tradizione legata all’alcool è rappresentata dalla raki bevuta tipicamente nelle meyhane. La raki è un distillato all’anice, del tutto simile all’ouzo greco, mentre la parola meyhane è una parola persiana composta da; mey: vino, hane: taverna, lo stile è molto simile alle taverne greche. Inutile dire che questa usanza abbastanza diffusa è stata terreno di scontro politico perché mal vista dalla politica di Erdoğan.
Balat l’ho visitato in un tardo pomeriggio-sera, è un quartiere colorato e vivo, ma anche tranquillo, la parte bassa è ben frequentata grazie a negozietti e bar di vario tipo, l’architettura è curata e molto colorata. Mentre la parte alta regala realtà che richiamano paesi più a sud, non ho visto praticamente nessuna donna senza velo e addirittura anche la gran maggioranza di uomini portavano un piccolo copricapo tipico mussulmano. Ho provato a chiedere al mio coinquilino palestinese quale fosse il nome del copricapo e a cosa servisse, ma nemmeno lui lo sapeva, diceva che suo zio lo usa, ma non ne conosce il significato, ho riso molto quando me l’ha detto.
Sultanahmet e Eminönü sono semplicemente il cuore storico e museale di Istanbul, la meta che ogni viaggiatore deve visitare e per questo sono un caotici, ma al tempo stesso veri e comunque custodi delle fasi storiche che Istanbul ha passato, compresa quella attuale.
Taksim e Karaköy sono il centro della città e la parte forse più moderna e turistica. Un posto dove tutto può accadere, proteste e repressioni, meyhane e raki, strip club (giuro) e ragazze con l’hijab e il violino.
Ho trovato in definitiva Istanbul la quintessenza della Turchia affacciata sui mari, un luogo sincero e rispettoso della cultura del paese, ma al tempo stesso affacciato sul mondo. Auguro a tutti di provare a bere un çay e magari mangiare un baklava o ancora meglio un künefe seduti su uno dei loro tavolini di legno bassi e stretti, osservare i passanti e chiedersi cos’altro la città ti riserverà appena ti alzerai da lì.
Il coinquilino palestinese
La prima sera a Istanbul in quattro e quattr’otto mi sono trovato in un parchetto a fumare con un ragazzo palestinese, alto 1.90m, sicuramente più pesante di 100kg, ma buono come il pane e affetto da ADHD con un pizzico di iperattività. Si chiama Ali.
Esperienza incredibile, subito l’ho avvisato che l’avrei bombardato di domande sulla Palestina e lui è stato al gioco; abbiamo parlato per una mezzoretta delle cose più normali quando si parla di Palestina e di come lui faccia fatica a viaggiare con un passaporto unico al mondo credo, un passaporto blu rilasciato dagli israeliani, ma non israeliano. Lui vive a Gerusalemme est, è palestinese, ma i documenti glieli rilascia Israele.
Poco dopo però mi ha fatto capire che per lui è molto doloroso parlare della sua terra e preferisce non farlo, è figlio di accademici, lavora per una multinazionale statunitense e viaggia per cercare di non pensare troppo alla situazione che ha a casa.
Non ne abbiamo quasi più parlato, se non in occasioni particolari, tipo quando il padrone di casa turco lo chiamava israeliano (non siamo riusciti a capire perché) o situazioni simili.
Con Ali abbiamo concluso, e con questo concludo anche questo post, che siamo fortunati, siamo fortunati noi italiani. Abbiamo il secondo passaporto più forte al mondo (190 paesi visitabili senza visto) e soprattutto nessuno ci vuole del male (a ragione o torto questo è un altro discorso).
Eravamo entrambi a Istanbul, due persone normalissime che condividono passioni ed esperienze, due persone uguali e diverse, ma comunque simili. Eppure lui deve sempre calcolare e stare attento a dove mettere piede, io invece in quanto italiano posso andare ovunque e non troverò mai nessuno che mi vuole del male in quanto italiano.