Alle otto carichiamo tutte le valigie sul nostro camion e facciamo ritorno all’Elizabeth Restaurant – Lamberts Bay, Sudafrica – per fare colazione. Il posto è molto suggestivo: i gabbiani che volano numerosi sulle nostre teste, il porto che pian piano si sveglia e il sole che prova a contrastare la morsa del freddo regalandoci un po’ di tepore.
Partiamo alle nove per quello che è il nostro ultimo grande spostamento. Oggi raggiungeremo infatti il punto di arrivo di questo lungo viaggio: Città del Capo. Per raggiungerla scegliamo di percorrere un breve tratto di strada costiera per poi riprendere la strada interna. Il panorama ci regala distese infinite di prati, molti vigneti e pecore.
Facciamo il nostro ingresso a Città del Capo intorno all’una del pomeriggio. La zona dalla quale accediamo alla città è una township composta per lo più da baracche di lamiera. Presto però la città ci accoglie nella sua parte più ricca. Raggiungiamo quello che sarà il nostro albergo per le prossime due notti: il Dale Court Guest House, 250 rand a testa colazione inclusa (circa 25 euro). Vista l’ampiezza delle camere, la struttura curata e pulita e la grande gentilezza del personale, la somma pagata è davvero bassa.
Purtroppo arriva una brutta notizia: il nostro programma per il pomeriggio prevedeva la salita con la funivia a Table Mountain, ma veniamo a sapere che è ferma per operazioni di ripristino e riaprirà tra due giorni. Troppo tardi per noi sfortunatamente. Ci informiamo per salire a piedi e alla reception dell’albergo ci informano che si tratta di un trekking lungo ed impegnativo, tre ore minimo per camminatori esperti, e noi non abbiamo tempo a sufficienza anche perché rischiamo che faccia buio prima di essere riusciti a scendere.
Abbiamo quindi il pomeriggio libero e lo dedichiamo alla visita della città. Insieme ad un altro gruppetto di persone opto per una visita del centro, molto pulito e dinamico. Non ci sono monumenti o palazzi che mi colpiscano in modo particolare, ma nell’insieme si respira una bella atmosfera.
Vediamo le mura del Castle of Good Hope, la Old City Hall, i Company’s Gardens, e la Saint George Cathedral, per poi arrivare in Long Street, la via dei locali e dei negozi. Raggiungiamo anche il mercato che però sta smontando, per cui facciamo ancora qualche rapido acquisto per poi dirigerci di nuovo verso l’albergo.
Visto che abbiamo camminato a lungo, per tornare prendiamo una delle tante navette che si trovano agli angoli delle strade, che altro non sono che furgoncini sui quali sali, dici dove devi andare, contratti il prezzo e loro ti ci portano. Per cena il nostro coordinatore ha prenotato un tavolo in un ristorante a pochi passi dal nostro albergo, Mano’s.
Il giorno seguente, alle sei, il nostro camion parte in direzione Capo di Buona Speranza. In un’ora e mezza di strada deserta arriviamo alla meta. L’aver scelto di partire così presto ha un vantaggio: possiamo vedere questo posto in totale solitudine, senza moltitudini di turisti che ne minino il fascino.
Il sole appena sorto illumina la spiaggia del Capo di una luce meravigliosa e dona al contesto un sapore poetico. L’oceano lancia con vigore le sue onde sulle pietre della spiaggia. C’è un non so che di mistico in questo luogo, forse per la sua valenza storica e geografica, forse solo per la natura che qui offre una delle sue tante meravigliose manifestazioni.
Ci arrampichiamo poi lungo il sentiero che conduce a Cape Point. La camminata dura più di un’ora e, nella prima parte, è anche abbastanza ripida. Suggerisco quindi, a chi non avesse voglia di faticare, di fare il percorso inverso rispetto al nostro, ovvero di farsi lasciare a Cape Point per poi essere ripresi al Capo di Buona Speranza.
