Cosa vedere (e fotografare) al Lago Inle, Myanmar

Una barca sottile sull’acqua con una grande nassa conica, un pescatore col piede appoggiato al remo in verticale, un cappello di paglia e un sorriso per il turista, è questa la foto più gettonata del lago Inle in Myanmar. Più avanti il pescatore che tira la rete ci guarda distratto, non facciamo parte del suo mondo, il ragazzino dai capelli tinti di rosso ci osserva mentre voga col piede e gli scappa un mezzo sorriso, lui è nel mondo di mezzo, le cinque donne che tornano in barca dal mercato remano con le pagaie sedute e tranquille, sono nel loro mondo.

Lago Inle

Le barche stracariche di ceste di pomodori si sentono arrivare da lontano e lasciano scie di fumo come i camion di 40 anni fa, vengono dagli orti galleggianti dove filari di pomodori fagioli e altre verdure strane galleggiano sull’acqua e i cormorani si asciugano le ali in cima alle canne di sostegno, una donna si sporge da una barca per mettere a dimora nuove piantine, due giovani su una barca carica di sacchi di concime ci incrociano con quella remata così strana e fotogenica, due bambini in piedi sulla loro barchetta inseguono un aquilone impazzito, le nuvole di bambagia sono diventate nembi minacciosi, la pioggia spazza a ondate la superficie scura del lago Inle.

La pagoda Phaung Daw U

La pagoda Phaung Daw U è annunciata da barche cariche di monaci dalla tunica rossa e ombrelli multicolori. Al suo interno una nenia monotona galleggia nell’aria, è un monaco che canta il libro degli inni sacri, il grande quadrante bianco di un orologio scandisce i turni di lettura. Tutti sanno che solo gli uomini possono avvicinarsi e toccare le cinque piccole statue di Buddha trasformate in ammassi informi dalle foglie d’oro che gli uomini, e solo loro, continuamente applicano ma, per sicurezza e con tutte queste turiste incoscienti in giro, sulla predella c’è un avviso in un inglese basic ma molto chiaro “Ladies are prohibited”.

Una volta, durante il festival, quando le statue vengono portate in giro nei villaggi del lago sulla grande barca dorata, una specie di Bucintoro orientale, c’è stato un incidente e le statue sono cadute in acqua, quattro le hanno recuperate dal fondo melmoso, la quinta non si trovava, alla fine è rispuntata miracolosamente al suo posto nel tempio – mio padre l’ha visto e io ci credo – risponde la guida ai nostri sguardi dubbiosi.

Il Mercato

Dietro la pagoda oggi c’è il mercato.

Niente da fare, i mercati con la folla, i colori, gli odori, i rumori, sono irresistibili richiami qui da noi, figurati in un posto dove ti muovi tra donne in longyi variopinti e cappelli di paglia, dove su stuoie e cesti si mescolano in un caleidoscopio di colori frutta esotica, verdure mai viste, semi di tutte le forme e barattoli di spezie misteriose, dove non capisci una parola di quanto succede attorno a te e dove l’odore acre di pesce fresco si mescola con quello dolciastro di pastelle fritte, ma le più belle, le più affascinanti sono loro, gonne e bluse nere che contrastano coi turbanti dai colori vivacissimi.

– Sono Pa-Oh – ci dice la guida prima di lasciarci andare nel bailamme, le ragazze hanno il viso dolce e lo sguardo timido, le donne fumano rilassate un sigaro mentre accettano di farsi fotografare, le più anziane ti guardano negli occhi mentre invitano all’acquisto, una manciata di foglie di tè val bene una foto sorridente.

Ywama

Una ragazza sciacqua nel canale  una pentola sorridendo al nostro passaggio, una signora dal longyi arancio ci osserva da una traballante passerella di bambù, due bambini sguazzano felici nell’acqua gialla e salutano eccitati, scene di una giornata serena a Ywama.

Anche la signora che ci mostra come si estrae la fibra dai gambi del loto sorride, quella seduta al telaio di legno è invece tutta assorbita dal suo magico lavoro, due donne immergono matasse in pentole fumanti, sembra l’antro delle streghe, un vecchio dai capelli bianchi sta rattrappito sul pavimento di legno a sbrogliare lentamente il filo sull’arcolaio – c’è una ditta italiana che compra la seta di loto – ci dice la guida, sul sito dell’azienda1 viene spiegato come, in questo modo, si aiuta la gente del lago e si mantiene vivo questo mestiere unico.

Nyaung Ohak

La barca fila veloce lungo lo stretto canale che da Ywama arriva a Inn Thein. Le rovine degli stupa di Nyaung Ohak, appena al di là del ponte, sono affascinanti. Ruderi di cappelle antiche, muri pericolanti, apsaras ingiallite, stucchi sgretolati, fieri demoni-leone col cuore di  mattoni, cime tronche come camini di fornaci e dappertutto cespugli e rovi che sbarrano il passo, erbe nelle crepe dei muri, agavi sui tetti diroccati, alberi frondosi dalle cime degli stupa come ombrelli viventi, rovine segrete a cento metri dalle bancarelle di souvenir e dai ristoranti per turisti.

A proposito di souvenir, la scalinata che da Nyaung Ohak sale alla pagoda Shwe Inthein è tutta una bancarella in attesa dei turisti, ma in alto si può gironzolare tranquilli a piedi nudi tra decine di stupa dorati, sembra la parata di un esercito medioevale con le lance puntate verso il cielo, poi ci sono quelli più poveri, di stucco o cemento, non hanno lo splendore dell’oro e nemmeno l’aura romantica di quelli più antichi, ruderi consumati dalle intemperie, la corona sulla cima sbilenca, i camini crollati, ma il cuore rosso di mattoni ancora lotta contro la marea verde che tutto inghiotte.

E’ ora di tornare, ci attendono le acque imperturbabili del lago Inle.

    da
  • Luigi Lazzaroni

    Cresciuto, tanti anni fa, sui romanzi di Kipling, Salgari e Verne, ho ritrovato l’anno scorso su un mio quaderno delle elementari un tema che descriveva un fantastico viaggio in piroga su un fiume nel cuore della giungla indiana. È da lì che evidentemente è nato il mio amore per le culture del sudest asiatico, l’India in primis, e per i fiumi lontani e le foreste oscure a partire dalla mitica Amazzonia.

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