Sul sentiero vediamo una precaria scala di legno che scende fino ad una bellissima spiaggia deserta. La tentazione è troppo forte, per cui scendiamo senza considerare però la faticaccia della risalita visto che si tratta di circa 200 scalini. Arrivati a Cape Point non si può fare altro che rimanere in contemplazione del panorama che questo luogo regala.
Alle dodici circa abbiamo terminato il nostro giro per cui ripartiamo alla volta di Simon’s Town, una graziosa cittadina vittoriana famosa per la colonia di pinguini su Boulders Beach (entrata 60 rand). I pinguini sono sempre animali piacevoli da osservare per via della simpatica e buffa gestualità che li caratterizza.
Alle due siamo di ritorno in città e, sebbene sia ormai un po’ tardi, io ed altri sei compagni d’avventura decidiamo di tentare la scalata a Table Mountain. La sera prima siamo stati un po’ scoraggiati dalla lettura della guida che, oltre a segnalarlo come trekking per escursionisti esperti, metteva in guardia sulla pericolosità nel caso in cui la cima venisse avvolta dalla nebbia, un’eventualità che può realizzarsi molto rapidamente. Quello che sappiamo è che non ci possiamo permettere di scendere con il buio, per cui puntiamo la sveglia sulle 16.15, orario in cui, a qualunque punto siamo arrivati, sappiamo che dobbiamo iniziare a scendere.
Effettivamente la guida non mentiva: il percorso è molto ripido ed impervio, in più le indicazioni non sono precise. Come previsto non riusciamo ad arrivare in cima, ma arriviamo in un punto in cui la vista dall’alto della città è comunque sensazionale.
Stasera gran finale al Mama Africa, locale molto noto di Cape Town in cui tutte le sere propongono spettacoli di musica dal vivo. Dopo cena ci lanciamo in balli improvvisati con le ultime forze che ci restano dopo la lunga camminata del pomeriggio.
È arrivato il giorno della partenza. L’appuntamento è alle undici davanti all’albergo per andare all’aeroporto. Valentina, Giorgio ed io decidiamo di sfruttare questa manciata di ore per andare a visitare una parte della città che non abbiamo ancora visto: il Waterfront.
Questa zona portuale riqualificata è un vero gioiellino: gli edifici curati e colorati ospitano negozi e piccoli locali. È domenica mattina e moltissima gente della città si è recata qui per fare colazione nei dehors dei numerosi bar. L’impressione è che questo quartiere sia stato pensato a misura dei propri cittadini più che dei turisti e questo gli conferisce un tono di autenticità.
Alle undici saliamo sul camion per questo ultimo breve tragitto sul mezzo che ci ha accompagnati per tanti chilometri e lunghe ore. Salutiamo uno ad uno il nostro autista Japhet realizzando a fatica che il viaggio finisce qui. L’aereo da Città del Capo a Johannesburg parte alle due. Alle quattro arriviamo e dobbiamo aspettare per cinque ore la coincidenza con Il Cairo, dove atterriamo alle 5,30 del giorno dopo. Alle nove parte il nostro ultimo volo, quello che ci porta definitivamente a casa a Milano. Quello che penso dell’Egypt Air l’ho già scritto e lo ribadisco: pessimo servizio, pessimi gli aerei. Solo il cibo si salva.
Finisce così un’altra avventura, ma non si esaurisce la mia voglia di viaggiare…
Leggi la puntata precedente: il Fish River Canyon e l’ingresso in Sudafrica
Comincia dalla prima puntata: il viaggio in Africa comincia dalle Cascate Vittoria
Vivo a Torino, città che amo profondamente, ma nonostante questo mio amore, spesso, sento l’esigenza di scappare lontano da lei per scoprire altri nuovi splendidi luoghi. Credo profondamente che anche viaggiare sia una forma d’arte e che più il viaggiatore sviluppa curiosità, fantasia e originalità, più saprà creare itinerari di viaggio meravigliosi.